Vincent Lambert: chi decide cosa è vita?

Vincent Lambert: chi decide cosa è vita?

Da dieci anni, il quarantaduenne francese Vincent Lambert si ritrova bloccato su un letto di ospedale a Reims; l’incidente stradale che nel 2008 gli cambiò per sempre la vita, lo rese tetraplegico e lo condusse ad uno stato vegetativo da cui non si è più ripreso dividendo la sua famiglia: se da una parte ci sono i genitori che gli stanno accanto ogni giorno ben sapendo che non potrà più tornare a camminare e a vivere come prima, dall’altra la moglie, i fratelli e il nipote, d’accordo con i medici, spingono perché gli siano staccate le macchine con cui viene idratato.

Quello che Vincent sta subendo, sostengono, è accanimento terapeutico: è meglio porre fine alle sue sofferenze. Un’idea, questa, che si stava per realizzare nelle scorse ore con una procedura, approvata dal Consiglio di Stato di Parigi e in seguito anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che prevedeva una sedazione profonda e continuativa dell’uomo e il successivo spegnimento del macchinario per l’idratazione, per arrivare in ultimo al collasso dei reni e al suo decesso.

Ma nei giorni scorsi è stato accolto il ricorso dei genitori: l’idratazione deve riprendere; fino a quanto potrà Lambert godere di questo privilegio ancora non si sa: basta andare indietro di poco con la memoria, è uno spettacolo già visto con Alfie Evans la cui morte fu semplicemente rimandata di qualche giorno. Questa storia ha riacceso i riflettori sul dibattito sul fine vita e sull’eutanasia, mai sopito in realtà specialmente in Italia con l’Associazione Luca Coscioni che spinge per l’approvazione di una legge in merito; di fronte a vicende simili, non ci si può non schierare, né assumere posizioni manichee. Eppure è vitale.

Nel corso della nostra esistenza, agiamo nel mondo, lo modifichiamo e a sua volta modifica noi stessi; azioni in tal senso possono essere la semina di un orto, abbattere un albero, lavorare e formare una famiglia. Ma anche militare per portare avanti le proprie idee politiche: come si vede, le possibilità sono infinite. Anche pensare rientra in questo elenco, ed anzi è la caratteristica peculiare che distingue l’Uomo dagli altri animali, il possesso del lógos come direbbe Aristotele; da qui sono partite tutte le rivoluzioni, scientifiche come sociali, dal pensiero che si fa linguaggio e poi prassi.

La mente, con le dovute proporzioni, corre al Vangelo di Giovanni: il Verbo che si incarna in Gesù Cristo è l’esempio perfetto, se analizziamo il messaggio attraverso la metafora, di quanto appena detto. Certo, nel corso della nostra esistenza è possibile che ci siano dei momenti in cui l’idea non possa tramutarsi in prassi e che si fermi soltanto allo stato embrionale di un appunto, di un libro o anche di una frase sola pronunciata durante una chiacchierata tra amici.

Ciò non toglie che, però, il nostro pensiero sia attivo, vaghi nella nostra mente, ci seduca e ci spinga a sovvertire l’ordine naturale delle idee presente fino a poco prima. In qualsiasi situazione ci troviamo, noi pensiamo anche se non possiamo muoverci o esprimerci a dovere come nella quotidianità; con la morte cerebrale cambia tutto, ma fino ad allora noi e il lógos siamo una cosa sola. A Vincent Lambert non è stata diagnosticata la morte cerebrale.

Eppure, la sua vita non viene più considerata degna di essere vissuta: si ritrova su un letto di ospedale, paralizzato, per quale motivo non lasciarlo andare? In fondo, si dirà, non ha più la possibilità di fare niente. Ed è vero, le sue condizioni non glielo permettono; il suo cervello è, però, ancora in attività – seppur danneggiato. Pensa quindi vive, parafrasando Cartesio e ricordando fin quanto scritto. E già questo dovrebbe porre un freno a chi invoca l’eutanasia, anche se rimane il problema sulla sofferenza. E, lo ribadiamo, la sua volontà a proposito del fine vita (che rimane ignota).

Cosa direbbe lui e quanto soffre sono due quesiti la cui risposta, purtroppo, non ci potrà pervenire in alcuna maniera. Né speculare così arbitrariamente giova. E dunque, posto il discorso sul pensiero e dopo aver sondato l’incapacità di rispondere ad alcuni quesiti ora sottoposti, chi ha il compito di decidere sulla sorte di Lambert? I genitori? La moglie? I medici? I protagonisti di questa vicenda sono apparsi di fronte ai vari tribunali perché non c’era un accordo; è stato un giudice, o meglio più di uno, a decidere e a far cadere la spada di Damocle sul capo di Vincent.

Sembra che non sia stato offerto nessun sostegno psicologico, ma freddamente si sia deciso il da farsi. Eppure, un cittadino, un qualsiasi cittadino, dovrebbe essere salvaguardato dalla legge del suo Stato, lui e la sua persona. Nel momento in cui viene a mancare questo semplice diritto basilare, e arrivano le istituzioni a decidere sulla nostra vita dobbiamo iniziare a preoccuparci: perché non saremmo più noi a definire la nostra esistenza come degna secondo i nostri canoni e i nostri valori, ma qualcun altro, con tanti cari saluti al libero arbitrio. E, e mai ci stancheremo di ripeterlo, alla dignitas hominis.

(di Alessandro Soldà)

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