Sergej Lavrov: l'eleganza della diplomazia russa

Sergej Lavrov: l’eleganza della diplomazia russa

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Se il ruolo della Federazione Russa nelle relazioni internazionali odierne è sempre più preponderante non è solo grazie alle abilità del Presidente Vladimir Putin nel destreggiarsi sul panorama globale come un campione di scacchi contro mille avversari. Non lo è nemmeno grazie al progressivo ritirarsi e declinare dell’Occidente, soprattutto europeo, per lasciare spazio a nuove potenze emergenti – poiché la Russia, in realtà, soffre ancora di grandi alti e bassi all’interno di questo gruppo – ma è anche, e forse soprattutto, grazie all’abilità inflessibile a all’autorevolezza della diplomazia moscovita, che porta il nome di Sergej Lavrov.

Sergej Viktorovich Lavrov nasce a Mosca il 21 Marzo 1950, in una famiglia di origini armene, e studia in una delle più prestigiose università sovietiche dell’epoca, il Moskovsky Gosudarstvenny Institut Mezhdunarodnykh Otnoshenii (Istituto Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali), che, ad oggi, costituisce il braccio educativo del Ministero degli Esteri della Federazione Russa. Data l’impostazione internazionalista dell’istituto e il necessario pilastro costituito dalla conoscenza delle lingue per esercitare l’arte della diplomazia, nel corso della sua formazione universitaria Lavrov impara l’inglese, il francese e il cingalese – quest’ultimo come prima lingua straniera, che lo condurrà ad iniziare la propria carriera diplomatica in Sri Lanka per conto del governo sovietico fino al 1976. In seguito, Lavrov ricopre posizioni all’interno del Ministero degli Esteri e come consigliere nella delegazione sovietica all’ONU. Dopo la caduta dell’URSS, Lavrov diviene Viceministro degli Esteri sotto la Presidenza Yeltsin, per essere poi nominato Ambasciatore della Federazione Russa all’ONU nel 1994, rivestendo più volte anche la posizione di Presidente del Consiglio di Sicurezza. Dal 2004 Lavrov è il Ministro degli Esteri di Putin (e di Medvedev). Tuttavia, definirlo il suo “braccio destro” sarebbe estremamente riduttivo ed indegno per un uomo della sua statura (in tutti i sensi, dato che sfiora il metro e novanta).

Durante il suo incarico da Ministro, Lavrov è protagonista di alcune delle crisi più importanti che avvengono sul panorama internazionale e che interessano la Russia da lontano e, soprattutto, da vicino: dall’incessante espansione della NATO nello spazio post-Sovietico con l’ingresso dei Paesi Baltici nell’alleanza nel 2004, attraverso la guerra russo-georgiana provocata dall’ex presidente georgiano Saakashvili nell’agosto del 2008 durante le olimpiadi di Pechino con la speranza di un supporto più che concreto da parte dell’Occidente (che, fortunatamente, non arrivò) e il conseguente riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza di Abcasia e Ossezia del Sud (giustificate, dal punto di vista russo, dal precedente kosovaro dello stesso anno), fino al supporto a Bashar al-Assad nella guerra in Siria e all’azione russa nella crisi Ucraina, con l’annessione della Crimea (anch’essa giustificata sempre facendo riferimento al Kosovo) e la difficile gestione del conflitto in Donbass.

Lavrov ha spesso rilasciato spesso anche dichiarazioni brevi e pungenti, ad esempio riguardo il suo disinteresse per la scorsa campagna elettorale statunitense o la faziosità acritica di certo giornalismo mainstream occidentale, sintomo di una superiorità e di un’onestà intellettuale che lo contraddistinguono da alcune premières femmes dell’Occidente, in particolare rispetto affari interni degli Stati. Una delle costanti del pensiero, della retorica e dell’azione di Lavrov è, infatti, il ruolo fondamentale del diritto internazionale, soprattutto quando si parla delle relazioni tra Federazione Russa e la comunità transatlantica. Lavrov ha più volte fatto riferimento alla mancanza di disciplina e di uno standard univoco da parte dell’Occidente nei confronti di uno dei principi cardine delle relazioni internazionali – appunto, il rispetto del diritto internazionale – soprattutto quando si tratta di mettere in discussione la sovranità nazionale degli altri paesi.

Il caso siriano e, più di recente ma sempre ricorrente nel tempo, quello venezuelano, sono solo alcuni fra i tentativi di violazione dei principi di non-ingerenza e non-intervento nei confronti di paesi sovrani, e del diritto internazionale più in generale. La Siria è forse uno dei casi più emblematici: gli attacchi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia contro le postazioni militari dell’Esercito Arabo Siriano sul territorio sovrano della Siria sono stati compiuti non solo in violazione del diritto internazionale, ma sulla base di accuse pretestuose circa l’attacco chimico del 7 aprile 2018 “avvenuto” a Douma, che non solo non venne confermato dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche nel suo rapporto, ma che è stato recentemente di chiarato da un reporter della BBC di trattarsi di “una messa in scena” o, per dirla breve, una bufala (si veda anche l’opinione del nostro caporedattore in merito). Tutto questo senza considerare l’ingerenza e il sostegno dell’Occidente ai ribelli siriani, denunciati e criticati proprio da Lavrov prima di questo presunto attacco.

Ma è sempre per bocca di Lavrov che le false – o, quantomeno, non dimostrabili – accuse rivolte alla Russia vengono rispedite al mittente: dal caso Skripal e la mancanza di collaborazione delle autorità britanniche nel portare alla luce la verità riguardante dei cittadini russi fino al Russiagate – anche questo riconosciuto impossibile da verificare – queste vengono liquidate da Lavrov con una sola parola: Russofobia.

Russofobia che si è ripresentata di recente con false accuse contro Tulsi Gabbard, o utilizzata dalle élite francesi per liquidare la protesta dei gilet gialli, e sfruttata – in questo caso sì – per riorientare l’opinione pubblica. Russofobia che è parte di un agenda occidentale ostile alla Russia – si veda la proposta della Mogherini di aumentare le sanzioni nei confronti di Mosca – ma che nascono dall’incapacità dell’Occidente di comprendere che il mondo è sempre meno nelle sue mani, e che per giocare il bello e il cattivo tempo è necessario relazionarsi con le nuove e vecchie potenze da pari, fuori da una logica universalista di stampo liberale dell’esportazione della democrazia e fuori dalla logica interventista dei neocon del regime change, entrambe alla base di tutte le ultime crisi internazionali e per questo duramente criticate anche dall’autorevole penna di John Mearsheimer.

Quello che va profilandosi è un mondo diverso, multipolare, forse più democratico fra (anziché nei) differenti Paesi di questo mondo.  Il mondo delle “rivoluzioni colorate” e dell’ingerenza dell’Occidente negli affari degli stati sovrani non-allineati sembra, fortunatamente, sempre più celermente giungere alla fine. E Sergej Lavrov è sicuramente uno dei protagonisti di questo cambiamento a cui va attribuita una grossa fetta del merito.

(di Carlo Ferrari)

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