Von Der Leyen e Lagarde: austerità e potere

Von Der Leyen e Lagarde: austerità e potere

In questi primissimi giorni di luglio, sono venute in essere le nuove nomine degli esponenti che guideranno le principali istituzioni dell’Unione Europea, le quali coordineranno quindi a livello sovranazionale l’azione politica ed economica dei Paesi che ne fanno parte (specialmente quelli dell’euro-zona).

Alcuni nomi sono noti al grande pubblico, altri un po’ meno, e proprio per questo vale la pena prenderli in considerazione uno ad uno:
a capo della Commissione Europea è stata scelta Ursula von der Leyen, donna della CDU tedesca, precedentemente Ministro del Lavoro e poi Ministro della Difesa presso il proprio Paese;
a capo della Banca Centrale Europea è stata scelta Christine Lagarde, ex numero uno del Fondo Monetario Internazionale, avvocato che ha ricoperto anche il ruolo di Ministro dell’Economia francese;
a capo del Consiglio Europeo è stato scelto Charles Michel, ex Primo Ministro del Belgio, dimessosi nel 2018 per la questione del Global Compact, la cui approvazione è stata duramente contestata dall’opposizione parlamentare;
a capo degli Affari Esteri europei e della Sicurezza Comune è stato scelto Joseph Borrell, Ministro degli Esteri spagnolo per il governo Sanchez e molto dentro alle questioni geopolitiche ed internazionali;
a capo del Parlamento Europeo (unico organo elettivo, ma privo di potere legislativo e per ciò stesso di facoltà decisionale) è stato scelto David Sassoli, eurodeputato per il Partito Democratico – unica forza italiana ad aver votato a suo favore, peraltro -, sostenitore della necessità, da parte dei governi nazionali, di ulteriore trasferimento di poteri a livello continentale, con particolare attenzione alla questione dell’immigrazione e dei rapporti con le ONG.

In particolar modo, sono le prime due cariche ad essere le più interessanti, e le più importanti, trattandosi niente di meno che dell’organismo europeo deputato al ruolo di “esecutivo” a livello continentale – la Commissione – e dell’organismo emettitore della valuta comune e per ciò stesso stabilente la politica monetaria dei vari Paesi – la BCE -, conformemente a trattati che la regolano ed ai rispettivi obiettivi (stabilità dei prezzi, bassa inflazione).
Von der Leyen e Lagarde succedono rispettivamente a Jean-Claude Juncker ed a Mario Draghi, due indiscussi protagonisti degli ultimi anni. Per questo motivo, comprendere dietrologicamente le fattezze del “modus operandi” e del “modus cogitandi” di queste due novelle figure ai vertici dell’UE è quanto mai necessario per capire la linea che adotteranno.

1. Ursula von der Leyen

Il primo profilo da esaminare ed anatomizzare è quello di Ursula von der Leyen: appartenente all’Unione Cristiano-Democratica di Germania, figlia d’arte (anche suo padre era un uomo di quella determinata forza politica) e donna fidata del Cancelliere tedesco Angela Merkel, ha raggiunto l’apice della propria carriera pubblica recentemente, divenendo Ministro della Difesa tedesco nel 2014. Tuttavia, le sue prestazioni burocratiche, di gestione e di coordinamento in questo ruolo si sono rivelate tutt’altro che di pregevole fattura (e, non incidentalmente, Martin Schulz l’ha definita «il ministro più debole» del governo teutonico).

Scenari Economici riporta alcune delle più evidenti problematiche che si sono verificate durante il suo mandato: l’intoppo degli aerei Eurofighter e degli elicotteri Tiger non funzionanti o non adatti a missioni operative; l’inefficienza e la non operatività dell’A400M nel trasporto militare; la presunta “tangentopoli” sudafricana sulla vendita delle fregate F125 Baden Wurttenberg per incapacità di solcare il mare come desiderato e previsto; la scarsità numerica di carri armati equipaggiati a sostenere le missioni come membro della NATO.

Von der Leyen è legata, inoltre, mani e piedi alla crisi delle forze armate tedesche: una crisi che, invero, ha origini più risalenti nel tempo, ma che oggi stanno estrinsecandosi in tutta la loro drammaticità. Si lamentano, in merito alla Bundeswehr, tanto una carenza di personale quanto una completa disorganizzazione nella gestione delle più disparate situazioni.

