Venezuela, il piano Guaidó per svendere il petrolio agli USA

Venezuela, il piano Guaidó per svendere il petrolio agli USA

Per buona parte dei precedenti vent’anni, i critici della politica estera americana hanno evidenziato come, spesso, i paesi in cui si portavano avanti “interventi umanitari” per “restaurare la democrazia” siano quelli con grandi riserve di petrolio. L’analisi degli sforzi americani per provocare il regime change e la “promozione della democrazia” in Venezuela collega questi sforzi al fatto che il paese sudamericano possegga le più grandi riserve petrolifere mondiali.

Tuttavia, l’attuale sforzo americano per rovesciare il governo retto dal politico chavista Nicolas Maduro si è distinto per l’aperta ammissione, da parte degli architetti del colpo di stato, che piazzare le industrie americane – Chevron e Halliburton in primis – nella gestione delle riserve petrolifere venezuelane è uno dei fattori che stanno dietro a questa politica aggressiva.

La scorsa settimana, il senatore Marco Rubio, uno degli uomini più importanti dell’amministrazione Trump dietro alla spinta per il cambio di regime, ha twittato: “I più grandi acquirenti di petrolio venezuelano sono Valero Energy e Chevron. La raffinazione del greggio venezuelano crea molti posti di lavoro nella costa del Golfo. Per il bene di questi lavoratori americani spero che inizino a lavorare con l’amministrazione del Presidente Guaidó e buttino giù l’illegittimo regime di Maduro”.

A gennaio, il governo americano ha riconosciuto Juan Guaidó del Partito di Volontà Popolare, fondato dagli USA e collegato alla CIA, come “legittimo” presidente del paese.

Alcune ore dopo il tweet di Rubo, il consigliere della sicurezza nazionale John Bolton – che ha supportato attivamente il fallito colpo di stato venezuelano del 2002 – è apparso su Fox News e ha detto questo: “Stiamo guardando agli asset petroliferi. Quella è la fonte più importante di finanziamento per il governo del Venezuela. Stiamo cercando di capire che cosa farne”.

Anche se questa è già di per sé un’ammissione chiara, Bolton non si è fermato lì:

Siamo in collegamento con le maggiori compagnie americane, sia quelle presenti in Venezuela che quelle negli Stati Uniti, come Citgo. Penso che tutti vogliamo lo stesso risultato… farà una grossa differenza economica per gli Stati Uniti, se riusciremo a fare investire le aziende americane nel paese grazie alle riserve venezuelane”

Le dichiarazioni di Bolton hanno attirato considerevole attenzione sui media alternativi per la loro sfrontatezza, dal momento che tradizionalmente le vere intenzioni degli interventi statunitensi sono emerse solo da documenti segreti che vengono trafugati. Si è data molta attenzione, soprattutto, al fatto che Bolton abbia dichiarato che l’amministrazione Trump stia lavorando a stretto contatto con “le maggiori compagnie americane, sia quelle presenti in Venezuela che quelle negli Stati Uniti, come Citgo”. Visto che Citgo è in larga maggioranza posseduta dalla compagnia petrolifera di stato venezuelana Petroleos de Venezuela SA (PDVSA), la dichiarazione di Bolton svela che le aziende maggiormente coinvolte nel regime change di Washington sono quelle presenti sul suolo venezuelano.

Attualmente ci sono solo due grandi compagnie petrolifere con una presenza significativa in Venezuela, Chevron e Halliburton. Tuttavia, Chevron è la compagnia che più di tutte le altre ha dei grossi investimenti in Venezuela: Halliburton ha ritirato buona parte delle sue attività economiche nel paese l’anno scorso, perdendo centinaia di milioni di dollari.

Queste due compagnie sono “partner storici”, e tra loro hanno da molti decenni una solida relazione commerciale. In aggiunta, entrambe hanno beneficiato degli interventi militari statunitensi all’estero – come ad esempio la guerra in Iraq, dove il governo americano ha “aperto” l’industria petrolifera nazionale agli investimenti delle compagnie americane.

