Tra le cause dei vari mali che affliggono il nostro Paese, l’esterofilia ha senza ombra di dubbio un ruolo di primaria importanza: è quella esagerata – e, d’altronde, anche immotivata – ammirazione per l’estero, che scaturisce non tanto dal riconoscimento autentico delle virtù dei Paesi stranieri, quanto piuttosto da una forte tendenza tutta italiana all’auto-disprezzo, dall’irresistibile voglia di denigrare, a torto od a ragione, la propria Nazione.
Di conseguenza, la cosa migliore da fare è cercare fortuna al di là delle Alpi (in Svizzera, in Francia od in Germania), oppure avventurarsi addirittura nei Paesi scandinavi, dove di civiltà – secondo una narrazione di tal fatta – se ne trova a palate. Là, o comunque non qua, il sole splende sempre un po’ di più, ed il Tafazzi che è dentro ogni italiano medio non vede l’ora di uscire, per gridare a pieni polmoni che l’Italia fa schifo e che solo espatriando a Londra si può sperare nel campare servendo caffè. Non certo rimanendo in Italia!
E quando, per sua disgrazia, l’italiano medio esterofilo incontra un italiano che no, l’intenzione di andare all’estero proprio non ce l’ha, sul suo volto compare la stessa espressione mista di tristezza e di compassione tipica di chi sta assistendo ad una condanna a morte. Sarà che, come narra Mameli, «noi siamo da secoli calpesti, derisi, / perché non siam popolo, perché siam divisi», ma è proprio vero che è anche per merito di questa mentalità piccolo-borghese che oggi l’Italia si ritrova totalmente asservita alle potenze straniere.
Anche in virtù di questa ingrata e ottusa esterofilia, tale italiano medio non ha fatto altro che giustificare la progressiva perdita di sovranità della sua Nazione. Se tali italiani medi sono i primi a non aver riguardo per la propria Patria, per quale motivo, infatti, dovrebbero aspettarsi rispetto dai Paesi stranieri? L’amore spasmodico ed aprioristico per l’estero è una forma di ignoranza e di mancanza di spirito di coesione, è parte integrante di quel provincialismo culturale anti-italiano che considera l’espatrio un traguardo da raggiungere, un trofeo da mettere in mostra ed un indicatore dello “status quo”.
Questa insensata esterofilia italiana non è più sostenibile. O, meglio, non lo era nemmeno prima, ma oggi come non mai ne cogliamo i rancidi frutti: la graduale svendita della nostra economia a beneficio di chi, con risolino beota, definisce gli italiani «pizza, mafia e mandolino», l’amnesia artistico-culturale di una Nazione che è la culla della civiltà occidentale e che, sotto sotto, fa invidia a tutto il mondo per le sue multiformi potenzialità: ingegno, senso del bello, patrimonio storico.
L’antidoto al veleno esterofilo è il recupero della memoria nazionale. È un passo del tutto importante e necessario da compiere, e gli italiani, forse, stanno cominciando a ricordare.
(di Flavia Corso)