Vercingetorige Giulio Cesare Alesia

L’assedio di Alesia: il trionfo di Giulio Cesare sui Celti di Vercingetorige

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La battaglia di Alesia e la vittoria di Giulio Cesare sui Celti di Vercingetorige fu, molto probabilmente, una dei più grandi trionfi delle legioni di Roma. Non solo, lo scontro pose fine alla rivolta gallica cappeggiata da Vercingetorige e consegnò definitivamente la Gallia alla Res Publica romana.

È lo stesso Cesare, nel suo De Bello Gallico, a raccontarci della battaglia. Il libro VII è dedicato infatti alla rivolta di Vercingetorige, capace di unire tutti i Galli contro il generale romano. Infine, d’altra parte, saranno l’acume strategico di Cesare, l’abilità ingegneristica romana e la solidità delle legioni di veterani ad avere la meglio su tutti i popoli gallici uniti contro Roma.

Vercingetorige Alesia
La campagna di Cesare in Gallia

La campagna di Cesare in Gallia

“Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur”. Una frase, questa, che si è impressa nella mente dei liceali di tutta italia. Che abbiate fatto il classico o lo scientifico, l’incipit del De Bello Gallico è un passaggio obbligato nello studio della lingua latina.

La campagna di Giulio Cesare, iniziata nel 58 a.C. con quella semplice descrizione della Gallia, all’alba dell’assedio di Alesia si era protratta anche più del dovuto. Troppo spesso popolazioni galliche già arresesi al generale romano avevano rotto gli accordi e si erano ribellate solo per venire nuovamente sconfitte. Fiere popolazioni di popoli indoeuropei, i Celti della Gallia, da noi italiani chiamati comunemente Galli, erano un popolo guerriero difficile da dominare.

Lo aveva capito lo stesso Cesare, ma aveva capito anche la debolezza dei Celti: la loro litigiosità. Come per le poleis greche infatti, i Galli non erano riusciti a riunirsi in un unico grande Stato e si combattevano senza sosta fra grandi e piccole tribù.

La disunione della compagine gallica, la riottosità ad unirsi contro un nemico comune, furono ottimamente sfruttate dal console romano. La campagna cesariana della Gallia fu infatti un magistrale esempio del Divide et Impera. La strategia che mira a dividere il nemico in forze di piccole dimensioni per poterlo schiacciare un pò alla volta.

Vercingetorige alla guida della rivolta gallica

Alla fine però anche i Galli riuscirono a riunirsi sotto la guida di un eroe carismatico: Vercingetorige. Le uniche fonti antiche a parlarci del capo della rivolta gallica sono di origine romana, quindi sono da prendere con le pinze. In ogni caso sappiamo che Vercingetorige era un nobile dell’antica tribù degli Arverni. Una delle più tradizionaliste e combattive delle popolazioni galliche.

Il loro dominio si trovava nell’attuale regione francese dell’Alvernia, nel centro-sud della Francia. Fra II e III secolo a.C. gli Arvenri erano la tribù più potente di tutta la Gallia, ma ora il loro primato era conteso da altre comunità. In ogni caso furono al centro del movimento antiromano che infiammò la Gallia intera nel 52 a.C.

La strategia dei rivoltosi fu inizialmente molto saggia. Vercingetorige utilizzò la guerriglia su larga scala, con lo scopo di fare terra bruciata intorno alle legioni di Cesare. Distruggerne i rifornimenti, fiaccarne il morale, bruciarne i granai e attaccarne i distaccamenti più isolati. La strategia permetteva inoltre a Vercingetorige di lavorare diplomaticamente presso le atlre tribù per sollevarle contro Roma.

Giulio cesare battaglia vercingetorige

Dalla battaglia di Gergovia ad Alesia

È sulla scia di questa strategia che Vercingetorige riuscì ad ottenere la prima grande vittoria contro Cesare. Lo scontro avvenne a Gergovia, una delle roccaforti degli Arverni.

Cesare, consapevole della grande minaccia rappresentata da questa nuova rivolta gallica, diversa dalle altre, andò dritto al cuore del problema. Voleva distruggere la terra degli Arverni per spegnere l’incendio prima che divampasse in tutta la Gallia.

Sotto le mura di Gergovia si combatté una battaglia insolita, con i legionari romani che disubbidirono agli ordini del loro comandante causando così la disfatta. Infatti, come racconta lo stesso Cesare:

«Trascinati, però, dalla speranza di una rapida vittoria, dalla fuga dei nemici e dai successi precedenti, pensarono che non vi fosse impresa impossibile per il loro valore. Così, non cessarono l’inseguimento finché non ebbero raggiunto le mura e le porte della città.»
(Cesare, De bello Gallico, VII, 47.)

