Shackleton

Shackleton, il capitano che salvò la vita di tutti i suoi marinai

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Shackleton è il capitano. «Mettete Scott a capo di una spedizione scientifica. Amundsen, per un raid rapido ed efficace. Ma quando siete nell’avversità, e non intravvedete vie d’uscita, inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Shackleton!» Non c’è sintesi migliore per definire “il” capitano, quello che ogni marinaio vorrebbe. Sarete certi di portare a casa la pellaccia. Cosa che in mezzo al mare, male non fa.

 

Chi è Shackleton

Sir Ernest Henry Shackleton, nasce nel febbraio del 1874, il 15, a Kilkea House, nella contea del Kildare, in Irlanda. Ad oggi è considerato uno dei più importanti esploratori britannici, al servizio della corona inglese. Ma la sua grandezza non seguì la sua storia. Ci vollero anni per rendersi conto dell’impresa che riuscì a compiere.

Shackleton
Il Capitano Shackleton

Siamo nell’età eroica delle esplorazioni antartiche e al fianco di Shackleton sono diversi in nomi altisonanti di capitani coraggiosi che si spingono all’estremo Sud del mondo, per buona pace dei tarrapiattisti. Shackleton si terrà fuori dalla conquista del polo Sud lasciando l’impresa ai due agguerritissimi Scott e Amundsen. Il secondo conquisterà il polo solo due settimane prima dell’arrivo di Scott il quale perirà, abbattuto nell’umore e nel corpo, sulla via del ritorno alla propria imbarcazione. Per Shackleton nel 1914 si prospettava una diversa impresa: l’attraversamento del continente. Impresa titanica, tra le più complesse ancora oggi. Dal mare di Weddel a quello di Ross via terra.

La spedizione Endurance

All’alba della prima guerra mondiale due navi di ottima e recente costruzione, l’Endurance e l’Aurora (nave di supporto) partirono alla volta dell’Antartide. Sulla carta la spedizione transantartica prevedeva un piano “piuttosto semplice”. L’Endurance avrebbe dovuto raggiungere baia di Vahsel, nel mare di Weddel, luogo di partenza per la traversata. L’Aurora, invece, partendo dalla barriera di Ross, avrebbe dovuto disporre provviste e materiali per rendere possibile il viaggio trans-continentale di oltre 3 000 chilometri. La prima sfida che la spedizione avrebbe dovuto affrontare sarebbe stata quella di raggiungere il sud del mare di Weddel occluso per buona parte dell’anno da una fitta e impenetrabile banchisa.

Shackleton, il capitano che salvò la vita di tutti i suoi marinai
La traversata continentale Antartica progettata dalla spedizione Endurance

Su ordine di Wiston Churchill la spedizione lasciò il porto di Plymouth il 9 agosto 1914 per raggiungere Buenos Aires e rifornirsi ulteriormente. Da lì puntò la Georgia del Sud, Grytviken. Solo il 5 dicembre successivo poterono spingersi più a sud a causa di un pack insolitamente esteso. Con il nuovo anno l’Endurance avvistò i primi iceberg e in breve tempo sul finire di gennaio si trovarono a navigare al fianco di muri di ghiaccio alti 30 metri. Erano al largo della costa di Coats. Pochi giorni più tardi scesero al 74° sud di latitudine. Erano ufficialmente in acque e terre inesplorate.

Shackleton perde la nave

Febbraio del 1915 divenne il mese della svolta, quello in cui ebbe inizio la fine della spedizione e l’inizio della leggenda. L’Endurance procedeva a fatica verso sud con il ghiaccio a prendersi la scena da protagonista. Gli uomini di Shackleton aprivano fenditure senza sosta che in poco tempo sotto la pressione del moto ondoso si richiudevano saldandosi con ancora più forza e vigore. Più la nave avanzava verso sud, più la navigazione si faceva difficoltosa. La banchisa si inspessiva metro dopo metro. Con grande difficoltà la spedizione tentò di raggiungere il suo obiettivo: 78°sud.

Shackleton, il capitano che salvò la vita di tutti i suoi marinai
Cani da slitta a bordo dell’Endurance

Nulla da fare. Il ghiaccio aveva imprigionato Shackleton e la sua imbarcazione. Sul finire di febbraio si avviarono i preparativi per affrontare l’inverno. Non ci fu subito scoraggiamento. Il capitano sapeva che quella era una situazione che poteva capitare e che, in altre spedizioni si era risolta con l’apertura spontanea e graduale della banchisa. C’era inoltre fiducia sulla solidità dell’Endurance.

Barca e uomini erano intrappolati, ma non fermi. La banchisa lenta ma inesorabile si stava muovendo. Di pochi chilometri verso nord-ovest a fine febbraio, molti di più a marzo. Si stavano allontanando dall’obiettivo e da quel litorale punto di partenza per la traversata continentale antartica. Arrivò la primavera e l’imbarcazione continuava ad essere preda dei ghiacci. Poi si fece settembre e infine ottobre quando la situazione precipitò improvvisamente. La pressione dei ghiacci cominciò a farsi insostenibile e nell’Endurance si aprirono delle falle. Prima piccole, poi sempre più profonde fino a provocare l’affondamento del vascello.

