Il Feudo non vuole. E se non vuole il Feudo, o non si fa o si demonizza, si criminalizza, si accusa. Soprattutto, si fa sentire in colpa. I giocatori della nazionale hanno d’altronde dovuto parzialmente accontentarlo (riuscendo a non dargliela vinta completamente) sugli inginocchiamenti BLM, pur di non vedersi tutta la stampa e i media scatenati addosso durante una competizione difficilissima da affrontare.
Il Feudo vuole prendersi tutto. Anche la gioia di una vittoria sportiva. Non si accontenta di distruggere il Paese solo nelle cose serie.
Per il Feudo anche una coppa di calcio è troppo
Sì, per il Feudo festeggiare una coppa di calcio è troppo. Va benissimo il Gay Pride, vanno benissimo gli assembramenti per il 25 aprile, ma per carità, mai altro che non sia esclusivamente approvato dalla “aristocrazia ignorante” che domina il Paese da 60 anni.
Ovviamente, il suddito medio del Feudo dirà che al Gay Pride quest’anno non c’erano le sfilate dei carri, o sul fatto che la manifestazione l’anno scorso non si sia tenuta. Insomma, punterà su elementi inconsistenti, visto che il carro nel caso dei festeggiamenti per la vittoria agli Europei di calcio era uno solo, e gli assembramenti non avevano nulla di diverso da quelli delle manifestazioni arcobalenate.
Ma non va bene lo stesso, è un festeggiamento nazionale che il Feudo non sopporta, quello della coppa di calcio. Perché genera simboli scomodi, che è meglio stiano al posto loro. I simboli da diffondere, si sa, sono altri: bandiere UE ed LGBT.
Feudo, Anti-Italia anche per una gioia sportiva
Chi dice che “è solo calcio”, sbaglia completamente bersaglio. Sarebbe “solo calcio” in un Paese libero e non oppresso da una minoranza che lavora, giorno dopo giorno, per vederlo distrutto. Nelle cose serie come in quelle “secondarie” quale appunto può essere considerato un trionfo calcistico.
La verità è molto più cruda: il calcio, stante la ovvietà che non sfami le persone e che non risolva i problemi politici e sociali enormi in cui versa la Nazione da decenni, è uno sport nazionale talmente sentito che, in caso di vittoria, può radunare masse ovunque. E soprattutto, far comparire un simbolino che fatica da morire a farsi vivo anche nelle manifestazioni dei partiti di centrodestra: il Tricolore.
Quel Tricolore che non avrebbe riempito le piazze allo stesso modo se, per fare un esempio, Matteo Berrettini avesse vinto Wimbledon. Perché, nonostante il risultato sarebbe stato storico, il tennis non è minimamente paragonabile al calcio nel sentire comune degli italiani.
Un simbolo di una portata enorme, guardato con sospetto dal Feudo e con vergogna dagli italiani medi, intimiditi dalla gabbia cultura ed etica in cui ci troviamo da decenni.
Ma che proprio dopo un trionfo calcistico si “libera” in qualche modo. Probabilmente perché non esiste alcuna bandiera alternativa, non c’è quella di partito, del sindacato, dell’ONG o dell’associazione arcobalenata di turno. Si può solo sventolare un Tricolore.
Stante un’altra ovvietà, ovvero che qualcuno, per sbaglio, a sinistra avrà pure tifato Italia, un’altra cruda realtà è che la maggior parte preferisce che nel calcio non si vinca. Se proprio si deve, meglio che lo facciano i club. Stendardi locali quindi, ma non quei tre colori fastidiosi. Per carità, la nazionale è meglio che non ottenga chissà quali risultati, che quella bandiera è pericolosa, o quanto meno non favorisce una corretta digestione.
Un simbolo che al Feudo non piace. Lo accetta con fatica perfino quando si manifesta il 25 aprile, ma il sogno proibito sarebbe quello di vederlo sparire per sempre. Magari sostituito da un pezzo di stoffa blu decorato di stelle europeiste.
(di Stelio Fergola)