Come riporta Insideover, la loro amministrazione e la loro conduzione sono state iper-burocratizzate, tanto che i soldati tedeschi stanno sempre più mancando di efficienza ed addestramento, cosa che li ha condotti ad una qual certa noncuranza e trascuratezza anche nelle missioni internazionali (come notato dagli statunitensi di stanza in Lituania). Senza dimenticarsi di citare il solco scavato tra le forze armate ed i giovani, non più così stimolati a scegliere la carriera militare, al punto tale da indurre i vari governi ad includere persone di origine straniera: il clamore scoppiato sulla connivenza degli uomini della polizia tedesca di origini arabe con i loro connazionali è una plastica rappresentazione di queste aporie tutte interne.

L’esercito e le forze armate del Paese sono quindi a corto di uomini, di finanziamenti e di esperienza sul campo, oltre che di preparazione bellica: «L’intera capacità di difesa della Repubblica Federale è in difficoltà, e questo è totalmente irresponsabile», ha tuonato Rupert Scholz (ex ministro del governo Kohl III), riferendosi in particolar modo proprio alla von der Leyen.

Sulla quale, per di più, gli scandali non si interrompono qui: ha dovuto ammettere, nel novembre del 2018, di aver errato nell’operazione di assegnare consulenze per il suo ufficio, con una cifra aggirantesi attorno alle centinaia di milioni di euro; ha dovuto far fronte, con una spesa faraonica, alla messa a punto della trascuratissima Gorch Fork, nave scuola della marina militare tedesca da tempo senza manutenzione.

La testata Sputnik riporta, oltre a tutti gli scandali in cui è stata coinvolta (problemi con i mezzi militari, inefficienza, mancanza di personale, carenza di preparazione, evidenti deficit nel budget di spesa, corruzione), anche l’opinione di molti esperti tedeschi, i quali sono divisi sul ritenere positiva o negativa la sua nomina a capo della Commissione Europea. Il profilo Twitter della sezione AfD di Heidelberg ha riportato il giudizio più severo (il più duro, poiché estremamente ironico e giocante sull’euro-scetticismo del partito): «Lei ha distutto la Bundeswehr. Ora può distruggere anche l’Unione Europea. Non è poi così male».

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Dunque, Ursula von der Leyen – la quale, in Europa, ha superato le altre eventuali scelte, che erano Weber, Timmermans e Vestager – è una personalità molto divisiva in patria. Tuttavia, è alla dimensione continentale che bisogna guardare, per capire come il suo curriculum nazionale potrà trovare applicazione alla guida della Commissione Europea: e c’è un fatto, risalente al 2011, che ben inquadra quale sia lo spirito della succitata neo-presidente (la cui nomina il Parlamento Europeo, comunque, dovrà ratificare).

Otto anni or sono, dopo la crisi dei mutui sub-prime partita dagli Stati Uniti e giunta nel Vecchio Continente ad una velocità fulminea e fulminante, seguì la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani”, che Mario Draghi – all’epoca, appena divenuto Presidente della BCE – affrontò con l’operazione del Quantitative Easing (acquisto sul mercato secondario dei titoli di Stato dei vari Paesi). Il quale, per inciso, ebbe l’unico scopo di salvare l’euro, ovverosia la moneta unica, non di certo i membri (e relative popolazioni) in difficoltà.

Lo Stato certamente più colpito fu la Grecia, dove le misure di austerità (prima imposte con le ricette dell’FMI, poi portate avanti coi ricatti di Francoforte) furono disastrose, velenifere e mortali: vi furono privatizzazioni selvagge, svendite del patrimonio pubblico (porti, aeroporti, beni demaniali), tagli alla spesa inimmaginabili, i quali tutti insieme hanno provocato il collasso della sanità, dell’istruzione, del sistema pensionistico e di tutto ciò su cui si reggeva il modello economico greco, molto statale e condizionato dalla pochezza delle risorse primarie e dall’assenza di un settore secondario forte.

