Il marxismo "liberal" contro il socialismo reale

Il marxismo “liberal” contro il socialismo reale

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Da qualche mese la pagina Facebook “Conosciamo l’URSS e i paesi del blocco socialista” svolge una meritevole opera di informazione storica diffondendo immagini spesso inedite o poco note della vita quotidiana nei paesi del Patto di Varsavia e condividendo rari documenti sulla loro storia economica e sociologica.

Il folto pubblico di appassionati e simpatizzanti ha sempre gradito il solerte lavoro degli amministratori, fuorché nel caso di questo irriverente parallelo:

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Come si può evincere dal numero spropositato di commenti, la provocazione ha mandato letteralmente in tilt il cervello di numerosi seguaci della popolare pagina che, pubblicandola, certo non si attendeva una bufera tale da far emergere la dissonanza cognitiva di molti comunisti occidentali nell’approccio al socialismo reale.

Finché si divulgano fotografie di strutture ricreative e stabilimenti balneari che mostrano la vita spensierata del popolo, finché si riportano dati sulle misure di previdenza sociale che seppelliscono la propaganda borghese, il consenso è pressoché unanime; ma non appena si tocca il tema tabù dei valori morali e dei modelli antropologici di riferimento, pizzicando le sensibilissime corde dell’animo politicamente corretto, ecco che scoppia il finimondo e si creano profonde spaccature identitarie.

Appurato che non si tratta di un paragone omofobo, restano non pochi motivi d’insoddisfazione: il confronto è sbagliato a prescindere, perché “ognuno è libero di vestirsi come vuole”; l’identità personale di chiunque va rispettata, d’altronde “chi siamo noi per giudicare?”; e poi “a te cosa toglie?” – pensarla altrimenti è indice di “fascismo”. E così i paesi socialisti, esaltati fino a un attimo prima per le loro rimarchevoli conquiste sociali, si trasformano improvvisamente in grige caserme che annullano la personalità dell’individuo e lo costringono a omologarsi agli stereotipi tradizionali.

Questa repentina metamorfosi dell’immaginario è sintomo di una concezione del socialismo radicalmente diversa da quella di chi l’ha edificato nel secolo scorso. I “compagni occidentali”, figli della cultura libertaria del ’68, intendono il socialismo soltanto come un sistema economico più inclusivo, in grado di fornire casa, lavoro, istruzione e assistenza sanitaria a tutti, e perdono invece di vista tutto il suo bagaglio etico, il progetto di costruzione dell’uomo nuovo e la critica dei catastrofici effetti del consumismo sulla psiche e sul corpo dell’essere umano.

La critica del capitalismo viene cioè abbandonata a mezza strada, soffermandosi unicamente sulle sperequazioni economiche generate dalla proprietà privata, senza estendere la lotta di classe al fronte ideologico e culturale; così è possibile recepire acriticamente il concetto borghese di libertà, che soppianta i valori comunitari e assorbe anche gli stessi diritti sociali – ora concepiti in funzione del massimo accrescimento della libertà personale, in funzione di un socialismo che si differenzia dal capitalismo solo perché non frappone alcun limite al consumo, cosicché “tutti potranno girare in Ferrari e vestire Gucci”.

Ecco dunque rinascere i sogni utopistici sulla scomparsa del lavoro, della famiglia, della morale, dell’autorità. Chi conosce la storia del movimento operaio avrà l’impressione di ascoltare un disco già sentito: quando descriveva il comunismo come un immenso piatto di gulash da cui ognuno potesse servirsi a volontà, Chruščëv non aveva in mente qualcosa di troppo diverso.

«I revisionisti si richiamano alla democrazia per esaltare il liberalismo borghese, l’anarchia, gli eccessi e il disordine, per provocare turbamenti sociali e licenziosità», annotava il grande leader nelle sue memorie, dall’alto di una profonda conoscenza della natura dialettica dell’uomo, dell’indispensabilità della dimensione pedagogica del limite e della consapevolezza che il signore a sinistra è meglio del signorino a destra.

L’ingenua idea che l’automazione integrale sommata al pieno dispiegamento dei princìpi liberali e degli ideali anarchici porti al comunismo, e non invece ad un’accentuazione delle piaghe sociali osservabili nel tardo capitalismo di cui condividete l’antropologia; – questo vi contestiamo, cari progressisti petalosi, non la vostra identità sessuale, di cui francamente non importa nulla a nessuno.

La vostra “simpatia critica” è come un bacio di Giuda per i paesi socialisti superstiti: «Il mondo non manca di gente ansiosa di contaminare il nostro socialismo col ripugnante virus del revisionismo. Il nostro popolo e il nostro Esercito popolare non permettono che il germe patogeno del revisionismo penetri nei nostri ranghi. Non vogliamo che la democrazia estrema giunga a trasformare il nostro partito in una specie di “club” o in una “piazza del mercato”. I sacrifici imposti dalla democrazia militare estrema durante la guerra antigiapponese e gli insegnamenti dei paesi dell’Europa orientale ci ordinano di non permetterlo» (Kim Il Sung, Attraverso il secolo, vol. III, Edizioni in lingue estere, Pyongyang 1993, pp. 239, 244-245).

(di Francesco Alarico dalla Scala)

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