Il Feudo, ovvero la minoranza che sta distruggendo l’Italia

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Sul “Feudo” ho scritto più volte sulla mia pagina facebook, e per chi ha il piacere di leggermi (che ovviamente ringrazio) è una metafora di cui si conosce già il significato. Non essendo certamente mainstream e non riscuotendo chissà quale seguito di massa, però, si rende necessaria una formulazione ordinata di tale allegoria che mi accingo a riepilogare anche sulle pagine di Oltre la Linea, scrivendo in prima persona in quanto fortemente coinvolto dalla questione.

Brevemente, il Feudo è la sinistra, la galassia PD (come ribadito nell’articolo di ieri e, andando a ritroso, del DS, PDS eccetera) formata dal partito stesso, da una serie di partiti scissionisti o – come mi piace definirli – “satellite”, dall’impero culturale detenuto nella stampa e nei media, dalla forte radicalizzazione in molte istituzioni, nazionali ma spesso anche locali. Vediamo perché.

Cos’è il Feudo

Il richiamo è, chiaramente, all’era feudale, anche se non si tratta di una assimilazione assolutamente scientifica (visto che alcune similarità potrebbero trovarsi, ad esempio, anche nei regimi monarchici assoluti del XVII secolo, o nella era imperiale antica) ma, più che altro, tecnica. Scandagliando la storia dell’umanità, il periodo del Feudalesimo mi è parso quello che, tutto sommato e con tutte le dovute differenze del caso, più si avvicina alla situazione nella quale, dagli anni Sessanta, si trova la nostra morente Nazione.

Cos’era un Feudo? Letteralmente e semplificando, un diritto concesso durante l’era medievale dai nobili antichi che detenevano il controllo di un certo territorio. Diritto alla sussistenza, o di non partecipare ai conflitti (che per lunghi periodi furono combattuti da esponenti della nobilità), ad esempio. Il tutto in cambio di una rendita, quasi sempre fiondiaria, che veniva versata al feudatario di turno.

Nel complesso – e con le miriadi di differenze del caso, in questa sede impossibili da sintetizzare – il sistema feudale era quindi composto da una serie di nobili (i feudatari) che controllavano un certo numero di territori e ne ottenevano rendite di tipo monetario.

Essendo la nobiltà – come è noto – una componente estremamente esigua delle popolazioni europee medievali, è chiaro che stiamo parlando di un potere di controllo e decisionale esercitato da una minoranza. Alle dipendenze formali del sovrano, ma pur sempre di una minoranza.

Feudo

Una minoranza che decideva, sostanzialmente, tutto. Per carità, è da rifuggire la teoria classica del popolo schiavizzato, smentita con grande acume e competenza dallo studioso Guido De Ruggiero nel suo Storia del liberalismo europeo, sottolineando un concetto all’apparenza semplice ma spesso trascurato: ogni società si stabilizza sulla base di un patto politico-sociale (spesso non scritto) tra governanti e governati. Diversamente, non avrebbe enormi possibilità di sopravvivere.

“Ti dò qualcosa, mi sta tutto sommato bene questo status quo”, per raccontarla in termini semplici. Ancora più semplici se si tiene conto di un mondo, quello di svariati secoli or sono, in cui ancora non esisteva il concetto estremo di produttività che sarebbe stato introdotto prima dal mercantilismo e, successivamente, dall’emergente sistema capitalistico.

In ogni caso, nel Feudo una minoranza governa su una maggioranza. Ne decide le sorti politiche, sociali, perfino etiche e morali. E volendo modernizzare la questione – ribadendo che non si tratta di un rapporto 1 a 1 – è esattemente ciò che è accaduto in Italia negli ultimi 60 anni.

Un Feudo politico, sociale, economico e soprattutto culturale domina la società italiana. La condiziona, la indirizza, la inibisce in ogni minima tentazione di ripresa. Questo Feudo è – essenzialmente – la galassia PD. Nata remotamente dalle ceneri di un PCI che, negli anni Settanta, aveva già sotto controllo tutti i principali rami della Nazione.

