Nuove "resurrezioni" nella leadership di Pyongyang

Nuove “resurrezioni” nella leadership di Pyongyang

Come volevasi dimostrare. Stavolta ci è voluta meno di una settimana. Solo il 31 maggio il Chosun Ilbo, noto quotidiano conservatore di Seul, aveva annunciato una sanguinosa purga nella leadership nordcoreana, motivata dall’ira di Kim Jong Un contro i presunti responsabili del fallimento dei negoziati con Trump al vertice di Hanoi.

Citando le consuete fonti anonime ed oscuri funzionari dello Stato, il giornale dava notizia dell’esecuzione di Kim Hyok Chol, rappresentante speciale di Pyongyang al tavolo delle trattative sul nucleare, e della condanna ai lavori forzati comminata al potente generale Kim Yong Chol, al diplomatico Kim Song Hye e perfino all’interprete Shin Hye Yong, reo di aver “infangato l’autorità” del leader con un errore di traduzione nella fase finale dei colloqui.

Quest’oggi apprendiamo invece – con tanto di prove fotografiche – che Kim Yong Chol è ancora al suo posto. Ieri il generale ha assistito al concerto delle mogli degli ufficiali dell’Esercito popolare di Corea accanto al supremo leader e agli altri quadri dirigenti, quando avrebbe dovuto essere impegnato a spaccare pietre in un campo di lavoro a regime duro nella provincia di Jagang.

Nuove "resurrezioni" nella leadership di Pyongyang

I lettori ricorderanno che la cantante Hyon Song Wol, data per uccisa nell’agosto 2013, non riapparve in pubblico per più di otto mesi, alimentando ogni sorta di speculazioni e pettegolezzi giornalistici. In questo caso sono bastati due-tre giorni per smascherare le fandonie mediatiche. In attesa delle nuove resurrezioni e ricomparse che seguiranno, sorge però una domanda ineludibile. Quale obiettivo si prefiggono i giornalisti sudcoreani, gli ufficiali dei servizi segreti che danno loro l’imbeccata e la stampa estera che pende dalle loro labbra? Perché esporsi al rischio di clamorose smentite e figuracce simili?

La risposta è nel conflitto latente fra le presidenze di Washington e Seul e il rispettivo deep state. Nel suo discorso programmatico del 12 aprile all’Assemblea popolare suprema, il Maresciallo Kim Jong Un ha ricordato di essere ancora in buoni rapporti personali con Trump, lasciando perciò intendere che il vero scontro è con le strutture profonde dello Stato americano e con le lobby, e la stampa ufficiale ha fatto più volte i nomi del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e del segretario di Stato Mike Pompeo, additati come principali responsabili dello stallo nei negoziati di Hanoi e autori dell’inaccettabile “proposta” di disarmo unilaterale.

La medesima tensione strisciante si riproduce nei gangli della Repubblica di Corea, dove il presidente Moon Jae In per quanto animato da sincere intenzioni di pace e riconciliazione – come Kim Dae Jung e Roh Moo Hyun prima di lui – non ha ancora avuto occasione, ad esempio, di liberare le 12 cameriere nordcoreane rapite in Cina nell’aprile 2016.

Esistono dunque potenti forze annidate nei servizi segreti e negli apparati polizieschi di Seul che si oppongono al processo di pace e di riunificazione e che ora si aggrappano alla vecchia strategia delle menzogne truculente diffuse a mezzo stampa. Questo al solo scopo di inculcare nell’opinione pubblica interna e straniera l’idea che il Nord sia governato da un tiranno capriccioso che non esita a far fucilare i propri collaboratori con le scuse più banali. Insomma, questa stampa mira a raffigurare la Corea del Nord come un attore geopolitico irrazionale, con cui non si può portare avanti un dialogo diplomatico normale e che, anzi, può essere convinto solo con la forza bruta.

Inutile dire che chi persegue una simile strategia non si fa troppi scrupoli sulla credibilità, vista l’eco che talune “notizie” ricevono sulla stampa estera e che può ancora influenzare il pubblico. Tuttavia, leggendo i sempre più numerosi commenti di scherno agli articoli diffamatori, le pudiche precisazioni dei nostri giornali in merito alle fonti, la crescente pubblicità e risonanza delle smentite, nonché le critiche ragionate a questa vera e propria “fabbrica di bufale” – come quella formulata da Enrica Perucchietti – si notano la diffidenza e lo scetticismo di lettori ormai vaccinati nei confronti di una narrazione decisamente logora e priva di idee, che presenta tutti i tratti caratteristici del complottismo (continue petizioni di principio, carenza di fonti attendibili, teorie indimostrabili e piene di lacune logiche, ecc.) e che può far presa solo sui settori più subalterni e passivi dell’opinione pubblica.

Gli storici incontri al vertice dell’anno scorso, gli accordi firmati in quelle sedi, l’interruzione dei test nucleari, lo smantellamento del sito di Punggye-ri e le altre misure costruttive prese da Pyongyang dimostrano che la leadership nordcoreana è tutt’altro che in preda alla follia, e sarà alquanto difficile per i media tornare a raffigurarla in quel modo come se niente fosse accaduto.

(di Francesco Alarico della Scala)

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