Ora, con l’industria petrolifera nazionale venezuelana sotto tiro, Chevron e Halliburton sono di nuovo sul punto di ottenere benefici dalle politiche estere di Washington. Oltretutto, come suggeriscono le recenti dichiarazioni di Bolton, queste compagnie sono anche le maggiori sponsor dell’attuale tentativo americano di rovesciare il governo di Caracas.

PROFITTI ALTI (MA NON COME UN TEMPO)

La storia della Chevron in Venezuela è lunga e articolata, visto che la sua presenza nel paese inizia più di un secolo fa. La presenza di Chevron in Venezuela è rimasta una costante durante tutto questo tempo, nonostante i continui e drastici cambi di governo nel paese, dalla dittatura militare al movimento chavista socialista.

Per buona parte della storia del Venezuela, Chevron ha dovuto fare i conti con le leggi del governo riguardanti la produzione petrolifera, in particolare una legge del 1943 secondo la quale le compagnie straniere non potevano ottenere dal petrolio un profitto maggiore di quello dello stato venezuelano. Alcuni decenni dopo, nel 1960, le compagnie straniere dovettero gestire i propri progetti di estrazione lavorando a stretto contatto con le compagnie venezuelane, che successivamente si sono unite nell’attuale compagnia statale PDVSA, creata nel 1976. È stato intorno a questo periodo che la Halliburton ha iniziato a lavorare in Venezuela.

Tuttavia, le aziende straniere – e in particolare quelle americane – non gradivano il fatto di avere una quota minoritaria nei progetti della PDVSA, e volevano ritornare ai lontani tempi dell’estrazione petrolifera venezuelana in cui compagnie come la Standard Oil di Rockefeller macinava enormi profitti dagli asset petroliferi venezuelani.

Dopo la “apertura petrolera” agli investimenti stranieri nei primi anni novanta, e specialmente sotto il governo filoamericano di Rafael Caldera, il presidente immediatamente precedente a Hugo Chavez, sembrava che la privatizzazione della PDVSA sarebbe presto diventata una realtà, e che le compagnie come Chevron, ExxonMobil e Halliburton avrebbero presto goduto di una nuova era dell’oro degli interessi petroliferi venezuelani. Tuttavia, la caduta in disgrazia di Caldera e la nascita del Chavismo hanno presto mandato in fumo i sogni delle aziende e dei politici americani.

Non solo Chavez ha immediatamente fermato ogni possibilità di una privatizzazione di PDVSA, ma ha anche indebolito l’influenza che le compagnie petrolifere transnazionali avevano sull’industria nazionale. Per la precisione, ha eletto nel consiglio direttivo della PDVSA degli esperti indipendenti, ponendo fine alla consuetudine del passato, in cui i manager della PDVSA avevano stretti legami con le compagnie internazionali.

Chavez ha, inoltre, ridotto ulteriormente la proprietà privata di alcuni progetti petroliferi al 49%, e ha licenziato l’allora presidente della PDVSA, rimpiazzandolo con un alleato politico. Questi drastici cambi hanno portato a uno sciopero dei dipendenti della PDVSA, uno sciopero che ha preceduto di poco il fallito colpo di stato dell’aprile 2002.

A seguito del golpe, Chavez ha smantellato la joint venture nata nel 1996 tra la PDVSA e la sussidiaria americana della SAIC, conosciuta come INTESA. INTESA, secondo l’accordo, controllava tutti i dati della PDVSA (e i suoi segreti), che poi venivano venduti al governo americano e alle compagnie petrolifere statunitensi, fin quando Chavez non ha posto fine alla cosa.

Ciò non dovrebbe sorprendere, dal momento che tra i manager della SAIC figuravano due ex segretari della difesa e due ex direttori della CIA. Una mossa intelligente da parte di Chavez, che ha indebolito il vantaggio delle aziende americane, le quali riuscivano a mettere mano a informazioni riservate della PDVSA.

Le tensioni tra il governo di Chavez e il governo americano sono cresciute fino a raggiungere l’apice nel 2007. Quell’anno, Chavez ha annunciato un decreto in cui nazionalizzava i rimanenti siti di estrazione ancora sotto controllo delle compagnie straniere, dando alla PDVSA un minimo del 60% della quota di partecipazione. Le compagnie petrolifere americane ExxonMobil e ConocoPhillips di conseguenza hanno perso buona parte delle loro operazioni venezuelane, perdendo miliardi di dollari. Il presidente di ExxonMobil dell’epoca era Rex Tillerson, che sarebbe poi diventato il primo segretario di stato della presidenza Trump.

