“Non è affatto eroico o misericordioso ammassare nel nostro Paese migliaia di immigrati di cui non conosciamo nulla e causare così enormi tensioni sociali nella nostra società. I problemi dei profughi non si risolvono spostando questi ultimi dalla loro patria in Europa, ma dando a costoro opportunità e speranze nei rispettivi Stati di origine”. Mette Frederiksen, segretario dei Socialdemokraterne, ovvero la formazione socialdemocratica danese.
Cosi parla la donna di sinistra che si è affermata prepotentemente le elezioni in Danimarca con oltre il 21% dei voti poco più di una settimana fa, arrivando seconda quasi appaiata al Venstre, ovvero la formazione liberale facente anche parte dell’ALDE. Così si esprime un rappresentante che sembra recuperare le esigenze tanto care alla tradizione politica della sinistra, oggi completamente distrutta e convertita nel suo opposto globalista, anti-proletario e classista.
Qualcuno sulla stampa nostrana aveva esultato per la sconfitta dei populisti nel paese nordico, per la mancata affermazione degli “alleati di Matteo Salvini”, come li ha descritti Open ma anche altre testate, riferendosi al Partito Popolare Danese, che non supera il 10%. Sebbene i liberali abbiano dichiarato un certo sostegno per le politiche anti-immigrazione proposte da Socialdemokraterne, è in gran parte la verità: nel complesso la Frederkisen rimane ingabbiata in una coalizione di stampo prettamente europeista, globalista e immigrazionista.
Ma dimostra anche di guardare al futuro con onestà, realismo e approccio scientifico. Dimostra di comprendere un assunto che francamente a noi sembra elementare quanto alla sinistra europea in genere profondamente complicato da comprendere: è impossibile tutelare le classi sociali deboli mettendole in competizione con centinaia di migliaia di immigrati clandestini. Sarebbe impossibile anche se fossero immigrati regolari, perché rappresenterebbero comunque una iniezione di concorrenza e di gioco al ribasso nei lavori che “gli italiani non vogliono più fare” (sostituite agilmente con “danesi”).
Qualche esempio di “sinistra che ragiona” lo abbiamo avuto anche con le recenti pubblicazioni di Federico Rampini, al netto di un giudizio sulla genuinità della sua “conversione” di cui, francamente, ci interessa molto poco. Ciò che conta è che nel fronte nemico qualcuno inizi a fare opposizione, a proporre dissenso rispetto ai soliti dogmi, quelli “alla Gad Lerner” che ciarla di “sinistra che dimentica gli operai” salvo proporre sempre le stesse tesi immigrazioniste e sedicenti antirazziste.
La Frederiksen rappresenta dunque una speranza perché ci fa comprendere che, oltre al dato numerico che vede gli antieuropeisti e anti-immigrazionisti europei ancora in minoranza nell’Assemblea continentale (ma con numeri in ogni caso altissimi e mai registrati prima) c’è anche da registrare tra i cosiddetti “vincitori” una piccola minoranza che comincia a ragionare su questioni drammatiche che hanno distrutto il tessuto sociale di molti Paesi europei e che negli ultimi anni stanno deteriorando anche quello italiano. C’è una piccola minoranza che inizia a proporre un aumento della spesa pubblica, cosa che i socialdemocratici hanno inserito tra le promesse elettorali (+0,8 nei prossimi 5 anni).
Dunque, cara Mette, netto di una visione complessiva che ancora ci vede distanti, c’è qualcosa che ci spinge ad appoggiarti e a sostenerti. Non sarà facile, sei circondata da squali. In bocca al lupo.
(di Stelio Fergola)