Cent'anni di Fascismo

Cent’anni di Fascismo

Cent’anni fa un’idea. Rivoluzionaria e reazionaria allo stesso tempo, nuova e dirompente come la guerra che l’aveva preceduta. Un’idea, né di destra né di sinistra, tanto nuova quanto legata alle radici della Tradizione stessa. Un’idea ardita, violenta ed esplosiva che rompeva letteralmente con il presente. I suoi alfieri erano quasi tutti ex combattenti, uomini tempratisi nelle trincee della grande guerra, nel bagno di sangue dell’Apocalisse della modernità. E proprio l’aver combattuto con anima e corpo, sacrificando sé stessi prima di tutto, rese i portatori di questa nuova idea così temerari e decisi. Le cose dovevano cambiare, e ci avrebbero pensato loro.

Come scriveva Mussolini dalle pagine del Popolo d’Italia “[…] Noi non abbiamo bisogno di attendere la rivoluzione, come fa il gregge tesserato: né la parola ci sgomenta, come succede al mediocre pauroso che è rimasto col cervello al 1914. Noi abbiamo già fatto la rivoluzione. Nel maggio del 1915. Quello fu il primo episodio della rivoluzione. Fu l’inizio. La rivoluzione è continuata sotto il nome di guerra per quaranta mesi. NON È FINITA[1]”.

Il 23 marzo 1919 nascevano, in piazza San Sepolcro a Milano, i “Fasci da combattimento”. Un “movimento sanamente italiano”, come diceva il manifesto dai Fasci. “Rivoluzionario, perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole”.

Cent'anni di Fascismo

Mussolini fondava, insieme ad un ardito manipolo di idealisti, sognatori e innovatori, un movimento che avrebbe segnato per sempre la storia del nostro paese, e non solo. Il Fascismo, per sua stessa natura, fu la Terza via, né democratica o borghese, né proletaria e comunista. Esso, ben saldo nelle radici della Tradizione che rivivificava, si sporgeva su un mondo in rovina, piegato dal male del parlamentarismo e della dittatura proletaria. La sua forza stava nella sua posizione, nell’essere lontano da qualsiasi etichetta:

Io non ho paura delle parole. Se domani fosse necessario, mi proclamerei il principe dei reazionari. Per me tutte queste terminologie di destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia o democrazia, sono vacue terminologie scolastiche. Servono per distinguerci qualche volta o per confonderci, spesso”.

(Mussolini, 27 Novembre 1922)

La nuova e antica idea fascista, sconfitta sul campo di battaglia nel 1945, assurse a crimine assoluto secondo i voleri dei vincitori. I vinti dovevano diventare la personificazione del male stesso. Così, tutt’oggi, niente è più grave, vergognoso e pernicioso di essere additato come “fascista”. Questo termine è infatti diventato il contenitore del male del mondo. Addirittura un movimento mondiale si basa sull’odio dell’idea fascista, un movimento trasversale che se non fosse esistito il fascismo, non esisterebbe esso stesso, ovvero l’antifascismo.

A cent’anni di distanza cosa è rimasto del fascismo? Cosa vive e cosa è trapassato? La risposta è nascosta nelle parole del suo fondatore ed ispiratore:

Il fascismo è un metodo, non un fine; se volete, è “una autocrazia sulla via della democrazia”.

Tutto è rimasto e niente è sconfitto, perché il fascismo non era una tessera, un partito, una religione o un “ismo”, bensì uno stile.

(M.A.F.)

 

 

 

 

[1] La citazione è tratta dal Primato Nazionale, Marzo 2019, Anno II- Numero 18, p. 26.

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