Tuttavia, durante questo periodo, Chevron, unica tra le compagnie americane, ha visto un’opportunità e ha speso gli anni successivi coltivando legami stretti con il governo chavista e con Chavez stesso. Attraverso gli sforzi del direttore esecutivo di Chevron, Ali Moshiri, Chevron ha costruito un sentiero che in seguito sarebbe servito come modello per le altre aziende che volevano fare business nel Venezuela di Chavez. Halliburton e un’altra compagnia petrolifera americana, Schlumberg, hanno deciso per questo motivo di riaprire le proprie attività in Venezuela.

Durante questo periodo, il governo venezuelano attraverso la PDVSA e la Chevron hanno creato diverse joint venture: una delle più importanti è diventata nota come Petropiar, nella quale il petrolio greggio veniva miscelato con altre sostanze per renderlo più facilmente trasportabile. Tuttavia Chevron, a causa delle riforme di Chavez, è stata obbligata a detenere una quota di minoranza in tutte queste attività.

Halliburton, che è sempre stato uno degli operatori principali nei giacimenti petroliferi detenuti dalla Chevron, ha stretto una nuova alleanza con Chevron dopo il 2007, e ha lavorato nei giacimenti Petropiar e Petroboscan, nei quali Chevron deteneva una minoranza della partecipazione.

Per anni, la scommessa della Chevron sul chavismo ha portato risultati e profitti. Moshiri è apparso in diverse occasioni in pubblico con Chavez, che una volta ha definito il dirigente della Chevron “un caro amico”. Tuttavia, a seguito della morte di Chavez nel 2013, e con l’inizio dell’assedio americano al Venezuela – prima attraverso la manipolazione del prezzo del petrolio in cooperazione con l’Arabia Saudita, poi attraverso le sanzioni – i profitti di PDVSA, e dunque della Chevron, sono crollati drasticamente. In questo periodo la Schlumberg ha ridotto in maniera drastica le sue operazioni in Venezuela.

Da allora, le relazioni tra il governo di Maduro e la Chevron sono rapidamente precipitate, e ora, con il colpo di stato americano in corso, la Chevron vuole che il governo chavista venga rovesciato, nella speranza che i profitti non solo migliorino, ma che superino quelli dell’epoca della partnership tra Chevron e Chavez.

CHI SCOMMETTE SUL REGIME CHANGE?

Nel momento in cui la produzione di petrolio è calata e i profitti hanno continuato a scendere, le tensioni tra la Chevron e il governo Maduro sono aumentate; nel 2017, il governo Maduro ha iniziato ad arrestare diversi impiegati della Petropiar – la joint venture tra Chevron e PDVSA – durante una controversa indagine per corruzione.

Per la Chevron, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’arresto, lo scorso aprile, di due impiegati della Chevron che lavoravano al giacimento Petropiar, detenuti per sette settimane con l’accusa di truffa. Quelle tensioni – in combinazione con i timori che le operazioni della Chevron in Venezuela sarebbero diventate non più profittevoli in meno di cinque anni – sono state riportate in un articolo pubblicato dal Wall Street Journal, in cui si sosteneva che la Chevron stava seriamente considerando di lasciare il Venezuela definitivamente.

Tuttavia, nonostante le speculazioni dei media americani, la Chevron ha negato che stesse programmando di lasciare il Venezuela. Il presidente della Chevron per l’Africa e l’America Latina, Clay Neff, ha dichiarato a Bloomberg: “abbiamo degli impegni con il Venezuela e intendiamo rimanere nel paese per molti anni a venire”, aggiungendo che l’articolo del WSJ era “impreciso”. “Siamo nel paese da quasi cento anno, sappiamo come lavorare, siamo un operatore molto esperto e manteniamo gli impegni con il nostro partner PDVSA”, ha dichiarato Neff.

