Regno Unito, al via il nuovo corso del Labour Party

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In piena crisi da coronavirus il Labour Party ha portato lo stesso a compimento la svolta di cui non poteva fare più a meno, cambiando la leadership del movimento in seguito alle annunciate dimissioni di Jeremy Corbyn dopo la debacle dello scorso 12 dicembre in cui il risultato elettorale ha segnato la peggior sconfitta dagli anni Trenta con l’elezione di appena 202 deputati alla Camera dei Comuni e un crollo di poco meno dell’8% rispetto all’ultima tornata tenutasi appena due anni prima.

Labour Party: Il recupero dell’unità

Dopo cinque anni alla guida dello storico partito di sinistra Jeremy Corbyn lascia le redini in mano al cinquantasettenne Keir Starmer. Avvocato, già ministro ombra per la Brexit, argomento sul quale era schierato sull’opzione del Remain tanto da farsi promotore della richiesta di un secondo referendum, Starmer ha stravinto nel voto interno con il 56% delle preferenze. Pur definendosi “socialista” il nuovo leader è visto come una figura più moderata rispetto a quella del suo predecessore e in grado di ricostruire l’unità del partito.

È in quest’ottica che si può leggere la sconfitta della candidata sostenuta da Corbyn, la quarantenne Rebecca Long-Bailey che ha ottenuto solo la metà dei voti di Starmer. È apparsa, invece, sempre fuori dai giochi la sua coetanea Lisa Nandy, la cui candidatura non era sostenuta da nessuno dei leader del partito. La vice di Starmer sarà Angela Rayner, già ministro ombra dell’Istruzione con Corbyn e anch’essa ritenuta di una sinistra più moderata rispetto al settantunenne nativo di Chippenham.

Un Labour Party più moderato

L’opera di ricostruzione di Starmer è iniziata, però, con la nomina nel nuovo governo ombra di Ed Miliband, leader del partito dal 2010 al 2015 e sconfitto poi proprio dall’ala di estrema sinistra guidata da Corbyn. Insomma per ripartire dalla storica sconfitta patita nel dicembre 2019 Starmer sembra puntare tutto sul recupero di un’unità del partito e delle sue anime venuta meno per la netta opposizione dei moderati all’intransigenza dimostrata da Corbyn e i suoi che, pur vedendo aumentare considerevolmente il numero degli iscritti al partito fino a superare le 500 000 unità, ha finito per inimicargli sia l’elettorato moderato sia quello delle storiche roccaforti delle zone industriali e minerarie del nord schieratesi nettamente a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

L’attacco a Boris Johnson

La strada per tornare al successo, dopo quindici anni di sconfitte elettorali, appare in salita anche per via della grande popolarità di Boris Johnson, che qualcuno avrebbe visto volentieri sconfitto dalla pandemia di Covid-19. D’altronde la sinistra anglo-sassone non sembra essere così diversa da quella del resto del mondo che si augura, spesso, di sbarazzarsi dei propri rivali non per via politica ma tramite altri mezzi, che siano essi giudiziari o, in questo caso, effetto collaterale del virus che sta modificando vita, salute ed economia dei cittadini in tutto il pianeta.
(di Luca Lezzi)
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