UE: un impero fatto di nazioni in diniego di sé

UE: un impero fatto di nazioni in diniego di sé

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Wolfgang Streeck ha reso un importante servizio al dibattito sulla Brexit, ricordandoci del carattere imperiale dell’Unione Europea. I Remainers britannici hanno gridato al fatto che, in merito alla Brexit, si sia trattato per lo più di nostalgia per l’impero coloniale marittimo della Gran Bretagna. Tuttavia, convenientemente, essi hanno dimenticato che il continente europeo ha familiarità con una differente tradizione di impero, quello “di terra” e multinazionale. I Remainers vorrebbero con tutti loro stessi che il Regno Unito restasse parte di questo tipo di impero.

Streeck chiama l’Unione Europea un “impero liberale” per il fatto che essa sia esplicitamente devota al costituzionalismo, alla proprietà privata ed alla competizione. Ciò nondimeno, è imperiale perché uno dei suoi Stati membri – la Germania – è diventata con il tempo enormemente dominante sugli altri, e perché le istituzioni dell’UE hanno progressivamente contratto il processo democratico a livello nazionale negli interessi dei grandi players dei mercati.

Il rendiconto, da parte di Streeck, dell’Unione Europea come di un impero ci parla molto ampiamente dei suoi “modus operandi”. Tuttavia, noi dovremmo essere diffidenti nel creare una versione di sinistra dell’Euroscetticismo conservatore, nel quale noi rimpiazziamo i prepotenti burocrati di Bruxelles con avidi capitalisti tedeschi come nostra immagine dei signori dell’UE. Non è vero che in entrambe le storie non c’è la verità, ma entrambe tendono ad oscurare l’aspetto più significativo dell’UE medesima.

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Se l’Unione Europea è un impero, allora essa si configura come eccezionale nell’essere un impero legalmente volontario. Per quanto molti funzionari tedeschi od europei possano essere vicendevolmente collusi gli uni con gli altri per punire il Regno Unito, a livello economico e diplomatico, per il fatto di aver proposto e scelto di andarsene, il diritto di andarsene da parte del Regno Unito non è contestato a Berlino o Bruxelles.

Piuttosto, è proprio a Londra che il diritto di andarsene da parte del Regno Unito sta venendo duramente contestato da una classe dirigente britannica, la quale sta combattendo per rimanere. Se la Germania ha acquisito la posizione di egemonia all’interno dell’impero, non è stato attraverso la conquista, o tramite un senso opprimente del destino nazionale o della superiorità razziale, quanto piuttosto per impostazione predefinita, un risultato dell’indebolimento delle lealtà nazionali all’interno di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

L’impero liberale dell’Unione Europea è un tipo di governo improvvisato dalle élite nazionali ai rispettivi governi, che si sono dimostrate riluttanti o non più in grado di fare affidamento sull’autorità politica fornita dal processo politico e democratico. Invece che all’interno della propria nazione, queste élite dominanti volgono lo sguardo al di fuori dei confini, verso disposizioni intergovernative sovranazionali, per la loro autorità.

È esattamente questa peculiare caratteristica del cosiddetto “impero liberale” dell’Unione Europea che spiega il tormentato e torturato processo politico nel Regno Unito a seguito del referendum sulla Brexit. L’elettorato ha votato per “riprendersi il controllo” della politica e dello Stato. In risposta, la massa critica della classe politica si è unita con il servizio civile, [gli uomini de] il grande business e l’accademia in una condivisa determinazione ad opporvi resistenza. Le élite britanniche, infatti, preferiscono la collaborazione intergovernativa alle rivendicazioni di sovranità nazionale.

La loro preferenza per questo modo di governare è così radicata che il governo non è stato capace di immaginare di adottare una robusta posizione negoziale con l’Unione Europea, ed anche i deboli sforzi di contrattazione da parte dell’esecutivo [di Theresa May] sono stati incessantemente, e senza remore pubblicamente, minati dal Parlamento e da altre influenti figure politiche. L’effetto è stato creare una situazione nella quale le opzioni ora contemplabili per il Regno Unito sono così prive di attrazione che può persino essere prodotto un qual certo senso di emergenza.

