Gli Oscar 2019 dimostrano per l’ennesima volta che il mondo dei prodotti d’intrattenimento è palesemente ed inequivocabilmente soggetto al politicamente corretto. Tre Oscar a Black Panther, l’unico film Marvel che non ha entusiasmato le masse e anzi, in alcune parti, ha pure annoiato: eppure ne va a vincere tre statuette, seppur minori. Una di queste statuette (miglior scenografia) ancora grida vendetta, inspiegabile. Poi, Green Book (una specie di “Quasi Amici” in salsa ‘On The Road’) è un film che dimostra la malafede degli Academy.
Film senza infamia e senza lode con, quello sì, un grandissimo Viggo Mortensen. Ma l’Oscar, ovviamente, va assegnato all’esponente di una minoranza etnica e guai darlo al bianco in un film in cui si tratta di razzismo. Nulla contro Maershala Ali che conferma di essere un ottimo attore (a proposito, merita una visione la terza stagione di True Detective) ma tant’è.
Passiamo a Rami Malek (Mr. Robot). Bohemian Rapsody è un film mediocre ed incompleto, in cui metà abbondante delle scene sono riprese “reali” (di concerti dei Queen) montate e modificate al computer in cui il buon Malek fa una discreta apparizione. Ma finisce lì, da qua a meritarsi l’Oscar ce ne passa. Christian Bale dal canto suo fa una cosa pazzesca in Vice, dimostrando al mondo una duttilità interpretativa fuori dal comune (ad oggi vista solo in Di Caprio) – ma l’Oscar va a Rami soltanto perché è di origine egiziana.
Da accapponare la pelle, in senso negativo, il suo discorso finale strappa applausi politically correct: “Sono un immigrato” , ha dichiarato dal palco, come se avesse reale importanza per il ruolo da lui interpretato. Gli Oscar dati a Cuaròn (uno meritato e altri meno) sono anche essi un sintomo politico e pure lui, come Malek, va a puntualizzare sulle sue origini, questa volta messicane (chi conosce la situazione attuale al confine USA tira le somme).
Insomma, l’ennesima farsa. Per vincere un Oscar sembra basti parlare di ebrei durante la seconda guerra, afroamericani e da oggi anche delle miserie messicane, non importa quanto ci si impegni. Si sta esagerando. Piccola parentesi per La Favorita, un film passato in secondo piano ma che merita, insieme a A star is Born di maggiori considerazioni, ma contro quest’ondata di politicamente corretto c’è poco da fare.
(di Florian Lorenzini)