Anche le attività della Halliburton hanno subito duri colpi negli anni recenti, con la compagnia che ha perso quasi un miliardo di dollari di investimenti dal 2017. Sempre in quell’anno, Halliburton è stata costretta a sospendere 647 milioni di dollari di investimenti in Venezuela, ed è stata costretta l’anno scorso a rinunciare a investimenti per 312 milioni di dollari.

Il capo finanziere di Halliburton, Christopher Weber, ha detto al New York Times che “il collasso della moneta venezuelana e il peggioramento del clima politico”, così come le sanzioni americane, erano tra le cause delle decisioni. Halliburton ha aggiunto, in una dichiarazione, che intendeva “mantenere la sua presenza in Venezuela”.

Dal momento che sia Halliburton che Chevron hanno annunciato la loro intenzione di “superare la tempesta” nonostante le crescenti tensioni, è diventato sempre più evidente che entrambe le compagnie trovavano la promessa americana di aumentare il controllo sul settore petrolifero venezuelano attraverso le privatizzazioni molto più invitante della prospettiva di girare attorno alle sanzioni americane su PDVSA, così come della prospettiva di fare i conti con gli scarsi profitti causati dal declino dell’economia venezuelana e dalla degradazione delle sue infrastrutture petrolifere.

Ciò solleva la possibilità che Chevron e Halliburton abbiano deciso di resistere alla crisi economica venezuelana e le crescenti tensioni con Maduro perché stavano scommettendo su un’aggressiva politica di regime change nel paese. Infatti, alcuni analisti hanno dichiarato che la pianificazione sarebbe iniziata soltanto lo scorso novembre, circa nello stesso periodo in cui la Chevron ha deciso di rimanere nel paese nonostante gli scarsi profitti.

Il fatto che il declino delle operazioni della Chevron in Venezuela fosse previsto entro cinque anni, come risultato del settore petrolifero e dei problemi economici venezuelani, porta ulteriore adito alla possibilità che la Chevron intenda supportare lo sforzo americano di alterare drammaticamente il governo venezuelano.

Nel caso della Halliburton, il fatto che la compagnia abbia già perso oltre un miliardo di dollari nei suoi investimenti venezuelani dal 2017 offre un motivo diverso, uno che vede non solo il recupero delle perdite, ma anche la conquista di nuovi contratti in un eventuale Venezuela post-colpo di stato.

I capi della Halliburton di sicuro di ricordano dei quasi 40 miliardi di dollari in profitti che hanno ottenuto a seguito dell’invasione americana dell’Iraq. È bene ricordare che sui media la Halliburton ha ribadito la sua decisione di “rimanere sul mercato venezuelano”: prova che è nel suo interesse ritagliarsi un ruolo nel paese, a prescindere da chi lo governi.

Non dovrebbe sorprendere, dunque, che le recenti sanzioni americane sul settore petrolifero venezuelano includevano esenzioni sia per la Halliburton che per la Chevron. Ugualmente non sorprendente il fatto che l’autoproclamato presidente del Venezuela sostenuto dagli Stati Uniti – Juan Guaidó – abbia già reso nota la sua intenzione di aprire gli asset petroliferi venezuelani alle industrie straniere, se riuscirà a succedere a Maduro.

Secondo l’agenzia di oil rating S&P Global Platts, Guaidó ha già dei “piani per introdurre nuove leggi nazionali sugli idrocarburi che stabiliranno una fiscalità flessibile e termini contrattuali per progetti adattati al prezzo e al ciclo di investimenti del petrolio”. Questo piano creerebbe anche una “nuova agenzia di idrocarburi” la quale “offrirà gare d’appalto per progetti riguardanti il gas naturale e il petrolio greggio” alle compagnie petrolifere internazionali.

Il messaggio è chiaro: il “presidente” venezuelano amico degli Stati Uniti sta già segnalando ai suoi mentori di Washington che privatizzerà rapidamente la compagnia petrolifera nazionale, se riuscirà a prendere il potere; una mossa che è da molto tempo un componente chiave dell’opposizione venezuelana sostenuta dagli USA, del quale Guaidó fa parte.