In questa vera e propria macelleria, attuata attraverso le armi del ricatto debitorio (su una moneta straniera, l’euro, creata dal nulla, priva di valore intrinseco e supportata tanto da parametri macroeconomici del tutto inventati – Guy Abeille – quanto da studi fallaci – Reinhart e Rogoff), la von der Leyen non espresse compassione né soluzioni efficaci, ma ulteriori proposte di macelleria.

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Lanciò l’idea per cui ulteriori prestiti alla Grecia avrebbero dovuto essere concessi solo e soltanto in presenza di garanzie auree o di aziende di Stato dietro: cosa che, per la Grecia stessa, avrebbe significato cedere ricchezze reali per avere ricchezze fittizie (la moneta fiat viene creta ex nihilo, non si aggancia a beni materiali e può essere potenzialmente infinita). Una spoliazione immane ed irreversibile, alla quale si preferì una soluzione più lenta di appropriazione progressiva degli asset strategici greci (non meno invalidante): del resto, la cura ha funzionato, il paziente è morto.

La von der Leyen si è dunque dimostrata liberista, finanche intrinsecamente, in difesa di un sistema paradossale, nel quale il popolo greco è stato spogliato della propria vita e della propria dignità, costretto a morire o ad emigrare. Una tale strenua tutela e perorazione del paradigma economico del debito eterno e della morte dello Stato, da parte del novello Presidente della Commissione Europea, è tutto meno che incoraggiante. Una posizione, peraltro, paritetica e similare a quella di Lagarde, la seconda importante figura qui presa in esame, posta alla guida dell’istituzione europea più centrale, letteralmente: la BCE.


2. Christine Lagarde

Il secondo grande personaggio che andrà a condurre le redini europee è Christine Lagarde: avvocato di formazione, esperta di economia e finanza per professionalizzazione, con a carico la condanna per il caso Tapie (pur avendo tenuto la fedina penale immacolata per la volontà di salvaguardare la sua reputazione ed il suo appeal ad alti livelli) è stata al Ministero dell’Economia francese ed anche (e soprattutto) alla testa del Fondo Monetario Internazionale, il cui risalto ha messo in luce il suo operato, frutto delle sue idee e del suo pragmatismo (a quali scopi, lo si può vedere in più contesti).

Il fatto che non sia un’economista e che non abbia mai condotto una Banca Centrale, ha suscitato un qual certo scalpore e diverse voci critiche, in quanto politica pragmatica e non “competente” esecutrice (secondo il sempreverde feticismo della tecnocrazia a tutti i costi). Sulla questione, con chiarezza ed eloquenza senza remore si è espresso così il giornalista Maurizio Blondet:

«Dopo quel che hanno fatto gli economisti alla Grecia (Barnier e Cottarelli, che hanno sbagliato moltiplicatori fiscali, provocando il crollo del 26% del PIL) e quello che ha fatto a noi il preside della Bocconi Mario Monti, imponendo austerità non necessarie e devastandoci mentre faceva aumentare il debito pubblico, che riteneva sarebbe stato ridotto dalle sue misure crudeli; dopo l’esperienza del tecnico Padoan, che a Bruxelles implora Schauble: “Cosa posso fare per ridurre la tua ostilità?”, ancora qualcuno non ha capito che gente sono “i competenti”, i tecnocrati? Gli economisti del Principe?

Il fatto che la Lagarde sia una politica, persino con la fedina penale sporca – ha una condanna definitiva in Francia (2016) per corruzione per 400 milioni di euro – dovrebbe confortare come un buon auspicio. Una che si sporca le mani è meglio dell’asettica disumanità di Mario Monti, Cottarelli & Barnier».

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Non certamente una difesa d’ufficio della parigina, ma una sciente provocazione, la quale infatti non esime affatto la Lagarde dai suoi errori e non la redime dai suoi peccati: i quali hanno avuto un raggio d’azione piuttosto notevole.
Dall’Europa al Sud America, passando per l’Africa, il suo Fondo Monetario Internazionale è entrato a gamba dritta e con piede a martello in diverse situazioni, mostrando esattamente il volto per il quale era stato creato – assieme alla Banca Mondiale – dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: uno spietato vettore di imperialismo finanziario.

