“È giunta l’ora che la Lega apra agli italiani di buona volontà”. Sono parole di Matteo Salvini.
“I nostri nonni non hanno dato la vita sul Piave per la prima ONG di turno”. L’autore, di nuovo Salvini.
La Lega ci sta lavorando eccome, e dal discorso di Pontida è fin troppo evidente. Qualche Tricolore in più rispetto all’anno scorso (quando sono andato io), ancora pochini e modesti ma in ogni caso le cose continuano a muoversi. Prime timide risposte.
Il popolo italiano è sempre nominato, e Salvini stesso passa in rassegna di citazioni di tanti “grandi italiani”, la bandiera dei mori accanto a quella del leone di San Marco, ringraziamenti a chi ha viaggiato per 1000 chilometri. E nel finale ci è scappato anche un “Viva l’Italia”, sebbene in coda, ma in costante inserimento, stagione dopo stagione, anno dopo anno.
Salvini e il Carroccio hanno capito che con la ridicola Padania non andavano da nessuna parte, e che la stessa “inesistente identità italiana” ha una forza insospettabile in termini elettorali, a maggior ragione considerando che è recepita ancora pochissimo dal popolo.
Chi contesta tutto questo puntando sull’opportunismo – scontato, ma che non esclude altro – di Salvini, sullo scarso sentimento genuino dei singoli elettori nel contesto di un processo che è iniziato da meno di un decennio (nulla, rispetto alla Storia), sul fatto che a Ponte di Legno una volta si sputasse sul Tricolore, sull’anti-fallacianesimo, o ancora sui difetti della Lega in generale: ebbene, costui preferisce ritornare al nulla, o al massimo all’8% in salsa MSI. Fuori dai giochi politici che contano, quelle di un partito di massa con contenuti sostanzialmente patriottici.
Perché quanto stiamo assistendo, pur con tutti i suoi limiti, con l’oltre 30% dei consensi era impossibile fino a 5 anni fa.
Giusto sostenerlo, insistere e diffondere, fino a quando perfino a Pontida i Tricolori non decuplicheranno e si arriverà a cantare l’Inno di Mameli. Le stesse critiche al governo Conte Bis hanno un’importanza secondaria.
(di Stelio Fergola)