Riforma della giustizia, una priorità congelata da decenni. Ieri il consiglio dei ministri ha approvato la “riforma” Cartabia, che riforma non è, visto che si concentra su aspetti quantitativi e non strutturali delle dinamiche dei processi penali. La strana abitudine di definire “riforma” qualsiasi cosa, insomma, non muore mai, ma non voglio concentrarmi su questo, bensì sull’esigenza assoluta di insistere su un cambiamento da sempre osteggiato dalla magistratura, per lo meno nei suoi vertici di potere e lasciando perdere l’ovvia e scontata presenza di giudici onesti.
Riforma della giustizia e separazione delle carriere
Abbiamo già pubblicato a riguardo sul nostro giornale, ormai tanti mesi fa. Vale la pena di citare quell’articolo, che spiega molto meglio di quanto potrebbe un non adetto ai lavori come il sottoscritto, quale sia il problema principale:
La necessità di separare le carriere dei magistrati per dare attuazione a quella parità tra la Pubblica Accusa e la Difesa richiamata dall’art. 111, appare così evidente che sembra impossibile che qualcuno la neghi: in un sistema in cui il PM ed il Giudice sono colleghi ed il difensore è considerato un corpo estraneo, un ostacolo alla realizzazione della pretesa punitiva dello Stato – secondo il Dott. Davigo “non si tratta di innocenti ma colpevoli che l’hanno fatta franca” – o, addirittura, un concorrente morale del proprio assistito – “basterebbe rendere responsabile in solido l’avvocato” sì, sempre Lui – cosa garantisce all’imputato che a giudicarlo sia davvero un soggetto totalmente al di sopra delle parti?
Cosa assicura alla difesa quella parità delle armi necessaria perché il processo sia giusto come vuole la Costituzione?
Materia tecnica, ma, con le dovute semplificazioni, fruibile a tutti: PM e giudice stanno dalla stessa parte della barricata, tendenzialmente ostile all’imputato. E la questione diventa dirimente quando riguarda imputati appartenenti alla classe politica, entrando nell’ambito di cui mi occupo più specificamente.
La separazione delle carriere è uno strumento necessario al fine di indebolire almeno in parte il potere – fino ad oggi clamoroso – che la magistratura ha avuto di condizionare la politica, di fermarne l’attività a seconda di “scelte” di cui ormai tutti siamo a conoscenza, specialmente dopo lo scandalo Palamara il quale, non si capisce perché, continua a passare sotto silenzio come se non fosse mai avvenuto.
Ostacolerebbe almeno in parte dinamiche che negli ultimi decenni sono divenute endemiche, in processi che hanno riguardato rappresentanti politici non graditi e poi assolti dopo anni di tribunali a costi di denaro pubblico incalcolabili. Senza soffermarsi solo sul “solito” Silvio Berlusconi, si potrebbe andare avanti in liste infinite, che non riguardano solo esponenti di centrodestra ma anche qualche rappresentante “a sinistra” da tagliare fuori o da – come si suol dire – mettere “al posto suo”: da Ottaviano Del Turco a Matteo Renzi. Per non dimenticare anche il caso di Ignazio Marino.
Poi certo, di assoluzioni dopo anni di tribolazioni ne troviamo sempre di nuove: e l’ultima è quella dell’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno. Ultima di una lunga serie, destinata ad essere inesauribile se non si riuscirà finalmente a porre un argine.
Riforma, giusto chiedere il referendum: mettiamoli spalle al muro
I magistrati non vogliono alcuna riforma. Come – nella sostanza dei fatti – non la vuole il PD (e non ripetiamo all’infinito il perché, chi vuole, faccia una ricerca veloce o clicchi sul link in questo articolo, chi non vuole approfondire continuerà a fare finta di nulla).
La “riforma Cartabia” torna almeno in parte indietro sulla follia della riforma della prescrizione grillina e se non altro riduce i tempi delle indagini. Ma non è sufficiente.
E chiedere il referendum popolare è sacrosanto. In un momento storico in cui la popolarità intoccabile dei magistrati è ai minimi termini: il demone Berlusconi non è più primo attore sulla piazza, non c’è più il ricco aprioristicamente malvagio contro cui combattere, e a livello comunicativo molte storture cominciano a diventare fruibili dalle sensibilità popolari.
Per cui sì, voto popolare. Non a caso, l’ANM reagì stizzita alle proposte referendarie provenienti da Lega e Radicali.
È tempo di metterli spalle al muro, proprio sul loro potere antidemocratico. È tempo di insistere sul referendum popolare per la riforma della giustizia.
(di Stelio Fergola)