Come evidenzia Scenari Economici, un suo indiscutibile “successo” è stato posto in essere in Argentina, dove la ricetta per la crescita proposta al governo dell’ordoliberista Macrì – che si è indebitato in valuta estera, una follia in regime di moneta fiat – ha contemplato tagli al settore pubblico, privatizzazioni e politiche di austerità, col brillante risultato di aver abbattuto la domanda interna ed il PIL, di aver impoverito la popolazione e di aver accresciuto di diversi punti percentuali il debito pubblico. «Una crisi da manuale liberista».

Un altro intervento portatore di distruzione, difficoltà, scompensi e disfacimento è stato applicato in Grecia, nella già citata “crisi dei debiti sovrani”, in perfetta concordanza con la BCE di Mario Draghi. In una famosa intervista al Guardian, un giornalista le chiese se non provasse disagio o carità sapendo che, nel guardare i conti ed il bilancio greci, i tagli che prevedeva avrebbero condotto madri, figli, anziani e cittadini tutti a perdere diritti ed ammortizzatori sociali: lei seccamente rispose di preoccuparsi di più per i ragazzi di una scuola di un piccolo villaggio del Niger.

La Grecia andava quindi punita con la Troika incarnata, per le ataviche colpe dei padri trasmesse ai non-innocenti figli: salvo poi scoprire un errore nei moltiplicatori fiscali, che di fatto ha condannato il Paese ellenico al (perpetrato) fallimento, sacrificato sull’altare per salvare la moneta unica europea.

Peraltro, dei villaggi del Niger e di tanti Paesi africani, lei si è occupata con l’istituzione che presiedeva prima di questa nomina europea, ma con risultati altrettanto disastrosi (pur spacciati per successi). Il pilota automatico dell’austerità e della svendita delle risorse per risanare i debiti e relativi interessi era già stato inserito decenni addietro: basti pensare agli anni Ottanta in Nigeria, quando la fame e la povertà causate dall’austerità a firma FMI condusse alla nascita primordiale ed embrionale della mafia nigeriana, nata con intenti altri ma poi criminalizzatasi per una serie di fattori contingenti.

Tuttavia, la Lagarde ha proseguito con il medesimo fil-rouge di fondo: chiedere austerità a Paesi già poverissimi e con un reddito medio da fame, con privatizzazioni sempiterne e tagli alla spesa continui. Pulendosi la coscienza con atti simbolici indirizzati ad intenerire (ed intortare) l’opinione pubblica.

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Per concludere questa carrellata, non si può non menzionare il futuro prossimo ed un passato non molto lontano. L’avvocato francese andrà a governare un’istituzione monetaria indipendente, la Banca Centrale Europea, la quale ha nel proprio statuto l’autonomia rispetto alle politiche economiche dei vari governi. Una peculiarità che – nell’assurdità anti-democratica delle istituzioni europee – si rende quanto mai indispensabile, affinché l’istituzione stessa non risponda agli interessi di una sola nazione a discapito di altre (la veste dell’euro come moneta troppo debole per la Germania e troppo forte per tutto il Sud Europa, invero, già inficia questo fine) o di qualche lobby in particolare (la collusione dei suoi membri con società di categoria dell’alta finanza invalida anche questo presupposto).

Parlante, a riguardo di ciò, è la missiva che Lagarde stessa mandò, come leader dell’FMI, a Nicolas Sarkozy, all’epoca presidente francese: «Caro Nicolas, molto brevemente e rispettosamente. 1) Sono al tuo fianco per servirti e per servire i tuoi progetti per la Francia. 2) Ho fatto del mio meglio e ho potuto fallire periodicamente. Te ne chiedo scusa. 3) Non ho ambizioni politiche personali e non desidero diventare un’ambiziosa servile come tanti di quelli che ti attorniano, la cui lealtà è talvolta recente e talvolta poco durevole. 4) Utilizzami per il tempo che ti conviene e che conviene alla tua azione e alla tua distribuzione dei ruoli. 5) Se mi utilizzi, ho bisogno di te come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace, senza sostegno rischio di essere poco credibile. Con la mia immensa ammirazione. Christine Lagarde».

