Barricate per l’egiziano Zaki, silenzio tombale per l’italo-marrocchina Fatima (nome di fantasia): storie già viste di un PD che fa del doppiopesismo (tanto per cambiare anti-nazionale) la sua bandiera da sempre.
Il PD e l’onnipresente egiziano Zaki
In una pausa dalla strenua lotta per l’approvazione del DDL Zan, il provvedimento che l’Italia attende da un trilione di anni e di cui non possiamo più fare a meno – pazienza se è un abominio giuridico, deve essere approvato così com’è e subito! – il PD ha trovato il tempo per dedicarsi ad un’altra emergenza nazionale: un paio di giorni fa, con voto quasi unanime – solo 30 astenuti, tra cui Fratelli d’Italia in blocco – anche la Camera, dopo il Senato, ha approvato la mozione che impegna il Governo ad avviare tempestivamente le verifiche per riconoscere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki.
Quella di Zaki è l’ennesima ossessione della sinistra italiana: qualunque inziativa, evento o manifestazione è l’occasione giusta per stracciarsi le vesti per la ingiusta (?) detenzione di un cittadino egiziano in un carcere egiziano per mano della giustizia…egiziana.
Il PD, Zaki e quella Fatima ignorata: troppo italiana
Tuttavia, visto il trattamento che il PD ed i suoi accoliti riservano agli italiani, non è detto che a Zaki diventare cittadino italiano convenga granché.
Dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana, Zaki potrebbe diventare poco interessante e degno di attenzioni petalose: potrebbe succedergli, ad esempio, quello che è accaduto alla giovane italo marocchina Fatima che da quasi un mese è detenuta in Marocco in esecuzione di una sentenza assurda ed abnorme, nel silenzio generale dei sacerdoti dei diritti.
O forse no.
Perché, a ben vedere, la storia di Fatima, 23 anni, nata a Vimercate, è un po’ meno allettante di quella di Zaki: intanto, è già cittadina italiana e questo fa precipitare il suo potenziale attrattivo.
Inoltre, non è appassionata di studi di genere come il buon Zaki ma, più banalmente, è iscritta alla molto meno arcobalenata Facoltà di Giurisprudenza.
Infine, Fatima è stata accusata di vilipendio della religione islamica: e qui, come in mille altre occasioni, il cortocircuito progressista per eccellenza – donna contro Islam – raggiunge vette inenarrabili.
Come insegna la vicenda di Saman – la cui uccisione, ormai pressoché certa, ha una chiara matrice islamista ma per il PD deve essere relegata a comune femminicidio – prendere le parti delle donne a prescindere è dovere di ogni buon progressista, salvo che le donne medesime debbano essere difese da derive violente e liberticide di derivazione islamista.
In quel caso, l’ordine di scuderia è fare spallucce, divagare e virare rapidamente su altro.
Così, di Fatima, che dallo scorso 20 giugno è detenuta in Marocco, nel carcere dell’Oudaya, accusata di vilipendio della religione aggravato, per aver pubblicato, nel 2019, su Facebook un post che avrebbe offeso la religione islamica, nessuno parla.
Per lei nessuno si straccia le vesti. Per lei nessuno diffonde hashtag o affigge manifesti: neppure dopo che un Tribunale, a seguito della denuncia di una associazione islamica marocchina, ha pronunciato nei suoi confronti una sentenza di condanna a tre anni e mezzo di reclusione e all’equivalente di 4.800 euro di multa per aver chiamato “versetto del whisky” la sura del Corano in cui si fa riferimento alla cosiddetta “Festa del sacrificio”.
Insomma, da un lato si mobilita il Parlamento, si riempiono le pagine dei giornali, si aprono i TG, si invade il web e si impegna il governo ad attivarsi per un cittadino egiziano detenuto in Egitto.
Dall’altro, si ignora completamente la vicenda di una cittadina italiana di 23 anni condannata a tre anni e mezzo per un post su Facebook.
Solo la Lega, con i parlamentari Massimiliano Capitanio e William De Vecchis, ha presentato una interrogazione alla Camera e al Senato sul punto.
Ora, non dubitiamo del fatto che la diplomazia italiana sia al lavoro ma non possiamo esimerci dal rilevare come la vicenda di Fatima sia l’ennesima, plastica, dimostrazione dell’ipocrita doppiopesismo della sinistra italiana a cui poco importa delle persone e delle loro storie a meno che queste non siano funzionali alla narrazione preconfezionata dal mainstream e utili ad alimentare il fuoco delle loro inutili – pericolose – battaglie globaliste.
Come sempre, per i progressisti nostrani, siamo tutti uguali ma alcuni sono più uguali di tutti.
(di Dalila di Dio)