Stamattina sui social network osservavo un fatto molto semplice. Se Federico Rampini, storico giornalista di impostazione liberale, capitalista e globalista, ha di recente cambiato molte delle sue impostazioni su questi temi nel suo ultimo libro La notte della sinistra, come abbiamo avuto modo di notare qualche giorno fa, allora siamo di fronte a qualcosa che potrebbe avere risvolti molto interessanti dal punto di vista culturale.
In un modo o nell’altro, Rampini ha dimostrato di saper osservare la realtà. Certamente egli è totalmente privo dell’utilizzo di termini appropriati, che mancheranno sempre al fine di non indispettire troppo i “capi” e i sacerdoti che comunque rimangono suoi compagni di squadra, fino a prova contraria.
Nell’intervista a Tagadà, utilizzando parole differenti, il giornalista di Repubblica ha affermato quattro concetti: “Aiutiamoli a casa loro”, “prima gli italiani”, “i confini sono una necessità” ed “essere nazionalisti non è fascista e può essere sano”. Quattro principi che vengono ridicolizzati e criminalizzati da anni, da tutta la sinistra italiana nel suo insieme. Cominciando dagli elettori per giungere ai “fedeli” o semplici naviganti intorno a qualsiasi altro partito faccia il gioco del PD (il che cambia poco o nulla, come spiegavo in un mio precedente articolo).
Quella di Rampini è stata per anni l’immagine giornalistica della globalizzazione. Che il suo cambio di rotta sia opportunista o meno non deve interessarci, è solo una bella notizia.
Potrebbe voler dire che il mondo intellettuale stia iniziando a comprendere il male del sistema economico impostosi negli ultimi 30 anni e stia iniziando a “scappare dalla nave che affonda”, per utilizzare la metafora di Vladimir Majakovskij. Potrebbe voler dire che lo stesso pensiero unico stia producendo al suo interno un dibattito, poco importa se dovuto a interessi o convincimenti.
E se ciò avviene, appare calzante la riflessione del blogger Matteo Brandi su youtube: orde di elettori educate da decenni ai principi dei confini aperti, accoglienza e “restiamo umani” cominciano a vedere alcuni dei propri guru che le mettono in discussione. E iniziano a riflettere. Con lentezza, con la dovuta gradualità. Perché il “tuttosubitismo” è un brutto vizio.
Inversione di tendenza culturale? Per carità, è ancora troppo presto per dirlo, il processo non è neanche iniziato. Ma in ogni caso c’è da sperare per altri cambi di fronte simili. Perché, motivati dall’aria che tira oppure no, essi comincino a infondere quanto meno il dubbio in una platea abituata a recepire certi discorsi alla stregua di comandamenti religiosi.
Bene così.
(di Stelio Fergola)