L’omicidio di Desirée, 16 anni, è l’ulteriore segnale dell’impraticabilità del multiculturalismo. Considerare ogni cultura pari all’altra, senza differenze, secondo un dogma politico-ideologico equivale ad alimentare relativismi, frammentazioni, disuguaglianze, intolleranze ed incomunicabilità. È illusione.
Il retroterra culturale del gruppo di magrebini ed africani del quartiere San Lorenzo, a Roma, prevede la legittimazione e la normalizzazione di pratiche quali la mutilazione di organi femminili, il matrimonio minorile combinato fra i genitori e le violenze sulle donne. Lo abbiamo visto nel modus operandi dell’orribile crimine commesso. Un fattore completamente impermeabile al vivere comune. Tollerarlo senza stroncarlo all’origine ha equivalso a rinunciare a far valere addirittura i diritti fondamentali della persona umana. Giustificarlo, invece, crea segmenti chiusi in sé stessi, come sta progressivamente accadendo in tutta Europa.
In Gran Bretagna, ad esempio, a fronte di una crescente depenalizzazione di reati commessi da extracomunitari perché in base a consuetudini particolari, le tensioni non si contano. Dal 2015, i casi di islamofobia quali “ritorsioni” a questo status quo hanno avuto un incremento del 47%. Da 437 a 642. Di questi il 54% (349) è rappresentato da abusi verbali e non verbali mentre il 19% da veri e propri attacchi fisici. Questi ultimi, anche e specialmente, in virtù degli attentati accaduti a Londra il 22 marzo 2017 e Manchester due mesi esatti dopo.
Il mito ostentato dal politicamente corretto mostra e dimostra ormai tutti i suoi limiti. E anziché porre delle dovute contromisure – come severi criteri di rispettabilità agli allogeni di importazione – si rimane inermi a subire i suoi nefasti effetti collaterali. Un lento suicidio.
(di Davide Pellegrino)