Bettino Craxi e Giulio Andreotti

Craxi, l’ombra degli Usa sulla fine del leader socialista

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Il ventennale della morte di Bettino Craxi ha risollevato un tema cruciale nella storia repubblicano, rimasto tabù per tanti, troppi anni. La domanda è quella che si pone Il Messaggero: ci furono o non ci furono le influenze degli Stati Uniti sui giudici di Mani Pulite e sull’inchiesta che portò alla liquidazione di Craxi? Già diversi anni fa, in un’intervista rilasciata a La Stampa e ripresa da Il Giornale, Reginald Bartholomew, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia dal 1993 al 1997, “rivendicava” il merito di aver rimesso sui binari della politica il rapporto fra Washington e l’Italia”. Come? Pose fine a quello strano legame diretto che si era creato tra il Consolato e il pool di Mani pulite – tollerato dal suo predecessore Peter Secchia – e riportò la gestione dei rapporti a Roma, all’ambasciata. Potrebbe essere la conferma, sia pure indiretta, dell’esistenza di un rapporto tra gli Usa e l’inchiesta che spazzò via la classe politica che aveva governato l’Italia per oltre 40 anni.

Ora Marcello Sorgi nel suo libro Presunto colpevole: gli ultimi giorni di Craxi (Einaudi, 2020), da poco uscito in occasione del ventennale della scomparsa del leader socialista, aggiunge ulteriori tasselli:«Che qualcosa ci sia stato, e il lavoro dei pm di Mani Pulite abbia potuto essere monitorato dall’occhio attento degli osservatori Usa, questo è sicuro». Ci si riferisce poi a quanto scritto da Daniel Serwer, incaricato d’affari presso l’ambasciata americana a Roma, in un dispaccio inviato a Washington nel 93, sulla base di informazioni ricevute da parte di magistrati di Milano: «Si dice che un protagonista dell’inchiesta potrebbe essere un pupazzo manovrato dagli Usa».

Le ombre Usa sulla fine di Craxi

Craxi Sigonella

Come scrive Francesco Carlesi sul Primato Nazionale, Sorgi restituisce invece la complessità di Tangentopoli, e descrive i contatti della Procura di Milano con il console americano Peter Semler, con il “falco” Micheal Ledeen e con l’incaricato d’affari presso l’ambasciata americana Daniel Serwer. Quest’ultimo parla di un «pupazzo» togato al servizio degli Usa nel quadro delle inchieste, riferendosi molto probabilmente a Di Pietro. Come nota Il Messaggero, alla base di tutto, c’è che da Craxi, quando diventa il personaggio di spicco della democrazia italiana, gli americani – anche prima di Sigonella – si aspettavano di più. O meglio, volevano una minore pervicacia, da parte sua, nel rifiutare quella subalternità automatica al gigante d’Oltreoceano di cui Washington aveva bisogno. Su questo punto Sorgi è molto netto ed esaustivo. Gli strascichi insanabili della vicenda di Sigonella fanno naturalmente parte di questa storia.

L’esposto di Vittorio Sgarbi

«Un esposto alla magistratura perché apra una inchiesta a 360 gradi per fare luce su eventuali manovratori del pool mani pulite, ed in particolare dell’allora procuratore Antonio Di Pietro. E una commissione d’inchiesta parlamentare».
Lo annuncia Vittorio Sgarbi, deputato alla Camera, che così osserva: «C’è un punto a tutt’oggi irrisolto di quel colpo di stato giudiziario: con azioni giudiziarie chirurgiche fu fatta fuori l’intera classe dirigente del PSI, e con il partito il suo potente leader Bettino Craxi, lasciando, nei fatti, via libera al Pci-Pds che potè così liberarsi dello storico avversario. L’inchiesta giudiziaria da un lato e la commissione parlamentare da un lato dovranno verificare se nell’azione dei magistrati milanesi siano intervenuti soggetti esterni, se ci furono contatti tra magistrati italiani e istituzioni anche straniere che possono avere influito sulla natura e sul fine di quella operazione giudiziaria. Insomma, se ci fu una regia esterna in tutto questo. Credo siano maturi i tempi per una inchiesta giudiziaria a tutto campo che apra uno squarcio su quella pagina oscura della lotta politica in Italia. Con il pretesto di una generica lotta alla corruzione furono sovvertiti gli equilibri politici ed istituzionali»

Nel suo esposto Sgarbi riprende molte delle anomalie raccolte in anni di studi e inchieste dal giurista Ferdinando Cionti, autore del libro «Colpo di Stato»: «Colpo di Stato fu, e non solo giudiziario – scrisse Cionti alla fine di un lungo lavoro di ricerca sull’attività del Pool Mani Pulite – la matrice di Tangentopoli fu anche politica. Si basò sul patto d”acciaio fra il Pool di Mani Pulite e un partito dai molti nomi: Pci/Pds/Ds/Pd».

(di Roberto Vivaldelli)

 

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