L’Italia non vuole morire. E non di covid, ma anzitutto di fame. Le proteste a Montecitorio non si possono leggere in modo diverso. Come non si potevano leggere in modo diverso le proteste di mesi e mesi fa. Come non si potranno leggere in modo diverso le proteste future.
L’Italia e la fame: ciò che spaventa i ristoratori
L’Italia della ristorazione protesta. E lo fa vivacemente. Lo fa con la depressione di chi non lavora da oltre un anno, lo fa con la paura di chi non vuole perdere tutto, la propria vita, il frutto dei propri sforzi, delle proprie attività quotidiane.
Lo fa con il terrore di morire di fame e di stenti. L’Italia della ristorazione è solo una delle Italie che urla disperatamente di voler vivere.
È la gente in generale a non poterne più e a volere un cambio di passo: affinché il 5% della popolazione che davvero subisce i problemi seri dovuti al Covid possa essere tenuto sotto massima osservazione senza far crepare di malnutrimento il restante 95.
L’Italia non vuole morire di fame. Lo ha dimostrato oggi, come anche in altre occasioni. Semplicemente, c’è la timidezza di venire etichettati o schedati, in questo strano ibrido tra democrazia e autoritarismo che soffoca tutto, non concedendo nulla in cambio.
L’Italia vuole vivere
Magari, non con la consapevolezza di essere Italia, e questo forse è il dramma maggiore. Ma non c’è dubbio che, nonostante ogni tendenza autolesionistica che caratterizza questa Nazione da decenni, anche il popolo italiano voglia vivere. E che quindi l’Italia nel complesso voglia vivere.
Perché la paura della miseria supera qualsiasi indottrinamento, qualsiasi costrutto suicida a cui siamo stati educati fin da bambini.
Supera o tenta di superare, come sta avvenendo a tentoni di fronte a Palazzo Montecitorio: nella fattispecie, superare le transenne e il muro umano delle forze dell’ordine.
Ci sono pochi tricolori, molti di meno di quelli di un anno fa, quando FdI – con la compartecipazione della Lega – radunò tante bandiere sotto i palazzi del governo e di quello gli dovrà sempre essere dato merito.
Ma bisogna continuare, perché la fame fa paura, ma se la gente davvero iniziasse a comprendere la potenza di quei colori, di quella bandiera, le energie si moltiplicherebbero.
Non ho mai manifestato tanto in vita mia. Negli ultimi anni ho partecipato a quattro manifestazioni, soltanto negli ultimi dodici mesi a tre. Sono stato con i ristoratori – decisamente meno incazzati – di Piazza del Popolo questo autunno a Roma. Mi dispiace di non essere stato presente oggi.
Perché dobbiamo tutti dare una mano affinché questa follia finisca il prima possibile e la società italiana, tutta, in blocco, riprenda a vivere.
Cacciando il più presto possibile i nemici che la vogliono distruggere da decenni, che la odiano e la detestano, ben da prima del Covid. I signorotti del Feudo che la controlla da 50 anni, i giornalisti da quattro soldi che liquidano le proteste di lavoratori disperati con il solito snobismo infimo, vergognoso, schifoso.
Antonio Caprarica, su La7, poco fa ha testualmente affermato: “Non è vero che sono categorie abbandonate. Qui c’è un intero Paese che si sta indebitando per loro”. Sparisca, signor Caprarica. Lei e i suoi infimi simili. Vergognatevi, infami.
L’Italia vuole vivere, per non morire di fame. E noi dobbiamo sostenere questa Italia, in qualsiasi forma essa esprima il proprio istinto di sopravvivenza, anche se minimo, anche se ancora accennato: soprattutto se forte, come quello di oggi.
Nella speranza che un giorno riscopra la forza del Tricolore, la potenza del Tricolore e della sua fondamentale identità.
(di Stelio Fergola)