Il Feudo: da cosa nasce la suggestione

C’è un testo molto interessante che – al netto di una sintassi forse troppo complicata e da leggere quindi con molta attenzione – riflette con meticolosità sulla “formazione” di questo Feudo, senza ovviamente definirlo tale. Parliamo dell’opera di Roberto Chiarini, intitolata Alle origini di una strana Repubblica. Perché la cultura politica è di sinistra e il Paese è di destra.

Feudo

Va da sé che nel sottotitolo sia evidenziata in modo piuttosto marcata la questione, dal momento che Chiarini opera immediatamente la distinzione tra le due sfere (cultura politica e Paese, appunto).

Ed è altrettanto lapalissiano che la frase “il Paese è di destra” rappresenta una semplificazione di un quadro molto più complesso. Di sicuro, le origini di quella Repubblica, e la progressiva marginalizzazione del patriottismo (identificato praticamente con il fascismo), spiegano molto della altrettanto progressiva conquista del potere reale da parte del Feudo, che Chiarini si premura di notare già in fase introduttiva: “L’antifascismo erretto a criterio di invalidazione delle forze politiche che non ne sottoscrivessero il valore fondante ha sanzionato il bando della destra”, scrive.

Ma uno dei passaggi più interessanti si rivela nella seconda metà del libro, quando ci si concentra concretamente sull’ “afascismo” di gran parte della maggioranza degli italiani:

De Gasperi, già nel corso del semestre di vita del governo Parri, ha provveduto a presidiare la posizione di frontiera collocata tra l’antifascismo dei partiti e l’afascismo di gran parte del Paese.

E qui si sottolinea la natura semplificatrice del titolo (a prescindere dal fatto che il fascismo, come fenomeno storico, non si può inquadrare esattamente come una “destra”, se non postumo e per ragioni prevalentemente polemiche). L’Italia non è propriamente un Paese “di destra”. Ma certamente non è di sinistra e, seppur in modo passivo, tutto sommato non è granché interessato alle battaglie progressiste, se non nella misura in cui tutto l’Occidente vi è invischiato per ragioni enormemente più grandi delle blande volontà dei singoli popoli.

Il libro di Chiarini, in realtà, si ferma all’entrata in vigore della Costituzione del 1948. Non approfondisce quella che – a mio parere – fu una fase di relativa “resistenza” al processo di conquista del Feudo, ovvero gli anni Cinquanta di Enrico Mattei, Giovanni Gronchi, Amintore Fanfani e, in generale, del cosiddetto “Neoatlantismo”.

Una sorta di revanscismo patriottico il quale – non a caso – dovette puntare in buona parte sulla capacità dello stesso Mattei di corrompere partiti e giornali allo scopo di tenerli al proprio fianco e non come nemici.

Un periodo che sarebbe durato fino alla morte del presidente dell’ENI, prima della fase dei governi di centrosinistra e di quella che, probabilmente, è la definitiva presa del potere del Feudo, alla fine degli anni Sessanta.

Il Feudo in Occidente

Il Feudo non esiste soltanto in Italia. Quanto meno, quell’approccio tipicamente progressista, multiculturale e globalista non è esclusiva italiana, come d’altronde non lo è stato il Sessantotto. C’è però una differenza qualitativa tra gran parte dei Feudi dominanti nel resto dell’Occidente e quello italiano: la mancanza di un’ostilità così spiccata agli interessi nazionali e una tutela del loro perseguimento.

Intendiamoci, nel resto dell’Occidente i popoli stanno morendo ugualmente. Forse in modo più lento, graduale e inconsapevole di quello italiano, ma in maniera similare. Schiacciate dall’immigrazionismo e dal multi-culturalismo, le Nazioni occidentali stanno progressivamente smarrendo la propria identità. Ma mentre in Italia tutto ciò avviene con un’azione diretta del “Feudo nazionale”, gli altri “Feudi” continuano a perseguire almeno gli interessi basilari dei Paesi di appartenenza, nonostante – de facto – stiano ugualmente marciando verso la propria estinzione.

