Repubblica commemora un jihadista

Repubblica commemora un jihadista

Oggi, Repubblica e i vari bollettini stampa dello straniero hanno inaugurato la giornata commemorando la morte di Abdel Basset al-Sarout, un jihadista. Ucciso dall’esercito siriano durante un’operazione di bonifica a nord della provincia di Hama.

Promessa del calcio siriano ed ex portiere della Nazionale giovanile“. “Una carriera radiosa interrotta troppo precocemente, all’età di 27 anni“. Questo il tenore degli articoli. Una beatificazione vomitevole che non si vedeva dal necrologio funebre in onore di John McCain, quel 26 agosto 2018. In quel caso il guerrafondaio d’assalto nonché fanatico promotore della leadership mondiale statunitense e del ruolo centrale della NATO nell’affrontare le sfide del XXI secolo venne magicamente convertito in “eroe di guerra”.

al-Sarout jihadista

Il Commander-in-Chief di Jaysh al-Izza, a questa tornata, in una sottospecie di “martire” e “cantore” dell’insurrezione takfira del 15 marzo 2011. Composta in maggioranza da ceceni e sauditi e capeggiata da Jamil al-Saleh, tale milizia paramilitare è parte integrante del network qaedista che, da otto anni, si oppone a Damasco. Beneficiaria degli aiuti USA – i quali includono fornitura costante di missili Grad, Fagot e anticarro di tipo TOW – dal 2017 è alleata di Hay’at Tahreer al-Sham, vale a dire la costola superstite e riorganizzata di Jabhat al-Nusra dopo la battaglia di Aleppo, terminata il 13 dicembre 2016. Celeberrimi gli stretti legami avuti con i loro leader, Mohammad al-Julani e Jaber al-Sheikh.

Un video di inizio giugno li testimonia in maniera inequivocabile. In occasione dell’Eid al-Fitr, in un bunker sotterraneo, li si vede scambiarsi complimenti reciproci per l’impegno bellico e indossare orgogliosamente il Sigillo di Maometto su sfondo nero. Ritenuta una reliquia conservata nel Palazzo Topkapi dai Sultani Ottomani, è diventata ben presto il simbolo diffuso dell‘Internazionale jihadista. Lo stesso che il compianto portiere sfoggia orgogliosamente nel suo mini-documentario autoprodotto, The Syrian Deception (2012). Il medesimo che ha avuto quando, lo scorso mese, ha partecipato al massacro di al-Suqaylabiyah, cittadina cristiana vicino Hama controllata dall’esercito siriano.

I suoi colpi di mortaio hanno ucciso quattro bambini. Quattro vite innocenti che si sommano alle 2.263 anime che ha contribuito a neutralizzare quando operava nel Ghouta orientale e, per sette lunghi anni, fino all’8 aprile 2018, seminava il terrore nei quartieri cristiani damasceni di Bab Tuma e Jaramana. Sventrandone le abitazioni e vendendone le donne al mercato nero.

Ad Idlib lo stanno ricordando come un eroe. Nell’attesa della soluzione finale ci sono caroselli per le strade in suo onore con le bandiere di Liwa Shuadha, Faylaq al-Rahman e dei Fratelli Musulmani. Che perenne infamia, per il Valhalla atlantista, essere accomunato a questi assassini.

(di Davide Pellegrino)

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