Europa: quali i nuovi equilibri dopo il voto?

Europa: quali i nuovi equilibri dopo il voto?

È ormai passato qualche giorno dalle elezioni europee ed è giunto il momento di trarre alcune conclusioni sui nuovi equilibri che queste elezioni hanno portato a livello europeo.

È sicuramente vero che i sovranisti non hanno sfondato, ma l’eventualità che i sovranisti ottenessero una percentuale atta a ribaltare gli equilibri dell’europarlamento era ventilata solo dai progressisti come spauracchio. Si può comunque tranquillamente affermare che il risultato del fronte populista risulta soddisfacente, con un netto aumento di eurodeputati (seppur divisi in tre gruppi).

D’altro canto la rivelazione annunciata di questa tornata è stata la crescita dei Verdi, che cavalcando l’effetto Greta, hanno fatto il pieno nel Nord Europa ed in Francia fagocitando buona parte dell’elettorato socialdemocratico.

Continua inesorabile il declino delle due grandi famiglie politiche europee, infatti sia il PPE che il PSE proseguono nel trend di decrescita elettorale tanto da perdere per la prima volta i due partiti non conquisteranno la maggioranza assoluta nel parlamento di Bruxelles. Con ogni eventualità la maggioranza assoluta verrà conseguita inserendo l’ALDE nelle “grosse kolition” europea.

Esemplificativi sono i dati provenienti da Francia e Germania, dove la CDU/CSU ottiene il suo minimo storico ad un’elezione europea e la SPD è stata nettamente sorpassata dai Verdi passando in una posizione di netta minoranza. Nemmeno oltralpe i partiti tradizionali se la passano bene, a Parigi infatti socialisti e neo-gollisti sono di fatto spariti dai radar della grande politica.

Allo stesso tempo i popolari tengono bene nell’Est Europa rimanendo comunque discreta diffusi in tutti i paesi, mentre i socialdemocratici reggono bene nel Sud Europa (vincono in Spagna e Portogallo) e si riprendono in Italia.

Analizzata la situazione degli europartiti è giunto il momento di passare ad osservare il mutamento degli equilibri all’interno dei singoli Stati, che sono e rimarranno ancora a lungo l’attore centrale delle politiche comunitarie.

L’eurocamera, sebbene sia uno degli organi centrali delle istituzioni europee, resta un attore politico svuotato delle sue funzioni, senza iniziativa legislativa e senza poteri di veto. Mentre la commissione, vero motore dell’Unione, è sì nominata dal parlamento ma sotto iniziativa degli Stati, che sono inevitabilmente portati a tutelare i propri interessi prima di quelli generali europei.

La Francia é politicamente in fiamme, c’è una parvenza di equilibrio solo per il sistema elettorale a doppio turno che permette all’attore meno sgradito (e non a chi gode di più preferenze) di sedere all’Eliseo e di controllare il Parlamento. Nonostante ciò Marine Le Pen è stata in grado di sorpassare l’ex enfant prodige Macron in termini di consenso, mentre i Gilet Gialli (che sono riusciti a non istituzionalizzarsi) continuano ad animare le piazze francesi.

Non se la passano sicuramente meglio in Germania, per certi versi specchio di questa Europa, dove la CDU/CSU continua ad essere primo partito ma in costante calo e non si riesce ad indovinare un dopo Merkel, parallelamente il crollo del SPD che viene sorpassata dai Verdi conferma la sfiducia nel sistema della Grande Coalizione che governa la Germania sin dalla riunificazione. L’AfD non avanza e non arretra.

Un occhio di riguardo va senza dubbio alla Gran Bretagna, dove il Brexit Party di Farage conquista un risultato clamoroso e si assesta come primo indiscusso partito. Anche qui il calo dei partiti tradizionali è eclatante, i conservatori infatti crollano al 9%. In calo anche Corbyn che viene sorpassato dai LibDem e poco sopra ai Verdi -sparisce invece l’UKIP che si assesta al 3%. Difficile a questo punto pensare ad un ribaltone delle Brexit, o anche ad una sua versione soft, con un apprezzamento diretto di questo tipo unito ad sostegno che pesca in materia eterogenea tra tutti i partiti e tra l’astensione. Malgrado la cosmopolita Londra la Gran Bretagna viaggia dritta verso l’uscita dall’Unione.

Nulla di nuovo sul fronte di Visegrad, in Ungheria e Polonia Fidesz e Diritto e Giustizia volano, rispettivamente sopra il 50% ed il 40%. In generale la linea anti migranti rimane stabile in tutti i paesi dell’Est.

In Italia la Lega ribalta i rapporti di forza all’interno del Governo surclassando il M5S, il Partito Democratico si dimostra in lieve ripresa mentre sul fronte centrodestra il calo di Forza Italia e la crescita di FdI spianano la strada alla futura nascita di un governo di centrodestra sovranista.

Al netto di queste evidenze gli unici sconfitti di queste elezioni sono i membri dell’establishment brussellese favorevole alle politiche di austerità e di ultra integrazione europea. Con una situazione così eterogenea a livello di stati risulterà impossibile portare avanti l’implementazione di nuovi trattati o di modifiche degli attuali, è infatti necessaria la delibera unanime dei vari capi di stato per operazioni di questo tipo -cosa che con questa situazione politica risulta quantomeno improbabile.

Allo stesso tempo tutti i partiti eletti all’interno del parlamento promettono, in maniera eterogenea, di cambiare le istituzioni europee. Come conciliare allora le istanze di cambiamento portate avanti dalla politica con gli interessi contrapposti degli Stati?

Con questo status l’unica maniera possibile è quella di spingere per l’implementazione di un’Europa a più velocità. Dove l’asse Francia-Germania può portare avanti i suoi progetti di integrazione politica e militare assieme ai paesi del Benelux e agli altri “paesi volenterosi”, il gruppo di Visegrad potrà rimanere attaccato alla locomotiva tedesca senza subire le ondate migratorie, l’Italia proseguire nel suo cammino di riorganizzazione senza dover essere teleguidata dalla UE e gli altri paesi continuare a beneficiare dell’appartenenza all’Unione senza avere particolari oneri.

(di Pietro Ciapponi)

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