In questa difficile atmosfera, potrebbe essere possibile, in un modo o nell’altro, nullificare l’effetto dell’originale voto “Leave”. Nel frattempo che – come argomenta Streeck – la Germania egemone e la sua alleata Francia hanno un interesse nel far pagare al popolo britannico un alto prezzo per aver osato sfidare l’Unione Europea, il loro alleato più efficace in questo tentativo è rappresentato dall’élite britannica stessa.

La classe dominante britannica trova nell’Unione Europea un efficace ed attraente modo con il quale preservare ed affermare i propri interessi. E questo principio viene in essere anche se la Germania risulta essere il maggior beneficiario dell’accordo. La repulsione delle élite britanniche verso i reclami della nazione è molto più forte di qualunque altro aspetto negativo che possa sperimentare suonando il secondo violino economico in terra teutonica. L’UE è un impero volontario fatto da Stati che sono in diniego del loro carattere nazionale: in diniego del fatto che l’autorità di uno Stato deriva dalla nazione politica.

Questa virata, da parte delle classi dominanti europee, contro la nazione, ha trasformato il terreno della politica nell'”impero liberale” della Germania. Così Streeck osserva della Brexit il fatto che nella misura in cui la decisione di lasciare l’Unione Europea «è stata guidata da preoccupazioni nazionaliste», «potrebbe equivalere ad un errore storico». La ragione di questo – egli suggerisce – è che la Gran Bretagna è sull’orlo di perdere l’influenza internazionale in Europa e nel resto del mondo, mentre la Francia guadagnerà ciò che lo UK avrà perduto.

La sua prognosi potrebbe anche essere giusta ma, come qualunque osservatore del dibattito sulla Brexit avrà avuto modo di notare, sono i Remainers britannici ad aver ripetutamente lamentato ciò come la perdita dell’influenza internazionale britannica, risultante dalla Brexit stessa. Come Richard Tuck ha mostrato, il caso creato negli anni Sessanta per l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea fu dominato dalle preoccupazioni sul come mantenere l’influenza mondiale britannica, una volta che il suo impero fosse declinato in via definitiva.

In maniera del tutto similare, i contemporanei Remainers rifiutano il nazionalismo, il miglior modo per assicurare e fortificare l’influenza globale del Regno Unito. Le ridicole fantasie post-Brexit dell’attuale Segretario della Difesa britannico semplicemente sottolineano il fatto che lasciare l’Unione Europea limiterà radicalmente le rimanenti ambizioni imperiale targate UK. Per questa ragione, invece, la Brexit viene ben accolta dai veri internazionalisti di tutto il mondo.

Il punto da comprendere a fondo è che le classi dirigenti degli ex Stati imperiali, ora facenti parte dell’Unione Europea, hanno smesso di tentar di proiettare la loro influenza in patria, od all’estero, attraverso la mobilitazione del nazionalismo. Invece, allo stato attuale delle cose, lo fanno tramite la partecipazione ad un impero sovranazionale di cooperazione intergovernativa, in opposizione al presunto nazionalismo di altri (in particolare, della Russia e delle sue popolazioni).

Streeck dichiara che l'”impero liberale” è «sul punto di crollare». Egli indica l’attuale evoluzione dell’UE verso politiche ancora più autoritarie ed ora persino militaristiche, guidate e spinte dalle tensioni che potrebbero ancora abbatterla. Sino ad ora, soltanto la destra populista ha davvero compreso l’aspetto distintivo dell’impero liberale dell’Unione Europea – la negazione della nazione da parte delle classi dirigenti imperiali d’Europa. I democratici e gli internazionalisti devono urgentemente recuperare il ritardo.

Contro le pretese del cosmopolitismo imperiale, noi abbiamo bisogno di rinvigorire l’idea della nazione come luogo dell’autorità del popolo e della solidarietà con la nazionalità degli altri. Contro la politica identitaria sia della destra populista sia della sinistra sveglia, noi dobbiamo diffondere l’idea del popolo come cittadinanza di persone che si auto-determinano.

(di Peter Ramsay – London School of Economics – Traduzione di Lorenzo Franzoni)

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