L'11 Settembre del free speech: è dittatura social

L’11 Settembre del free speech: è dittatura social

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin

I social media contro Donald Trump. È un refrain che va avanti da tempo, tra la censura di un tweet e – ora – la cancellazione totale del suo profilo. Episodi che pongono al centro del dibattito una questione fondamentale e volutamente ignorata dai media, accecati come sono dall’odio contro il presidente uscente degli Stati Uniti d’America.

Social e censura

La discussione è ben più ampia di quanto si possa pensare: non è su Donald Trump, non è sulle sue parole, non è sui suoi contenuti, né sulle sue opinioni politiche.

La domanda che bisogna porsi è semplice e ha carattere generale: può un imprenditore privato, proprietario di una piattaforma che è diventata a tutti gli effetti un luogo pubblico (anche se virtuale) di aggregazione e diffusione di idee, decidere autonomamente chi e cosa ammettere in virtù del solo fatto di esserne il proprietario?

Secondo molti sì. “I social sono piattaforme private, e dunque il signor Zuckerberg di turno prende le decisioni”. Questa è sostanzialmente il mantra che si sente ripetere da più parti.

Un’idea di democrazia che, però, è evidente, non può non far storcere il naso a chiunque sia penetrato anche solo da un minimo sentimento di libertà.

Facciamo un esempio semplice e concreto per inquadrare meglio la questione. Immaginiamo che il signor Rossi sia il titolare di un esercizio commerciale e che abbia col signor Bianchi un rapporto di inimicizia perché le opinioni politiche di quest’ultimo sono, a parere del primo, aberranti e contrarie alla sua morale. Può il signor Rossi vietare l’ingresso al signor Bianchi?

Sarebbe tollerabile un cartello esposto in un locale che reciti: “Vietato l’ingresso ai tedeschi e ai socialisti?”.

Questa ipotesi, a differenza di quella dei social network, è disciplinata in maniera chiara. Il Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza infatti stabilisce che: “gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”.

Da questo punto di vista, il principio cardine di tutti gli ordinamenti liberali concorda su come non vi sia la possibilità, per un privato, di attuare una discriminazione del cliente, se non per un “legittimo motivo”.

La censura e i moderatori che si autoproclamano ai giudici

A questo punto tocca chiedersi, chi stabilisce cosa sia un legittimo motivo? Ebbene, è evidente che a farlo debba essere un organo terzo ed imparziale, e non di certo un privato per il solo fatto di vantare una posizione di forza rispetto a un suo cliente.

I regolamenti dei social – sui quali si basa la relativa azione di censura – nascono con il dichiarato (e tutto sommato comprensibile) intento di prevenire comportamenti che minino la serenità del dibattito. Tuttavia l’asticella si è abbassata col tempo ben al di sotto della repressione preventiva dei comportamenti palesi e si è estesa fino a superare la soglia di un’azione censoria basata su interpretazioni che dovrebbero competere solo ed esclusivamente ad autorità preposte, trasformando i moderatori del web in veri e propri giudici.

Si può dunque continuare a tollerale che queste piattaforme stabiliscano autonomamente chi e cosa ammettere o escludere?

È tollerabile trattare alla stregua di club privati – in cui gli amministratori si ergano a giudici censori preventivamente sulla base interpretativa di un regolamento interno – qualcosa che nella realtà non lo è?

I social, seppur privati, sono di fatto delle vere e proprie piazze. E, a ben vedere, su questa evidenza non è rimasta insensibile la giurisprudenza.

Nella ormai nota disputa tra Facebook e il partito CasaPound infatti, nell’ordinare il ripristino della pagina del movimento di estrema destra cancellato dalla società di Zuckerberg, il Tribunale Civile di Roma stabiliva, con ordinanza del giudice Stefania Garrisi, come i social agiscano da vera e propria piazza.

Si legge nel testo: “È infatti evidente il rilievo il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento”.

Accogliendo questo principio, l’obiezione puerile del “privato che decide” non può che crollare. E ci si chiede, a questo punto, fino a quando si potrà tollerale la censura operata di propria iniziativa dai titolari dei social network su esponenti politici e opinionisti invisi.

Se, come pare chiaro tanto agli occhi della realtà quanto, deo Gratias, almeno di parte della giurisprudenza, questi strumenti rappresentano non un circolo privato, ma un luogo pubblico o addirittura un mezzo fondamentale di propaganda politica, dovrebbe essere allora un’autorità pubblica, imparziale e legittima a stabilire cosa sia e cosa non sia legittimo ammettere, e non di certo il team di Mark Zuckerberg o Jack Dorsey.

Free Speech, social e democrazia

Il free speech è in pericolo, e urge un intervento chiaro e netto in sua difesa. Il processo naturale, basato, anche per i social, sul libero pensiero, dovrebbe infatti essere esattamente l’opposto di quello attuale, trattando la libertà d’espressione come la regola. E se, e solo se, qualcuno poi oltrepassasse la soglia della legalità, esattamente come accade in una piazza e nel mondo “reale”, un’autorità terza e pubblica (e non Facebook, Twitter o Instagram) potrebbe stabilire le relative pene e conseguenze.

Accogliere ogni altro principio è la negazione totale di un principio di libertà. È il voler nascondere, sotto la maschera bella della tolleranza e della difesa della democrazia, qualcosa che è esattamente il suo opposto. Un colpo alla libertà ben più grave di un esaltato con le corna da vichingo che occupa il Campidoglio.

(di Simone De Rosa)

Share on facebook
Share on twitter
Share on linkedin

Potrebbero piacerti

Brexit: il Regno Unito NON sprofonda nel Caos
Brexit, giorno 2, i cittadini di Inghilterra, Galles, Scozia ed [...]
Controdiscorso di Capodanno al presidente Mattarella
Caro concittadino Mattarella, a Capodanno la sua sola presenza ci [...]
Signora Lucarelli, noi non la disprezziamo: anche se lo meriterebbe
Pregiatissima signora Lucarelli, so che la cosa non Le interesserà [...]
Vaccino AntiCovid: primula sul petto e patentino per il bar. Idee fantastiche e dove trovarle
“NON LEGGONO NEMMENO LA SCADENZA DEL LATTE, ‘STI ITALIANI, EPPURE [...]
Scroll Up