Dalla trireme greca alla galea romana

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1. Le navi triremi greche

Passata alla storia come una delle flotte più potenti dell’antichità, la marina Ateniese era capace di disporre in battaglia centinaia di triremi da guerra. La trireme, dal greco τριήρης, triérēs, era una nave da guerra molto fragile, studiata per raggiungere un’altissima velocità per brevi periodi e per essere estremamente manovrabile. La sua caratteristica principale era quella di avere sei file di rematori, da prua a poppa, predisposti su tre ordini diversi. Nonostante siamo abituati, dai film e dalla televisione, a pensare a lunghi banchi di rematori, ogni remo aveva solo un rematore. Questo dettaglio lo evinciamo da un passo di Tucidide, che nella sua magistrale opera, “La guerra del Peloponneso“, ci dice che ogni rematore di una nave corinzia “portò il suo remo, il suo cuscino e il suo laccio per il remo“.

Dalla trireme greca alla galea romana
I tre diversi ordini di remi di una trireme classica.

I remi erano lunghi generalmente dai 4,4 ai 4,6 metri; e la pala era tendenzialmente larga. La lunghezza massima di una trireme ateniese, in base a numerosi studi, si aggirava sui 37 m, mentre la larghezza intorno ai 6 metri. Lo scafo di queste navi, costruite secondo lo stile mediterraneo-orientale, detto anche “fasciame a paro”, era costruito con legno di pino ed abete. La leggerezza e la forza erano preferite alla resistenza, ed è per questo che diversi commentatori antichi privilegiano il legno d’abete e di pino. In Omero un epiteto fisso delle trireme era quello di essere “nere”. Ciò è dovuto al fatto che molto spesso lo scafo, per essere impermeabilizzato, veniva ricoperto con resina di pino. La resina, spalmata sulla nave, la rendeva quindi più scura.

Dalla trireme greca alla galea romana
Trireme ateniese

Ogni trireme aveva un nome femminile, spesso di una dea o una divinità minore. Fra le triremi della flotta ateniese due erano considerate sacre, e fra queste v’era la nave Salamina, chiamata così in onore della schiacciante vittoria degli Ateniesi sui Persiani a Salamina. La vittoria nella battaglia fece capovolgere le sorti della Seconda guerra persiana, iniziata con la battaglia delle Termopili dove il re Spartano Leonida si era sacrificato per ritardare l’avanzata dell’esercito del re dei re persiano Serse.

Nell’antichità, e fino al tardo medioevo, non esistendo ancora i cannoni, lo scontro fra due navi da guerra aveva tendenzialmente tre modi per concludersi: 1)abbordare la nave nemica, 2)incendiare la nave nemica ,3) speronare la nave nemica.

Il terzo era il più terribile, lo speronamento infatti, se ben effettuato, causava l’affondamento della nave colpita. Le navi dell’antichità, dall’età classica fino al medioevo, avevano un pesante rostro di bronzo sulla prua, detto in greco embolos. Questo serviva a colpire e squarciare lo scafo della nave bersaglio, così da causare il suo affondamento.

Costoso e potentissimo, il rostro delle navi nemiche era un simbolo di vittoria dal grande valore politico e rituale. Spesso infatti, le statue celebrative delle vittorie navali erano i rostri, di pietra o bronzo, della flotta nemica.

Dalla trireme greca alla galea romana
Una trireme sperona con il rostro la anve nemica.

2. La trireme romana

La tecnologia navale non cambiò molto dalla talassocrazia ateniese al dominio imperiale romano. Tendenzialmente la flotta romana si basava infatti sulle triremi, come un tempo fece quella ateniese.

I Romani, al tempo delle guerre con Cartagine, erano un popolo terraneo, legato più all’agricoltura e al commercio terrestre che non a quello marittimo. Eppure, al contrario di Sparta, i Romani si adattarono subito al nuovo habitat marittimo, e già al finire della prima guerra punica erano stati capaci di sconfiggere in diverse battaglie la superiore per tradizione e storia, flotta cartaginese.

Leggenda vuole che, catturata una nave cartaginese (una trireme), i Romani la replicarono più volte fino a creare una flotta. Per limitare la superiorità dei marinai cartaginesi, escogitarono poi lo stratagemma del cosiddetto “corvo“. Una rampa con un gancio metallico alla sua fine che, lasciata cadere sulla nave nemica, si infilava con forza creando una passerella su cui i legionari romani potevano lanciarsi per combattere corpo a corpo.

La spina dorsale della flotta romana erano le triremi, ma i Romani costruirono anche della gigantesche quadriremi e quinquiremi, vere e proprie corazzate del tempo che potevano ospitare sulla loro tolda diverse armi d’assedio e due corvi. La quadrireme poteva ospitare 240 vogatori, 15 marinai e 75 soldati (soldati di marina);mentre la quinquereme schierava 300 vogatori e 120 milites classiarii.

Almeno fino alla scoperta e all’utilizzo della polvere da sparo l’arte della guerra navale nel Mediterraneo non ebbe grandi cambiamenti, ne è una prova la battaglia di Lepanto del 1525, quando la flotta cristiana affrontò la potentissima flotta turco ottomana. In questa battaglia infatti vennero schierate numerose galee e triremi ancora mosse grazie alla propulsione degli schiavi.

(Fausto Andrea Marconi)

 

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