Le recenti dichiarazioni di Bolton hanno reso chiaro che la Chevron e la Halliburton saranno i principali beneficiari di queste privatizzazioni, in quanto entrambe hanno investito molto nel Venezuela, e la Chevron è l’unica compagnia americana ancora arriva nel paese. La relazione molto stretta di entrambe le compagnie con il governo americano, e la coordinazione segreta per minare o rovesciare il governo, suggerisce che le due aziende abbiano un ruolo all’interno dell’ingerenza americana in Venezuela.

LA GUERRA TI RENDE RICCO

Se gli Stati Uniti riusciranno a rovesciare Maduro e a mettere Guaidò al suo posto, sarà solo l’ultimo esempio di una politica americana che offre diretti benefici alla Chevron e alla Halliburton. Nel caso della Chevron, la crescita della compagnia fino a diventare uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo è sempre stata legata all’establishment americano, a prescindere che la presidenza fosse Democratica o Repubblicana. Come ha notato Seeking Alpha:

le azioni della Chevron hanno guadagnato complessivamente il 247% sotto i presidenti Reagan e George HW Bush. Sotto la presidenza Bush, le sue azioni sono cresciute del 157%, mentre durante le presidenze di Clinton e Obama sono aumentate rispettivamente del 222% e del 112%”

Chevron ha lavorato assieme ai passati presidenti per minare i governi regolarmente eletti allo scopo di far avanzare i propri interessi economici: l’esempio più recente è Haiti. Documenti di Wikileaks dimostrano che nel 2006 e nel 2007 la Chevron si è alleata con la ExxonMobil e il governo americano per minare la presidenza dell’ex presidente haitiano René Préval, dopo che quest’ultimo aveva stretto un accordo con l’alleanza petrolifera PetroCaribe di Chavez, che avrebbe permesso al paese di comprare petrolio venezuelano a prezzo di favore.

Oltretutto, la Chevron ha beneficiato molto dell’intervento americano in Iraq, e i suoi rappresentanti erano tra coloro che si sono incontrati con l’allora vicepresidente Dick Cheney nel 2003 per pianificare le industrie dell’Iraq “post-guerra” (ovvero post-invasione), cosa che ha permesso a Chevron di acquisire la proprietà di diversi giacimenti petroliferi iracheni.

Casualmente, la famiglia dell’allora presidente George W. Bush è tra i maggiori azionisti di Chevron. In aggiunta, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Condoleeza Rice era una dirigente della Chevron negli anni ‘90, ed è stata responsabile del consiglio direttivo poco prima di unirsi all’amministrazione Bush. Nel 1993, addirittura, la Rice aveva una nave petroliera della Chevron con il suo nome sopra.

Anche se la Chevron ha beneficiato molto dalla distruzione dell’Iraq ad opera dell’amministrazione Bush, Halliburton è certamente il maggiore vincitore del conflitto in Iraq, dal momento che ha ottenuto 39.5 miliardi di dollari di profitti con i suoi generosi contratti per “ricostruire” il paese. La cosa non dovrebbe sorprendere, dal momento che Cheney è stato loro CEO per decenni e, anche quando serviva come vicepresidente, possedeva un pacchetto azionario pari a 34 milioni di dollari.

L’Iraq è stato nel mirino dell’amministrazione Bush dal momento in cui è salito al potere, in particolar modo a seguito della formazione dell’Energy Task Force di Cheney nel 2001, che puntava alla privatizzazione dell’allora pubblica industria petrolifera irachena e spartiva i giacimenti petroliferi tra le compagnie americane anni prima che la guerra avesse inizio.

UN NUOVO PRESIDENTE

Le speranze della Chevron per una politica americana che favorisca la sua crescita tanto domestica quanto globale sono continuate con l’amministrazione Trump, come evidenziano i 500.000 dollari donati al comitato inaugurale di Trump e l’elogio del loro top executive per “l’ambiente favorevole alle imprese” dell’amministrazione Trump.

Infatti, nel marzo 2017, l’allora CEO di Chevron John Watson ha detto alla CNBC che si erano già incontrati con lo staff della Casa Bianca “in diverse occasioni” già nei primi tre mesi dell’amministrazione, incontri definiti “incoraggianti”. “Abbiamo trovato un ambiente molto più favorevole al business… penso che il loro approccio verso l’impresa, per permettere alla nostra economia di crescere ancora, sia molto positivo”, ha detto Watson.

