Al Sud salari da fame ma Il Sole 24 ore guarda altrove

Al Sud salari da fame ma Il Sole 24 ore guarda altrove

Una sciagura, di carattere economico e sociale, ha portato una parte della nazione ossia il Mezzogiorno a incancrenirsi e a divenire un moribondo macilento da tenere in vita solo tramite sussidi e collette.

La povertà, come recita un antico proverbio, non richiede carità ma giustizia: è opportuno addentrarsi nell’insieme miserabile di ingiustizie, a livello nazionale, riversate dalla follia della globalizzazione, dall’annientamento delle aziende statali e anche dall’adesione a super-stati stranieri (come la UE) che ci rapinano continuamente nel nome del “rigore dei conti” fine a sé stesso.

Decenni di colpi di mannaia di politici nazionali incompetenti e asserviti a piani antipopolari, “rispettati” con la solerzia tipica dei manutengoli dei grandi gangster da parte dei politicanti locali simili a tanti Don Rodrigo, crudeli, inadempienti, truci, ignoranti e col solo supremo interesse di tutelare voti a breve termine e congreghe di amici, parenti e clientes.

Suscita sgomento, e anche perplessità, l’articolo de Il Sole 24 ore del 5 febbraio: citando una relazione di Tito Boeri, economista a capo dell’Inps, si sostiene che il reddito di cittadinanza nel Meridione d’Italia supererà i salari percepiti da un grande numero di italiani.

Questa ovvia constatazione dovrebbe necessariamente portare a dire che i salari dei meridionali sono inadatti, iniqui, assurdamente bassi e folli persino sotto l’ombra oscura dell’Euro, invece si sostiene che ciò avrà un impatto che può essere negativo per i salariati. Sarebbe cosa buona e giusta mantenere i salariati meridionali nella fame e nell’ingiustizia sociale, parrebbe. Cosa c’è di meglio di una schiera di disperati senza lavoro e allo stesso tempo un esercito di salariati quasi a pane ed acqua per uno sciacallo che adora definirsi “imprenditore”?

Peccato che ciò possa, forse, andare bene a qualche pezzo grosso della grande distribuzione – soprattutto straniero – e non certo ai produttori locali i quali, in un contesto dominato da disservizi, salari da fame e quindi nessuna produttività, non potranno mai piazzare i propri prodotti nelle case dei locali: l’economia politica al servizio dei lavoratori è un obbrobrio agli occhi degli ultraliberisti.

Se il reddito di cittadinanza potrà avere un effetto positivo, ossia sospingere all’aumento dei salari, sarebbe solo un bene ma ovviamente ciò è cryptonite per certi centri di potere economico-finanziario.

La miseria salariale dei meridionali

Sempre lo stesso quotidiano, nel giugno del 2018, offrì i dati inerenti a salari percepiti dagli italiani: osservandoli sembrava che nel bel mezzo dell’Italia ci fosse un crepaccio, oscuro e profondo migliaia di chilometri, che separa il Nord produttivo e industrializzato dal Sud devastato. Seguendo i dati dell’Istat emergeva che si percepisce, in media, all’anno 24.356 Euro al Nord, 21.189 al Centro e 16.113 Euro al Sud.

Una miseria rappresentata plasticamente dai numeri. La Lombardia col capoluogo, Milano, sono in testa mentre alla fine si trova la Calabria: qui, il reddito medio regionale è di 14.341 Euro, con differenze fra donne e uomini; a Vibo Valentia è poco più di 12mila Euro.

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Può mai essere accettabile un tale divario e che vi siano nostri concittadini con paghe da fame? Eppure anziché proporre politiche di industrializzazione, di ricostruzione e manutenzione delle infrastrutture pubbliche che sono lo scheletro indispensabile affinché i muscoli della produzione possano attivarsi, migliorare istruzione (per lavoratori, sia del braccio che della mente, più preparati e coscienti), sanità (per maggiore qualità della vita) e disciplina (nel Mezzogiorno dominano incontrastate mafie, malaffare, clientelismo e sporcizia all’ombra del cadavere abusato del “garantismo” nel diritto), si è fatto l’esatto opposto demolendo quel poco che c’era.

“Sprechi”, si è detto per anni, oppure “Ce lo chiede l’Europa”, o anche “Il mercato libero funziona così”: tutte balle colossali, vomitate col chiaro intento da una parte di distruggere i livelli salariali e i diritti dei lavoratori, e dell’altra per permettere solo a colossi industriali di approfittare della desolazione lasciata dalla distruzione delle attività produttive locali. Un vero affare per pochi, a danno di tutta la nazione e non semplicemente del Mezzogiorno.

