Governo gialloverde: perché la caduta sarebbe una sconfitta

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Il governo Conte sembra al capolinea: questo è ciò che trapela dopo l’incontro del premier con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma la politica italiana potrebbe subirne sviluppi non proprio piacevoli.

Cominciamo dalle premesse: questo governo non ha mai avuto le pretese di essere un entità compatta. E’ stato, sin dalla sua fondazione, una complicata stasi di equilibrio tra due forze evidentemente diverse che, a seguito dell’impossibilità di governare da sole, hanno deciso di proseguire sulla strada del famoso “contratto” messo a punto tra Salvini e Di Maio nel maggio del 2018.

Nonostante queste basi per così dire “deboli”, il governo gialloverde era riuscito, in modo non propriamente lineare, a produrre una politica interessante almeno per due delle questioni che maggiormente soffocano il nostro Paese negli ultimi anni: l’immigrazione massiva e illegale da un lato, e la latitanza dell’interventismo statale nell’economia dall’altro.

Niente di rivoluzionario o clamoroso, sia chiaro: l’immigrazione è stata consistentemente frenata ma non fermata, mentre sul fronte economico ciò che è venuto fuori sono provvedimenti che possono costituire le basi per un futuro che cominci quanto meno a valutare l’esistenza di un’alternativa al liberismo selvaggio di matrice europeista nel quale siamo ingabbiati da una trentina d’anni. Un liberismo che ha assassinato senza pietà gran parte dell’economia di Stato, sia quella valida e prolifica (supermercati, autostrade) che quella più esosa e malgestita (Alitalia), conducendo a una situazione in cui la precarietà del lavoro non è più l’eccezione ma la regola.

Quota 100 e il Decreto Dignità da un lato (con tutti i loro limiti) e la caduta degli sbarchi di clandestini dall’altro sono stati – comunque la si veda- dei fattori di discontinuità rispetto alle politiche governative degli ultimi dieci anni.

I 5 Stelle si sono da sempre rivelati la croce di questo governo per molti aspetti, ma al tempo stesso il loro curioso accoppiamento con la Lega ha fatto sì che le inesperienze e le incompetenze di molti grillini trovassero una propria dimensione evolutiva, in grado se non altro di non essere indirizzate verso l’ennesima brutta copia del PD “pur essendo ufficialmente ostili alla politica non di sinistra del PD” (per intenderci, la stessa sorte di tutti gli inutili scissionismi di sinistra, dai RC, a SEL fino a giungere al recentissimo La Sinistra), oltre che di frenare almeno in parte alcune correnti della Lega più inclini al liberismo estremo.

E’ chiaro che, semmai si andasse ad elezioni, un’alleanza Lega – Fratelli d’Italia sarebbe certamente più solida da un punto di vista ideologico: partiti simili, visioni simili, meno litigi. Sembrerebbe lineare.

Ma la storia della politica italiana degli ultimi 30 anni ci dimostra quanto la linearità, in un sistema debole come il nostro, non solo non sempre paghi, ma sia ancora più vulnerabile agli attacchi esterni, che subito si adoperano per metterla fuori gioco: è accaduto a Craxi nel 1992, è ricapitato a Berlusconi nel 2011.

Aggiungiamo un altro elemento da non sottovalutare, ovvero il terreno dei contrasti con l’Unione Europea. Salvini ha insistito molto negli ultimi mesi sul cosiddetto “shock fiscale”, ovvero una riduzione delle tasse che non sia moderata ma percepibile immediatamente, e in modo netto, dagli italiani. La storica battaglia per la Flat Tax ha sempre giocato in questi termini, mentre l’ostilità dei grillini non ha mai tardato a farsi sentire, sebbene meno accentuata nelle ultime settimane.

Si tratta di un fattore che si sarebbe potuto aggiungere alla Quota 100 dell’anno scorso, provvedimento che non casualmente non aveva attirato commenti esattamente entusiastici da parte della matrigna Bruxelles, e questo sebbene il valore del rapporto Deficit-PIL del governo Conte sia stato il più basso tra tutti gli esecutivi degli ultimi decenni.

Considerate le insistenze del leader della Lega per l’abbattimento del carico fiscale, il momento decisivo per vederne la realizzazione o il fallimento era dunque adesso. Per meglio dire, il venturo autunno. Non tra un anno, non dopo nuove elezioni, ma tra alcune settimane. O si sarebbe visto davvero qualcosa, oppure no.

Se il governo Conte cadrà, come a questo punto potrebbe essere probabile, quel momento decisivo sarà rimandato. E le opzioni saranno sempre le stesse.

La peggiore è il solito governo tecnico che, dai tempi del “Lamberto Dini 1995” è una soluzione che ha solo un risultato reale: prendere tempo rispetto a qualsiasi vago tentativo di discontinuità. Aspettare le elezioni. Far sgonfiare e perdere consensi alla maggioranza “discontinua” di turno. Perché tutto torni a regime al giro successivo, la gente dimentica, o per lo meno ha sempre dimenticato. “Tentiamola sempre”, penserà il conservatore.

La meno peggiore, ovviamente, sono le elezioni. Che però per chi comanda realmente potrebbero portare a un primo risultato simile a quello del succitato governo tecnico, ovvero di nuovo “prendere tempo”. Il nuovo esecutivo, ammesso e non concesso che ne abbia le intenzioni, dovrà infatti ricominciare da capo come è naturale che sia. Nel frattempo, il “momento decisivo” sarà già bello che passato. E giro-giro-tondo.

Allo stato le nuove consultazioni porterebbero a un governo Lega – Fratelli d’Italia, per l’appunto, salvo sconvolgimenti attualmente imprevedibili. Un gabinetto coeso? Senz’altro. Discontinuo sulla politica estera forse più del governo gialloverde? Pure. Passibile di essere abbattuto da un golpe facile? Ahimè, è un’ipotesi da non scartare.

Il sistema azzanna quando constata atteggiamenti decisi, rimane un po’ più titubante quando assiste a discussioni e a litigi. È come la mafia: non interviene se non è assolutamente necessario. Per quello, in qualche maniera, la “melina” dei gialloverdi ha rappresentato un fattore di paradossale tenuta dell’esecutivo finora, consentendogli almeno di avviare qualche “riformina” in controtendenza rispetto alle politiche degli ultimi anni. Certamente poco, ma almeno un inizio.

La mia personale sensazione è che un governo Lega – FdI potrebbe avere molto più senso in un’Italia meno incatenata a una serie di paletti che non dipendono esclusivamente dalla propria volontà: uno di questi è ovviamente l’UE.

Questo governo poteva essere un interessante punto di passaggio, di preparazione culturale ad un futuro più prossimo alle esigenze degli italiani. Ma perché una speranza simile sia concreta, ha bisogno di andare avanti. Il problema è che nella politica italiana – complice anche il suo sciagurato sistema istituzionale – tutti hanno fretta. E sono spesso obbligati ad averla.

(di Stelio Fergola)

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