Anche l’Halliburton coltiva grandi speranze con Trump, visto che il presidente fino al dicembre 2016 possedeva tra le 50.000 e i 100.000 dollari di azioni, prima di venderle per evitare “conflitti di interessi” durante la sua presidenza. Tuttavia, alcune delle primissime scelte politiche di Trump sono state descritte dai media come direttamente benefiche per la Halliburton, inclusa la scelta dell’amministrazione di aprire alcune terre pubbliche alle trivellazioni petrolifere.

Oltretutto, il recente scandalo che ha portato alle dimissioni del segretario degli interni di Trump, Ryan Zingle, riguardava un presunto caso di corruzione con il presidente di Halliburton David Lesar; il che ci suggerisce che il potenziale conflitto di interessi dell’amministrazione Trump non sia scomparso magicamente a seguito della vendita del pacchetto personale di Trump.

Fin dai primi giorni dell’amministrazione, sia Halliburton che Chevron hanno beneficiato direttamente dalle scelte politiche dell’amministrazione Trump, sia interne che estere. Per esempio, Chevron e Halliburton hanno beneficiato molto dal taglio delle tasse dell’amministrazione Trump, che, come si è scoperto, non hanno avuto nessun impatto sulla crescita economica dell’azienda o sull’assunzione dei dipendenti, ma hanno invece permesso alle mega-corporations di ricomprare azioni in massa al fine di aumentarne il valore sul mercato. I dirigenti di Chevron hanno “consigliato” ai governi di tutto il mondo di attuare leggi simili.

Oltretutto, consideriamo la scelta di Trump di ritirarsi dall’Extractive Industries Transparency Initiative (EITI), che, come ha spiegato Reuters, si tratta di “uno standard globale per i governi affinché questi dichiarino i loro profitti dagli asset petroliferi, gassosi e minerari, e per le compagnie affinché rendano pubblici i pagamenti fatti per ottenere accesso alle risorse pubbliche, così come altre donazioni”. Bloomberg ha evidenziato che la scelta di ritirarsi dal trattato è nata da “una lunga battaglia di lobby condotta dall’American Petroleum Institute, dalla ExxonMobil e dalla Chevron”.

Bisogna dire però che la Chevron, tuttavia, non è sempre stata d’accordo con tutte le politiche di Trump, visto che l’azienda ha criticato molto l’amministrazione Trump lo scorso luglio per l’imposizione di tariffe sull’acciaio durante la prima fase della “guerra commerciale” con la Cina. Quelle critiche, però, sono sparite alcuni mesi dopo, quando un’altra scelta di Trump – la sua decisione draconiana di colpire il settore petrolifero iraniano – è diventata realtà.

Come ha evidenziato a novembre il Washington Examiner, le sanzioni di Trump contro il petrolio iraniano “si sono dimostrate molto lucrative per gli azionisti di ExxonMobil e Chevron”, e sono risultate in un profitto nel terzo trimestre che “a Wall Street ha superato ogni immaginazione”. L’Examiner ha anche evidenziato come le sanzioni di Trump sulle esportazioni di petrolio iraniano abbiano aumentato i profitti della Chevron fino a 4.1 miliardi di dollari.

La reazione della Halliburton alla politica di Trump verso l’Iran, tuttavia, è piuttosto ambigua, visti i propri interessi commerciali in Iran e il fatto che abbia beneficiato dall’accordo sul nucleare iraniano approvato dalla precedente amministrazione di Barack Obama. Tuttavia, poiché la Halliburton ha una presenza molto radicata in Iran, se l’amministrazione Trump riuscisse a rovesciare il regime nel paese, l’azienda sarebbe tra i primi beneficiari.

Oggi, con le grandi riserve petrolifere venezuelane nel mirino dell’amministrazione Trump, la Chevron si aspetta di guadagnare dalle politiche estere di Trump, che in diverse occasioni sono state guidate dalle scelte riguardanti il petrolio.

TRUMP E LA FILOSOFIA “PRENDI IL PETROLIO”

Anche se Trump non l’ha ancora dichiarato, l’uscita di Bolton riguardo il nesso evidente tra il petrolio venezuelano e la politica del regime change, le sue passate dichiarazioni riguardo interventi in posti ricchi di petrolio dimostrano che Trump, da molto tempo, sostiene gli interventi militari all’estero se da questi si può mettere mano sulle riserve naturali del paese, per la precisione sul petrolio.