(Quasi) una spassionata dichiarazione d’amore… Alla Francia. Con un’indipendenza, perciò, quanto mai dubitabile. Specialmente se si pensa all’azione dell’FMI in quei Paesi che tuttora adottano il Franco CFA (oggi messo a rischio dalla nuova futura valuta africana agganciata allo yuan cinese). Quella dell’avvocato francese è, infine, un’idea di politica economica in linea con quella che sta conducendo alla terzomondizzazione dell’Europa ed alla globalizzazione della povertà, a tutto nocumento dei popoli ed a tutto vantaggio dell’oligopolio di ricchezze di sempre meno persone e potentati.

«Il volto umano del neoliberismo selvaggio», che l’economista Ilaria Bifarini (“bocconiana redenta”, autrice di “Inganni Economici”, su cui è stata intervistata da Il Messaggero) – commentando la nomina alla BCE – ha laconicamente chiosato come segue: «Christine Lagarde passa dal Fondo Monetario alla BCE. È la politica delle porte scorrevoli dei neoliberisti: di fatto non devono scegliere nulla, né preoccuparsi delle economie dei Paesi, ma applicare senza pietà il pilota automatico, sempre lo stesso, sempre fallimentare».

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3. Problematiche e prospettive d’austerità

Comprendere i due profili “carolingi“, poc’anzi messi in luce, è indispensabile per capire quali potranno essere le evoluzioni dei rispettivi ruoli.
L’asse franco-tedesco si è palesato senza alcun timore di smentita, avendo Francia e Germania preso per sé le principali cariche continentali: Ursula van der Leyen, appoggiata dai Paesi di Visegrad ed anche dall’Italia – per dimostrarsi dialogante col gigante teutonico ma non remissiva nell’accettare senza colpo ferire il piano Merkel-Macron nel sistema dello “Spitzenkandidadt” -, alla Commissione Europea; Christine Lagarde alla BCE.

L’economista marxista Domenico Moro ha evidenziato in quattro distinti punti i significati di queste nomine:
la dimostrazione che l’Unione Europea è un organismo che necessita dell’accordo fra i governi ma che non è affatto democratico verso i popoli che costituiscono i vari Paesi;
la riprova che Francia e Germania costituiscono l’asso fondante e favorito della sovrastruttura continentale europea, quello che fondamentalmente ne detiene le redini ed il controllo (come dimostrato, in maniera palese, dal Trattato di Aquisgrana dell’inizio del 2019);
la prevalenza dei Popolari e dei Liberali, essendo che i Socialisti sono stati esclusi, nonostante la loro forza numerica;
il peso maggiore dei Paesi dell’Europa occidentale (membri più anziani) rispetto a quelli dell’Europa orientale (membri più giovani, un tempo sotto l’influenza sovietica, prima dell’implosione dell’URSS).

Il quadro è quello, manifesto, di una prosecuzione dell’austerità a piè sospinto, date anche le precedenti esperienze delle due donne alla guida di un Ministero tedesco e soprattutto del Fondo Monetario Internazionale.
Anche se, tuttavia, varrebbe la pena di tenere in considerazione un’ipotesi per quel che riguarda il vero fulcro sovrano europeo, ovverosia la BCE: come mai è stata affidata a Lagarde piuttosto che a Weidmann?

Probabilmente perché la francese dovrebbe essere più ben disposta a proseguire con la politica monetaria di Draghi – cioè, dare le briciole agli Stati membri, ma fare tutto ciò che serve per salvare l’euro -, a differenza del falco tedesco, la cui rigidità sulle questioni del debito pubblico avrebbe potuto certamente far saltare l’intera struttura, e per mano tedesca prima ancora che italiana, britannica o francese.

In ogni caso, non va dimenticato che pur sempre di austerità si tratterà, non negoziabile sul tavolo se non con ulteriori tagli alla spesa pubblica (ergo, erosione dei risparmi privati) e privatizzazioni – nella speranza che, in Italia, i minibot possano finalmente incontrare la fiducia di tutte le parti del governo, e così rilanciare una domanda interna paurosamente depressa.

Diverse testate e commentatori hanno inteso positivamente queste nomine perché a capo delle due principali istituzioni europee sono state messe due donne: a prescindere, quindi, dalle loro idee, dalle loro azioni, dalle loro esperienze, tutt’altro che rassicuranti.