Shackleton
La nave viene abbandonata stritolata dai ghiacci della banchisa

La situazione era stata letta con grande capacità dal capitano Shackleton che aveva preventivamente ordinato di abbandonare la nave e preparare un campeggio a distanza di sicurezza. Si riuscì così a salvare viveri, materiale fotografico, utensili, scialuppe e quanto poi si rivelò indispensabile alla sopravvivenza del gruppo.

Il salvataggio, un’impresa solo per Shackleton

Shackleton progettò il salvataggio. La prima soluzione prevedeva di raggiungere a piedi a 450 km di distanza l’Isola Paulet. Una distanza che con tutti i viveri della spedizione salvati sarebbe stata più che fattibile. Purtroppo a complicare e bloccare la spedizione di salvataggio fu la condizione del pack caratterizzata da enormi massi di ghiaccio. Oltre a questa difficoltà il passare del tempo e l’aumento delle temperature avevano cominciato ad allentare la banchisa rendendo il tutto più complicato e pericoloso. Si progettò un nuovo piano, quello di raggiungere l’isola Elephant. Opzione presa in mare a bordo delle scialuppe perché il primo obiettivo dell’isola Destination (più ospitale) non fu praticabile per le condizioni meteomarine avverse. Sette giorni in mare sulle scialuppe di salvataggio e gli uomini raggiunsero l’isola di Elephant.

Shackleton, il capitano che salvò la vita di tutti i suoi marinai
La rotta dall’isola di Elephant alla Georgia del Sud

La prima parte del salvataggio era andata a buon fine. Ora si presentava quella più difficile e insidiosa. Solo una scialuppa la James Caird guidata da Shackleton insieme ad altri 5 uomini partì per affrontare il canale di Drake e raggiungere la Georgia del Sud. Avrebbero così attraversato il mare più insidioso e pericoloso al mondo con onde alte 30 metri e venti oltre i 60 e 70 km/h. Una condizione che in quelle acque si verifica 200 giorni all’anno. Tutto questo da affrontare per una distanza di 1.500 chilometri su di una scialuppa di soli 7 metri con solo un sestante a indicare la rotta.

Shackleton
Shackleton e i cinque uomini scelti pronti a partire con la scialuppa

L’impossibile nell’impossibile

Raggiunsero le coste della Georgia del Sud dopo 15 giorni di navigazione. Un’isola dura, inospitale e ancora non del tutto inesplorata. Per via delle condizioni meteo non poterono circumnavigare l’isola fino agli insediamenti balenieri. Attraccarono così dalla parte opposta. I sei uomini si divisero. Tre di loro, i più stanchi sarebbero rimasti ad aspettare. Shackleton e gli altri diedero vita a una nuova impresa, quella di raggiungere la stazione di Stromness attraversando l’isola, a piedi, attraverso montagne alte, innevate e perennemente ghiacciate. Senza ramponi (hanno chiodato i propri stivali), senza tende, senza sacchi a pelo.

Shackleton, il capitano che salvò la vita di tutti i suoi marinai
Il tragitto a piedi lungo le pendici montane della Georgia del Sud

Si incamminarono alle 3 di mattino del 19 maggio 1916, tornando spesso sui propri passi, eppure alle 4 di pomeriggio del 20 maggio raggiunsero sfiniti Stromness. Si fecero riconoscere, si rifocillarono e quella notte si riposarono. All’indomani con un peschereccio di stanza nella baia recuperarono gli altri tre compagni che di primo acchito, tutti puliti e sbarbati, non li riconobbero. La stessa traversata nell’entroterra della Georgia del Sud fu provata più volte e riuscì solo nel 1955 dall’esploratore Duncan Carse che a tragitto compiuto riferì: «Non so come lo fecero, se non perché dovevano. Tre uomini dell’eroica era dell’esplorazione dell’Antartide, con 50 piedi di corda e un ascia da carpentiere».

Shackleton
Shackleton giunge a salvare i suoi uomini

Iniziarono subito le operazioni di recupero per trarre in salvo i 22 uomini lasciati sull’isola di Elephant. Ci provò una prima volta il 23 maggio 1916, ma dovette ritirarsi a causa della banchisa troppo spessa. Altri due tentativi andarono a vuoto fino a quando il 30 agosto, quattro mesi dopo aver lasciato l’isola di Elephant, Shackleton riuscì a trarre in salvo tutti i suoi compagni di spedizione.

Shackleton non si arrende, ci sono ancora uomini da salvare

Vi ricordate la nave di supporto, l’Aurora? Qualcosa andò storto anche a loro e quando Shackleton lo scoprì si diede anima e corpo per trarli in salvo. Nel prossimo capitolo sveliamo l’impresa meno nota, ma altrettanto gloriosa di un uomo che il mare lo ha sempre affrontato a testa alta e che non ha mai abbandonato al proprio destino nessun membro del proprio equipaggio.

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