Nel 2011, Trump disse al Wall Street Journal che avrebbe supportato l’intervento americano in Libia se gli USA avessero potuto “prendere il petrolio”. A otto anni di distanza dall’intervento, la Libia è senza un governo centrale ed è ora un sito di attività terroristiche, commercio illegale di armi e vendita di schiavi.

Allora, nel 2016, il candidato Trump sostenne di nuovo che gli USA avrebbero dovuto “prendere il petrolio” quando intervenivano o invadevano uno stato estero. Trump ha detto a NBC News nel settembre 2016 che il gruppo terroristico ISIS era emerso solo perché gli USA non avevano preso il petrolio iracheno dopo l’invasione del 2003. Riguardo all’Iraq, disse:

Andiamo là, spendiamo 3 triliardi di dollari, perdiamo migliaia e migliaia di vite, e poi guarda, succede che non otteniamo nulla. Sai, una volta si diceva che il vincitore prendeva tutto. Adesso, là non c’è stata alcuna vittoria, credetemi. Non c’è stata nessuna vittoria. Ma come ho sempre detto, prendete il petrolio

Anche se Trump non ha pubblicamente dichiarato la sua politica “prendete il petrolio” riguardo la situazione in Venezuela, lo ha fatto privatamente durante diversi meeting alla Casa Bianca. Secondo il Wall Street Journal:

Trump ha chiesto un briefing sul Venezuela nel suo secondo giorno di presidenza, spesso parlando al suo team riguardo le sofferenze del popolo venezuelano e dell’immenso potenziale del paese di diventare ricco grazie alle sue riserve petrolifere”

Dunque l’ammissione di Bolton, così come quella di Rubio secondo la quale l’amministrazione Trump vuole puntare al petrolio venezuelano e darlo alle aziende americane, sono in linea con una politica che il presidente stesso sostiene da molto tempo.

PRIVATIZZATE PDVSA, NON IMPORTA QUANTI MORIRANNO”

Proprio come per l’Iraq, la Libia e altri interventi americani motivati dal petrolio, la distruzione dell’industria petrolifera venezuelana e la sua privatizzazione alle compagnie americane sono i fattori guida dietro alla politica di regime change verso Caracas.

Mentre le precedenti amministrazioni hanno tentato di mascherare le loro “guerre per il petrolio” con la scusa di “restaurare la democrazia”, l’amministrazione Trump e gli architetti del colpo di stato sono “usciti dal copione” e hanno già dichiarato i veri motivi dietro l’intervento in Venezuela.

Quello che è importante notare delle spinte americane per il regime change è il tempismo. Anche se le compagnie come Chevron e Halliburton hanno continuato a perdere profitti per anni, queste sono riuscite a contenere l’emorragia grazie alla produzione record di shale oil americano. Tuttavia, l’”era d’oro” dello shale americano sta già svanendo: esperti industriali come Harold Hamm, così come la compagnia rivale di Halliburton, Schlumberg, si aspettano che la produzione di shale oil crolli del 50 per cento entro quest’anno. Hamm è uno stretto confidente del presidente Trump.

Quando ciò accadrà, le compagnie americane saranno nei guai. Però, se Guaidò dovesse salire al potere e privatizzare la PDVSA, le compagnie petrolifere americane – con Chevron e Halliburton a capo del branco – potrebbero ottenere enormi profitti dalla nazione più ricca di petrolio del mondo, così come hanno fatto in Iraq a seguito della privatizzazione della sua industria petrolifera dopo l’intervento americano.

Peggio ancora, come si è visto in Iraq e in Libia, Washington è disposto a uccidere migliaia di persone innocenti in Venezuela – sia attraverso un intervento militare diretto che una guerra per procura – per dare beneficio alle compagnie americane. Il popolo americano permetterà a un’altra amministrazione di distruggere un altro paese per consentire a Chevron, Halliburton e altre industrie di pagare i loro azionisti?

(da MintPress News – traduzione di Federico Bezzi)

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