L’esempio tipico in tal senso è la Francia. Una Nazione che, se guardiamo ai suoi abitanti, non potrebbe neanche più essere definita tale, ma piuttosto uno strano ibrido tra autoctoni e tante minoranze di cultura, religione e provenienze completamente differenti. Ciò nonostante, “l’ibrido francese” persegue in qualche modo gli interessi per la propria sopravvivenza, tentando di non incrementare ulteriormente il processo migratorio e di ottenere il massimo da quel disastro socio-economico che individuiamo con la locuzione “Unione Europea”.

Ciò nonostante, c’è chi, con opere fantapolitiche ma nemmeno poi tanto, in Francia individua i problemi di una società che va verso il declino e lo sfascio, e in questo senso è impossibile dimenticare sia Jean Raspail (negli anni Settanta) che il recentissimo e bizzarro Michel Houellebecq, da sempre sensibile alle tematiche sulle “invasioni” culturali provocate dall’immigrazione indiscriminata.

Stesso dicasi per la Gran Bretagna, per gli USA e, parzialmente, anche per la Germania. Tra i Paesi occidentali, l’unica messa veramente peggio di noi pare essere la Spagna.

In ogni caso, il quadro non è roseo. Come riportai nel mio libro L’inganno Antirazzista, qualche anno fa, secondo un sondaggio dell’istituto di ricerca Gallup International, l’attaccamento dei cittadini occidentali (includendo anche il Giappone per ragioni socio-economiche) alle proprie patrie (il quesito era grosso modo questo: “Sareste disposti a combattere a morire per la vostra Nazione?”) è decisamente più scarso rispetto ai Paesi arabi, asiatici, sudamericani ed Est europei. E lo stesso Giappone è messo addirittura peggio dell’Italia (solo il 20% degli intervistati aveva risposto positivamente).

I “valori” del Feudo e perché la sua sconfitta è una questione di sopravvivenza

Semmai il popolo italiano riuscirà a svegliarsi dal torpore che lo attanaglia da decenni, la battaglia che dovrà combattere sarà esattamente questa: liberarsi del Feudo.

Liberarsi di un dominio che ingabbia la Nazione con i suoi diktat antipatriottici, anti-italiani, con la diffusione e la radicalizzazione di una cultura di massa nichilista e distruttiva, con la lontananza da qualsiasi “consegna” delle tradizioni e delle radici alle generazioni future, a meno che non riguardino il dramma della sconfitta – trasformata in vittoria – della seconda guerra mondiale, un trauma che ci portiamo ancora dietro e che ha costituito terreno fertilissimo per piantare semi avvelenati nella nostra terra.

Liberarsi da una minoranza che decide praticamente tutto, cosa sia giusto e cosa non lo sia, dettando la linea perfino a un potere plurisecolare come quello della Chiesa, prono alle questioni più laiche e tendenzialmente silenzioso su quelle dogmatiche.

Liberarsi da un gruppo di potere che, in questi decenni, ha dimostrato non solo di non concepire alcun progetto per l’Italia che non sia dettato dalle influenze straniere ed europee, ma di detestare apertamente lo stesso concetto di Italia, la sua cultura, i suoi abitanti, in sintesi la sua esistenza medesima.

Liberarsi di un potere che ci ha spinto quasi a vergognarci del 4 novembre e ad andare fieri di un trauma come quello del 25 aprile (indirettamente dell’8 settembre).

Agire esattamente come aveva fortemente richiesto Antonio Gramsci, ma in senso inverso. Per scardinare dal potere chi, dalla metà del secolo scorso, sta distruggendo senza pietà questa Nazione.

(di Stelio Fergola)

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