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Una presa di posizione aprioristica, alla quale ha risposto secco un articolo de L’Intellettuale Dissidente, che così ha concluso: «Insomma, dopo aver appurato chi siano queste signore, la magia da Stil Novo trecentesco del mondo governato da donne-angelo dove non esiste più la guerra perché ad esser guerrafondai sono solo ed esclusivamente gli uomini cattivi e tutti prosperano in felicità se la berrà ancora qualcuno? Anche no. Ed i fatti continueranno a dimostrarlo. Comunque vada: lotta all’austerità, anche al femminile».


4. L’opinione di Francesco Amodeo

A seguito di tutto quanto è stato descritto, per cercare di avere un quadro massimamente chiaro della situazione su queste due fulcrali nomine europee, è sicuramente un ottimo allargamento di orizzonti riportare l’autorevole opinione di un giornalista – e, soprattutto, “cittadino d’inchiesta”, come preferisce definirsi -, esperto e profondo conoscitore dei meccanismi della “Matrix Europea”, come da titolo del suo libro: il napoletano Francesco Amodeo.

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L’autore, con una serie di tre video sul suo canale Youtube – rispettivamente, del 1°luglio, del 3 luglio e del 4 luglio  -, ha specificato in maniera netta e cristallina la propria posizione, usufruendo di fonti ufficiali (come fatto nel suo libro) e sdoganando nomi, cognomi, dati e date che non lasciano spazio a fraintendimenti o ad interpretazioni fallaci.

I signori del cartello finanziario – quello che, già negli anni Cinquanta, specialmente su spinta americana, spinse per l’integrazione europea, col fine di rendere il Vecchio Continente un territorio di caccia per la finanza transnazionale, e che tutt’oggi ne governa il processo attraverso gli strumenti di cui si è impadronito – sono apolidi. Non ci sono, dal suo punto di vista, prettamente questioni nazionali in ballo (Monti, italiano, faceva parte della “Commissione Attali” per il rilancio della Francia, tra le altre cose), ma unicamente interessi dei più ricchi a mantenere i propri privilegi ed il proprio potere rispetto alla massa sempre più numerosa dei poveri.

Di questo stesso cartello, non incidentalmente, fanno parte quegli uomini e quelle donne che, da anni, hanno stazionato nei gangli del vero potere, quello economico-finanziario, al quale le politiche nazionali si sono rimesse per collusione, per incoscienza o per stoltezza, senza aver ancora trovato la forza di reagire e ribellarsi. Tra questi, ecco spuntare Christine Lagarde ed Ursula van der Leyen (ma anche Charles Michel), più volte presenti alle riunioni annuali del Club Bilderberg (una delle preferite sedi di incontro dei grandi attori della finanza speculativa), tra cui quelle del 2016 e del 2018.

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Le due future front-women dell’Unione Europea, quindi, hanno preso parte a riunioni a porte chiuse di grandi gruppi lobbistici – i cui invitati variano da uomini politici a giornalisti, da grandi banchieri a magnati della finanza, da principi reali ad importanti industriali, e così via -, in palese conflitto di interessi con quello che dovrebbe essere invece (almeno, con quello che viene definito come) il loro ruolo in istituzioni continentali di primo piano.

Il che fa intuire un sentore sempre più comune, sempre più diffuso: a prescindere dalla lettura che si possa dare di queste partecipazioni e di queste appartenenze, viene senza ombra di dubbio difficile pensare che figure chiave, come quelle che presto verranno occupate da Lagarde e van der Leyen, possano pensare al bene dei popoli, piuttosto che a portare avanti i propri interessi (che sono invece diametralmente opposti).

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Del resto, tali meccanismi non si fermano al Bilderberg – una associazione come tante ce ne sono, ce ne sono state e ce ne potranno essere -, ma si innervano direttamente sul modello socio-economico neoliberista che da decenni è stato trapiantato senza clamori ma inesorabilmente – di cui l’Unione Europea è un’estrinsecazione perfettamente riuscita -, e portato avanti a marce forzose, con la spaventosa connivenza del mondo politico: traditore – per usare le parole di Amodeo – dei popoli i cui interessi avrebbe dovuto rappresentare.

(di Lorenzo Franzoni)

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