Disgraziati, sì. Non viene in mente una parola diversa dopo aver visto le file chilometriche per assicurarsi un pacco alimentare a Milano. Non a Palermo, a Napoli, non in un sobborgo romano, ma a Milano, il simbolo della locomotiva italiana, da sempre, il vertice della ricchezza e della prosperità nazionale.
Disgraziati e ipocriti
Questo, più che un articolo, è uno sfogo. Uno sfogo non tanto rabbioso, ma profondamente amareggiato. E i destinatari siete voi, cari disgraziati, ipocriti come sostanze biologiche che non vale la pena esprimere nella loro essenza volgare.
Principini nel peggiore dei casi e ingenui, imbecilli nel migliore. Sì, proprio voi, quelli del “prima la salute”. Come se la salute non fosse anche questo, anzi, come se nella stragrande maggioranza dei casi non sia soprattutto questo, avere la tranquillità economica di potersi procurare almeno il pane. Ma no, non si può ragionare.
Ci avete accusato per mesi di insensibilità, puntando sul “razzismo verso gli anziani che possono morire” a detta vostra di nostra provenienza, sul “mio nonno è morto di covid”, oppure sulla miriade di “amici di amici” che avevano sofferto o perito di covid, come se a noi non importasse, come se vi fossimo noncuranti, mentre invece facevamo semplicemente un ragionamento di natura sociale, inteso realmente a salvare più persone possibile.
Ma a voi non stava bene. Nemmeno quando i dati storici hanno parlato in tutta la loro drammaticità di un virus che ha ucciso meno di 3 milioni di persone su quasi 8 miliardi di abitanti. Nemmeno quando i dati – già iniziali – parlavano di un 95% di asintomatici. Nemmeno quando ci siamo permessi di riflettere su un fatto, ovvero che ci fosse la lieve possibilità (lieve?) che nelle terapie intensive ci finisse in massa gente che fino al 2019 veniva in grandissima parte curata (o moriva, perché non siamo ipocriti come voi) in casa.
Recuperate la vostra coscienza
Se siete medici o infermieri, questa non è questione di laurea. Primo perché esistono svariati medici – con la laurea esattamente come voi – che stanno contestando questa follia. La loro laurea non vale di meno della vostra, tanto attenta a salvare i pazienti di covid quanto a far morire di fame il resto della popolazione mondiale. Tra i vertici c’è sicuramente Alberto Zangrillo, tra i pochissimi a cercare, ogni tanto, di comunicare informazioni utili per non proseguire in questa strada verso la distruzione. Ma ci sono anche Giulio Tarro, Stefano Manera. E tanti altri che nell’ombra dell’impopolarità hanno detto la propria.
Secondo perché il problema non è medico, ma politico. E lo è sempre stato. O credete davvero che una società sana lo sia in ragione solo delle statistiche su un virus? No, signori miei. Una società si mantiene sana sulla base della sua sanità complessiva, fatta di malati di altre patologie (che non sono degli stronzi, esattamente come “gli anziani” che a vostro giudizio noi non calcoliamo), fatta di gente che perde il lavoro, il cibo e rischia sul serio di virare verso la fame, fatta di ordine pubblico e di pace sociale.
Ci sono i vili, i corrotti, come Matteo Bassetti o Maria Rita Gismondo, in prima fila, all’inizio, nel denunciare l’assurdità e l’esasperazione della interpretazione del covid, oggi fedeli esecutori – pur tra qualche titubanza la seconda – del suo verbo insindacabile.
Esistono i disgraziati fin dalle origini, come Massimo Galli, Walter Ricciardi, Fabrizio Pregliasco.
Esistono anche gli influenzabili, gli emotivi. Ed è a loro che mi rivolgo nella chiusura di questo articolo.
Caro medico e infermiere, il tuo lavoro lo fai con amore non solo se salvi le persone dal covid con la mascherina e l’imbracamento, ma anche se hai la lucidità di capire quando un malato col covid ha davvero necessità di finire (guarito o morto, perché, ripeto, non siamo ipocriti) in terapia intensiva e non a casa, togliendo spazio ad altre patologie che spessissimo sono anche più gravi.
Non sempre i gesti più eclatanti sono per forza quelli giusti. Anche se è umano farsi coinvolgere e – in una situazione come questa – perdere la lucidità. È tempo di recuperarla. Perché l’altro tempo – quello di chi sta finendo in mezzo a una strada – sta finendo.
(di Stelio Fergola)