I reduci della Grande Guerra e il Fascismo: storia di un’ideologia
Non c’è dubbio che il Fascismo sia stato uno dei movimenti politici più importanti e controversi del XX secolo. Al contrario delle altre grandi ideologie del ‘800 e del ‘900, esso non nasce dalla messa in atto del pensiero di un grande filosofo politico, differentemente dal comunismo (prodotto delle idee di Marx), o dal capitalismo (figlio delle idee di grandi pensatori liberali come John Locke, Adam Smith e svariati altri autori).
Risulta assai semplicistico vedere nel Fascismo l’incarnazione delle idee personali di Benito Mussolini come fanno molti. In particolar modo sfugge il carattere progressivo dell’ideologia fascista, che si era configurata in un certo modo prima della Marcia su Roma, per poi sviluppare altre tendenze negli anni del cosiddetto impero fascista che tutti ricordiamo.
Agli albori dell’epopea fascista la figura del futuro Duce era sì importante, ma non il cardine dell’intero movimento: per capire ciò basta dare una lettura al celebre libro Diario di uno squadrista toscano di Mario Preziosi.
Mussolini era infatti da molti visto semplicemente come il fondatore del movimento e come figura di riferimento del fascismo milanese, e non come leader assoluto dei Fasci di Combattimento; quest’interpretazione della figura del futuro Duce è da inquadrare nell’ottica secondo la quale ogni fascio locale era pressoché indipendente, nel rispetto delle linee guida nazionali.
Sebbene esistano scritti ideologici relativi al Fascismo, come il Manifesto degli intellettuali fascisti e La Dottrina del Fascismo, essi sono tutti postumi alla sua nascita. Quali sono state le basi culturali che hanno portato alla formazione pensiero? Quale è stato l’evento fondante? Probabilmente, proprio l’interventismo della Prima Guerra Mondiale.
Era infatti l’11 Dicembre 1914 quando un giovane Benito Mussolini (appena espulso dal Partito Socialista e dimessosi da direttore del l’ Avanti) e Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario e futuro teorico del Manifesto di Sansepolcro e della Carta del Carnaro, fondarono a Milano il Fascio di Azione Rivoluzionaria.
Il movimento aveva come fine l’intervento dell’Italia nella Grande Guerra e poneva le sue basi ideologiche nel Fascio rivoluzionario d’azione internazionalista, un manifesto politico firmato da vari esponenti dell’interventismo, del futurismo e del sindacalismo rivoluzionario. In esso si chiedeva l’ingresso immediato dell’Italia in guerra, ovvero l’ultimo passo per la completare l’unità nazionale.
Nel periodo successivo alla fondazione del Fascio iniziò una dura battaglia mediatica tra gli interventisti, che potevano contare anche dell’appoggio di un leader carismatico come il poeta Gabriele D’Annunzio, e i neutralisti, che invece facevano capo al mondo socialista e a quello cattolico. Come è noto, la svolta si ebbe nel 1915, quando con il ‘Patto segreto di Londra’ l’Italia si impegnava ad entrare in nel conflitto insieme alle potenze della Triplice Intesa.
Dopo tre anni di guerra, nel 1918, l’Italia era tra le nazioni vincitrici. Ai trattati di pace di Versailles arrivò però la beffa: pur avendo giocato un ruolo importante nella vittoria contro gli Imperi Centrali, alcuni territori promessi (come le ben note coste dalmate) non vennero affidati alla monarchia sabauda. Ebbe così iniziò il dannunziano mito della “vittoria mutilata”.
Ad alimentare il fuoco del dissenso verso le nostre istituzioni, ritenute al tempo incapaci di fare rispettare i patti, in Italia ed in tutta l’Europa iniziò un duro periodo di lotte proletarie e scioperi, che prese il nome di “biennio rosso” (1919-1920).
In questa fase storica i socialisti e i futuri comunisti, che avevano in larga parte disertato la guerra e forti della recente rivoluzione russa, iniziarono una serie di rivolte che portarono all’occupazione di fabbriche e terreni agricoli, avanzando poi pretese verso lo Stato che, spesso, per evitare il rischio di una rottura rivoluzionaria, concedeva agli scioperanti quanto da loro richiesto.
Allo stesso tempi i reduci tornati in patria difficilmente riuscivano a reintegrarsi nella vita civile e borghese, anche per colpa di un governo che, temendo ripercussioni degli ex neutralisti e ora estremisti rossi, non forniva loro né onorificenze né un’ adeguata assistenza sociale.
A riuscire ad incanalare il malcontento dei reduci, dopo una fase iniziale di frantumazione del mondo degli ex combattenti, fu proprio quel movimento nato dall’interventismo, figlio del Fascio d’Azione Rivoluzionaria, ossia i Fasci di Combattimento, fondati a Milano da Benito Mussolini. Il progetto era quello di unire reduci, futuristi, sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti ed ex socialisti in un’unica sigla in grado di guidare il Paese.
Il movimento allargò le sue fila quasi immediatamente, senza però avere i numeri per poter entrare in Parlamento. La popolarità dei fascisti iniziò ad aumentare dopo la formazione delle milizie, le ‘squadre d’azione’ che avevano lo scopo di fronteggiare socialisti e comunisti, ottenendo così il supporto di una grande fetta della popolazione, senza tralasciare l’ugualmente importante appoggio di industriali e agrari, che avevano visto nel Fascismo, sottovalutandolo, un semplice movimento reazionario, funzionale alla soppressione degli insorti del biennio rosso.
Nel 1921 i Fasci Italiani di Combattimento cambiarono pelle: nasceva il Partito Nazionale Fascista. Una trasformazione del tutto naturale, conseguenza dell’aumento dei consensi che il Fascismo stesso riscontrò nel corso della cosiddetta ‘epopea squadrista’ e della volontà del dirigenza del movimento di prepararsi alla presa del potere.
Nel 1922, con il ‘nemico bolscevico’ abbattuto e lo stato liberale al collasso, il Fascismo organizzò la cosiddetta Marcia su Roma del 28 Ottobre 1922, nella quale Mussolini ed i suoi Quadrumviri (Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi), a capo di alcune decine di migliaia di camice nere, chiesero al Re Vittorio Emanuele III il diritto di governare il paese: Il 30 Ottobre veniva nominato Benito Mussolini primo ministro e iniziava così il Ventennio fascista.
(di Pietro Ciapponi)