La forza inespressa del Sud: un danno per tutti

Il giornale Agricoltura.it  ha ribadito, coi dati del rapporto della Svimez (Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno) e dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare; ente pubblico economico), che il potenziale del Meridione è completamente sepolto, inadoperato.

L’agricoltura, al Sud, ha superato il difficile scoglio dell’anno 2017 con numeri migliori a livello nazionale: 13 miliardi e 178 milioni, ecco l’ammontare del valore aggiunto agricolo nel 2017 nel Mezzogiorno, con un aumento del 6,1%, mentre il Centro-Nord totalizzava +2,5%. Aumenti nella produzione dell’olio (+17,3%, alla faccia delle porcherie prodotte chissà dove fuori dal Paese), mentre il maltempo ha colpito la produzione vinicola, cerealicola e di frutta.

Crescita anche per l’export alimentare dal Mezzogiorno, che totalizza la quota del 17,4% a livello nazionale; questa esportazione è cresciuta, dal Sud, di circa 3 miliardi di Euro; si tratta soprattutto di frutta, ortaggi, farine e farinacei nonchè prodotti delle colture permanenti (per esempio gli alberi da frutto, o le bacche) e non permanenti (come il tabacco).

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Nonostante tutto questo ecco i dati critici: è soprattutto la Campania, per il 44%, a offrire la quota centrale dell’export e in linea generale vi sono grandi problemi, ossia il basso livello di investimenti – nonostante la ripresa, rispetto a prima del 2017 – e poi le tre grandi piaghe: mancanza al Sud di attività, industriali, di trasformazione delle materie prime per dar maggior valore aggiunto (ci vorrebbero, ad esempio, più tabacchifici o fabbriche per inscatolare i prodotti); scarso livello organizzativo, di pianificazione della produzione e inoltre la piaga finale del crimine (mafie, clientelismo, corruzione, ecc…), che sarebbe ormai ora di schiacciare sotto i cingoli dell’autorità della legge e dello Stato.

Insomma il comparto agricolo, un vero pilastro del Mezzogiorno, potrebbe essere incrementato, foraggiato, portato a divenire un sistema agroindustriale, capace di risollevare tutto il Sud e dunque far procedere al meglio l’intera nazione, offrendo lavoro e dunque salari, ma si è remato per sin troppo tempo in altre direzioni.

Anziché notare ciò che abbiamo qui, sotto i nostri piedi, i politici in camicetta preferivano visitare la Silicon Valley e massacravano i lavoratori, mentre le infrastrutture pubbliche assieme all’intero comparto della formazione pubblica venivano lasciati a marcire.

Il provinciale spirito di chi non comprende ciò che ha, non lo sa valorizzare, e brama i successi e le vittorie altrui. Se anche i sudcoreani, i cinesi o i giapponesi avessero ragionato come certi politicanti, oggi le loro nazioni continuerebbero a produrre riso anziché essere locomotive della produzione industriale.

Quale futuro in questo modo?

Il partenopeo Il Mattino  basandosi su indagini sempre dello Svimez e di altre entità, fra le quali Confindustria, rammentava che l’abbandono scolastico è endemico al Meridione: studenti che abbandonano la scuola dell’obbligo, per poi non comparire fra gli occupati.

Il 37,2% degli iscritti al portare Garanzia Giovani, per trovare lavoro, sono meridionali. Si parla di 300mila ragazzi fuggiti dall’istruzione: le mafie, il lavoro nero o sottopagato o senza alcuna possibilità di crescita salariale e di carriera sono i mostri che inghiottono i giovani, sospinti anche dal dominio incontrastato di un sistema scolastico carente, permissivo.

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In questo modo non si forma nessuna classe operaia, nessun cittadino, nessun membro attivo della società, non si costruisce nulla per migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi, bensì si permette il declino indecoroso di una parte della nazione quindi di tutta l’Italia.

Si è proseguito su questo sentiero, che porta direttamente nel bosco della perdizione, per sin troppo tempo tagliuzzando servizi e persino infrastrutture produttive pubbliche al Sud: ciò è inconcepibile. Una seconda Bagnoli, ossia il tracollo di un altro grosso settore industriale meridionale, sarebbe devastante: opporsi e vincere questa battaglia è sacro per chiunque ha a cuore i lavoratori e tutto il nostro popolo.

(di Pietro Vinci)

 

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