C’era una volta la Festa

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Da quando esiste l’uomo esiste le festa. Dal momento in cui l’uomo ha sperimentato la felicità (l’etimo di festa è infatti felice, dal latino festus) ha avvertito il bisogno di condividerla con il prossimo. Si potrebbe affermare, usando un termine purtroppo molto in voga attualmente, che non ci può essere festa senza assembramento.

La Festa e il suo significato

Per quanto banalizzate ed insensate ormai apparissero ai più, le feste continuavano a darci il senso del tempo, come è stato tristemente sperimentato da marzo 2020. Purtroppo è stato proprio quello stato comatoso in cui si trovavano la maggior parte delle festività nell’era “precovid” a far sì che queste non abbiano potuto trovare gli anticorpi necessari né una risposta decisa in loro difesa nello spirito di ribellione nelle persone intente a celebrarle nonostante i divieti, le restrizioni, i lockdown, le chiusure ad hoc ecc.

Ecco cosa scriveva nel dicembre 2020 Marcello Veneziani in merito al Natale, festa religiosa e\o consumistica per antonomasia: “Confesso che negli anni passati alla vigilia di Natale sognavo d’ibernarmi e poi farmi scongelare dopo la Befana. Non sopportavo le feste, le case ripiene di tutto, anche di gente; i consumi, i dolciumi, i regali, i pranzi infiniti, le grandi panzate, i giochi, i veglioni, le luminarie, i babbi natali, i botti e le fiaccole. Il Natale stucchevole, di glassa e di ovvietà, il festival domestico delle banalità rituali. Quest’anno pur di riavere il Natale mi sottoporrei alle più insopportabili torture […] La nostalgia è il dolore più dolce per tutto ciò che sentiamo vicino e patiamo lontano. Questo sarà il Natale della nostalgia. Da questo Natale in penitenza così dimesso e decimato, spero solo che resti una cosa, in forma di lezione: che impariamo a distinguere l’importante dal superfluo, le cose che davvero ci mancano dalle cose di cui possiamo fare a meno, che ci rendono anzi migliori proprio quando non ci sono”.

Forse c’è qualcosa di più in realtà del classico sentimento che ci porta a desiderare le cose quando non ci sono più, che un attimo prima davamo per scontato o addirittura disprezzavamo. La festa da tempo in realtà aveva perso il suo vero spirito, il quale consisteva nell’interrompere la sequenza delle normali attività del quotidiano, attraverso la dissacrazione, l’eccesso e l’infrazione di norme consentita proprio perché circoscritta nell’ambito della festività. Dove le forze vitali, l’eros ed il thanatos venivano liberate pubblicamente.

È arrivato il Covid

Al professore Franco Cardini va il grande merito di aver spiegato con meticolosità da un punto di vista antropologico, oltrechè psicologico, storico e culturale il senso e lo spirito delle feste.

Nell’ “era Covid” è necessario riscoprire il suo saggio “Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno”. Infatti è lo stesso anno ad assumere i connotati di un organismo vivente che nasce, cresce e muore, attraverso le stagioni e le celebrazioni. Essendo stato pubblicato sul finire del XX secolo, si potrebbe dire che questo lavoro di Cardini sia servito (e tuttora può servire) come vademecum per “l’homo festivus” del XXI secolo. Fin dall’introduzione Cardini, che scrive nel 1998, risulta attualissimo dopo più di 20 anni: “Di recente si è scoperto, con l’alibi della società multiculturale e plurirazziale, che l’identità è pericolosa, il radicamento perverso, il senso del Sacro intimamente oscurantista e retrogrado. Le feste nuocciono al livellamento; l’osservazione delle ricorrenze calendariali ostacolano il melting pot auspicato dai nuovi profeti del mondialismo. Razionalismo, utilitarismo, progressismo convergono nello sparare a zero sulle feste tradizionali: alcuni le vorrebbero derubricate a occasioni per più intense forme di shopping, altri cancellate dal malinconico e indistinto crepuscolo del tempo libero, altri invece sopravviventi ma spogliate di ogni sacralità e ridotte a ricorrenza laica”. Il saggio parte da una domanda: cos’è che l’uomo teme? Il tempo storico.

Il tempo ciclico che è appunto quello della liturgia, quello del tempo perfetto delle origini che viene ripristinato attraverso il rituale. Questo senso del tempo fuori dal tempo ci è stato privato dalla psicopandemia dopo aver ricevuto in precedenza duri colpi dalla società iperglobalizzata, e, se si volesse andare ancor più addietro dall’addomesticamento da parte della chiesa cattolica in una vera e propria opera di “conversione” delle festività pagane, eliminando, non sempre riuscendoci, quei caratteri più eversivi e violenti, di cui il Carnevale probabilmente è l’esempio più rilevante. Oltre ad essere ciclica nel suo ripetersi stagionale, la festa è caratterizzata dall’ aspetto comunitario, ludico ed extraordinario. Si assiste al ribaltamento delle classi sociali nonché all’orgia sia gastronomica che sessuale, laddove questa simbolicamente rappresenta l’origine dal caos. Oltre a rappresentare un tempo sospeso la festa è soprattutto una battaglia contro la morte.

E’ l’uccisione stessa della morte in forma simbolica a garantire la rinascita. Questi aspetti comuni a tutte le festività, ovvero la danza, il canto, le mangiate, gli scherzi, la licenza sessuale, avverte Cardini, servono proprio a dissimulare l’angoscia e la paura che sono di origine arcaica e magica. Angoscia e paura con cui i mass media ci affliggono ormai da un anno. Gli stessi sentimenti negativi che non è più permesso combattere attraverso lo strumento/arma festa. Ecco perché per quanto lodevoli e rispettosi delle tradizioni festive le varie iniziative promosse da Proloco, comitati organizzativi e i vari addetti ai lavori festivi atte a celebrare le ricorrenze attraverso i monitor dei computer appaiono comunque private di senso quanto distopiche. Come è già stato detto in precedenza l’essenza della festa era già moribonda prima del Covid: il carattere preindustriale, ciclico, sacro ed altro da sè rispetto alla quotidianità si è ridotto, laicizzato ed è stato racchiuso nella sua funzione meramente produttiva e consumistica.

Conclude Cardini nel suo saggio che la ricetta per sopravvivere un po’ meglio starebbe appunto nel fare festa ogni tanto, ridando così alla propria esistenza individuale e collettiva un senso di sacralità. E’ possibile da parte di chiunque fare una riflessione sul passar del tempo dopo un intero calendario di chiusure, eccezion fatta per l’ora d’aria comunque limitata, concessa in estate, e che ovviamente, ci ammoniscono, non meritavamo.

L‘annullamento del tempo festivo, ciclico, ci ha reso ancora più angosciati e spaventati, soggetti ad un divenire piatto ed in attesa di un vaccino messianico che dovrebbe restituirci il tempo delle origini. Dall’alto di un pulpito immaginario pare si possa intravedere un virologo che puntandoci un dito contro ci dice “La festa è finita restate a casa”. La potenza sciamanica rappresentata dall’uso della maschera, non un oggetto qualsiasi, è stata sostituita dal feticcio “mascherina” . Resta da chiedersi se e fino a quando questo imperativo innaturale ed assolutamente non richiesto verrà rispettato ed il nostro spirito dionisiaco imbrigliato.

(di Emilio Bangalterra)

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