Il mito dell'eroe come risposta alle baby gang della Napoli sbandata

Il mito dell’eroe come risposta alle baby gang della Napoli sbandata

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Tante le polemiche dopo i fatti di Napoli del 1 marzo scorso circa la morte di un quindicenne per mano di un carabiniere, nel tentativo di difendersi da una rapina, e la “mostruosa” reazione dei parenti della vittima. Colpa del rapinatore o addirittura del carabiniere, il quale avrebbe esagerato nella difesa?  Questo lo lasciamo alle lungaggini della giustizia italiana e alla manfrina del dibattito tra garantisti e giustizialisti, securitari e ribelli. La questione che ruota attorono a criminalità e baby gang, ora, andrebbe affrontata da punti di vista nettamente diversi, e che non tengano conto della oramai fritta e rifritta “questione sociale” napoletana, sul delinquere per motivi di “riscatto” e di “giustizia”.



Il problema antropologico e il peccato storico 

Il primo fattore di cui tenere conto è quello antropologico, la conoscenza dei tipi umani che abitano la città e talune zone del meridione più in generale. La storiografia post-risorgimentale, per motivi ideologici, ha letteralmente annullato le naturali differenze esistenti tra i popoli, e talvolta all’interno degli stessi popoli e Stati nazionali.

Solo la città di Napoli ha una storia antica e diversificata, con influenze di ogni genere, risalenti a secoli di invasioni e processi migratori che hanno investito più in generale tutto il meridione d’Italia (spagnoli, normanni, arabi, ecc.). Una storia sedimentatasi nel carattere e nel sangue di alcune fette della sua popolazione, come dimostrano anche gli evidenti e caratteristici tratti fisiognomici di esse. La diversificazione dei tipi umani procede anche attraverso la differenziazione delle “energie” presenti nella città, legate alla sua particolare conformazione territoriale (i vari crateri e il relativo simbolismo).

Ricordiamo che, al di là della vulgata “egualitaristica” e positivista, ogni popolo è dotato di un suo “spirito”, una sua “coscienza collettiva”. La difficoltà, nel governo di questa estrema eterogeneità, è dovuta proprio all’ignoranza in merito, e alla sottovalutazione o messa al bando di tutte quelle concezioni che contrastino con l’eguaglianza degli individui, anche se non al fine discriminatorio. Su queste basi, l’Unità d’Italia non è mai avvenuta per davvero, perché impostata sul discorso ideologico sopramenzionato e sull’accordo sostanziale del Regno di Sardegna (del Piemonte) con il peggio della società meridionale (la camorra al soldo del massone Don Liborio Romano).

Poi la storia si ripete con la fine del fascismo, dove gli “alleati” hanno preferito accordarsi con la mafia, che aveva garantito lo sbarco in Sicilia (vedi ruolo di Lucky Luciano e dei suoi luogotenenti messi al comando dei comuni siciliani). Infine la “seconda repubblica”, che ha consegnato vaste zone del meridione, e talvolta non solo, nelle mani della criminalità organizzata, con la caduta della sovranità dello Stato centrale e del primato della politica. Caduta ulteriormente acuita con l’ingresso dell’Italia nell’UE, con la crisi economica 2008, e con le politiche lacrime e sangue dei governi alla Monti.



Baby gang: modelli di riferimento e fallimento dell’educazione arcobaleno

Il secondo punto da analizzare riguarda i modelli di riferimento e le politiche educative, sempre conseguenza della stessa mentalità egualitarista, ma anche “politicamente corretta” e “postsessantottina”. Innanzitutto, la rapina terminata in maniera tragica non è solo frutto della malavita locale, la camorra, bensì di una nuova ondata di criminalità molto più di marca “postmoderna”, “americana”, “esogena”. Nel cuore di questi fatti ci sono le serie TV dell’american way of life, “Gomorra” su tutte! Un’emulazione oramai dilagante nelle giovanissime generazioni locali, le quali, nel quadro storico-politico e antropologico sopracitato, non trovano dei veri miti e valori di riferimento.

Del resto che cosa oppongono le istituzioni, alla potentissima fascinazione per questi divi oscuri – e di plastica! –, opera della cinematografia, del malinteso diritto di cronaca e di spettacolo, e del delirio dello sballo e del denaro a tutti i costi? Le uniche risposte in grado di venire dalla Napoli dei vari De Magistris e Fico sono gli “striscioni arcobaleno” e le sviolinate sul “cuore” e la “bontà” della città: una vera e propria litania politicamente corretta in salsa partenopea! Che cosa può venire dalle scuole? Se non la stessa zolfa, filtrata da quei sistemi pedagogici antiscientifici basati sul “dogma dell’inclusione”.

Non c’è concetto più sbagliato nell’educazione di un giovane dell’“inclusione”! Casomai è l’equità di possibilità che bisogna garantire, e la legge italiana è già attrezzata a farlo – come ogni cosa almeno sulla carta. Il processo di educazione di una persona si ottiene attraverso quella che Carl Gustav Jung chiamava l’“individuazione”, e cioè la formazione della personalità “unica” e “irripetibile”. Un meccanismo, che a pensarci bene si basa sull’“esclusione” dal gruppo. Ma poi perché rovinare un’intera classe, inserendo 2/3 elementi completamente destabilizzanti? Per soddisfare le isterie buoniste dei “semicolti” della cosiddetta sinistra? Il bisogno d’“ammore” dei radical chic napoletani? Il divertimento “globalistico centro-socialaro” sponsorizzato in stile Benetton? Ma anche questo discorso rientra nel sistema di valori imperante, e nella concezione del mondo che domina le nostre società e le istituzioni.



Il mito dell’eroe contro le baby gang

 

Questa concezione del mondo ha letteralmente massacrato la figura dell’“eroe”, l’unica in grado di opporsi realmente al modello seducente dei seriali televisivi. Viceversa, si è portata alla ribalta quella della “vittima”, e del reietto a cui “tutto è concesso”, di colui che ha diritto a “fare male”.

Anni e anni di retorica pacifista e buonista ha letteralmente distrutto il principio della forza, principio naturalmente esistente in ogni individuo e che come tale va sviluppato e potenziato. Di converso, comprimendo e reprimendo questo fluido naturale, le stesse forze si sono canalizzate in meccanismi perversi come la codardia, la violenza, l’invidia, lo “spargere veleno”.

Questi soggetti, le cosiddette baby gang e coloro che scelgono la strada della criminalità in stile “gangsta rap”, in fin dei conti sono dei “deboli”. Ben altra cosa è il “carattere”, qualità sostanzialmente “interiore” che determina anche la possibilità di “agire” e di “non agire” nel mondo esterno in maniera “forte”. Non a caso i migliori sistemi di recupero sono quelli promossi dal maestro di Judo Gianni Maddaloni, che a Scampia ha costruito una palestra per giovani socialmente disagiati. Un’educazione corretta della gioventù deve inevitabilmente passare attraverso la coltivazione di queste qualità “spirituali” che, lo ripetiamo, sono insite nell’uomo e che vanno incanalate in maniera opportuna. Questo è l’unico modello davvero vincente da instillare, stimolare e diffondere nel corpo malato di parte di questa città.



(di Roberto Siconolfi)

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