I legionari si lanciarono all’inseguimento del nemico in ritirata, sfaldando la formazione e rompendo la disciplina. Questo, insieme al contrattacco vittorioso dei Galli, regalò la vittoria a Vercingetorige. D’altra parte i giorni successivi Cesare schierò per ben due volte le legioni in formazione da battaglia, sfidando così i Celti. Il nuovo re dei Galli però non accettò la sfida, consapevole che in campo aperto i Romani avrebbero quasi sicuramente avuto la meglio.

Da Gergovia ad Alesia, i Galli si uniscono a Bibracte

La vittoria di Gergovia, ottenuta più per la disciplina del nemico che per il valore dei Celti, consegnò a Vercingetorige le chiavi per unire tutte le tribù alla guerra. I Galli avevano infatti bisogno di una valida motivazione, di un nuovo stimolo, per tornare a imbracciare le armi contro Cesare e i suoi uomini.

Troppe erano state le sconfitte, troppo il sangue versato e molto spesso Cesare si era dimostrato giusto e abbastanza magnanimo verso i Galli. Nonostante tutto i Celti volevano la libertà, l’indipendenza di cui avevano goduto molto a lungo. Non capivano i vantaggi che gli avrebbe portato la civiltà e la Repubblica Romana. Quindi si unirono a Vercingetorige.

Su iniziativa degli Edui, uno dei popoli più fedeli a Cesare, venne organizzato un grande concilio a Bibracte. Qui, tutti i Galli giurarono fedeltà a Vercingetorige, re degli Arverni. Gli unici a non schierarsi furono i Remi e i Lingoni, che preferirono -saggiamente- mantenere l’alleanza con Roma.

Quindi, Vercingetorige, si mosse alla testa dell’esercito gallico contro Caio Giulio.

 

Ars bellica romana nella battaglia di Alesia

Il primo scontro che vide contrapposti Celti e Romani dopo Bibracte fu una battaglia fra cavallerie vinta da Cesare. Come egli stesso narra:

«… Vercingetorige divisa la cavalleria [composta da 15.000 armati, ndr] in tre parti; due schiere attaccano sui fianchi ed una impedisce la marcia alla colonna [dell’esercito romano, ndr].

Cesare, informato, ordina anche alla sua cavalleria di contrattaccare il nemico gallico in tre colonne. Si combatte in contemporanea su tutti i fronti. L’esercito romano si ferma, mentre i bagagli sono messi al centro dello schieramento tra le legioni… infine i Germani sul lato destro, raggiunta la vetta di una collina, battono il nemico, lo mettono in fuga e lo inseguono fino al fiume,[6] dove aveva preso posizione Vercingetorige con la fanteria e ne uccidono numerosi.

Gli altri, per timore di essere circondati, fuggono. I Romani fanno strage ovunque. Tre nobili capi degli Edui furono catturati e portati in presenza di Cesare. Si trattava di un certo Coto, comandante dei cavalieri… di Cavarillo, che dopo la defezione di Litavicco era divenuto comandante della fanteria, ed Eporedorige…»


(Cesare, De bello Gallico, VII, 67.)

Dopo lo scontro Vercingetorige decide di ritirarsi ad Alesia, roccaforte dei Mandubi, nel cuore della Gallia ribelle. Per quanto riguarda il numero delle forze in campo non possiamo dare una stima molto precisa. Le fonti antiche infatti tendono ad essere faziose e a ingrandire o ridurre i numeri in base a simpatie, esigenze propagandistiche o politiche.

Nonostante ciò sappiamo che Cesare disponeva di dieci Legioni, insieme a un ben nutrito reparto di cavalleria germanica. Il totale degli uomini di Cesare doveva aggirarsi dunque sui 48.000 o 50.000 soldati.

Dal canto loro i Celti erano numericamente nettamente superiori. Senza lasciarsi trascinare dai numeri delle fonti, Vercingetorige doveva avere sui 60-70.000 guerrieri ad Alesia. L’esercito di rinforzo, venuto per aiutare il re degli Arverni a spezzare l’assedio, pare si aggirasse intorno ai 200.000 guerrieri. Un numero immenso, si, ma se pensiamo che tutta la Gallia si era sollevata contro i Romani possiamo aspettarci numeri di questo genere.

Vercingetorige si ritirò ad Alesia pensando di ripetere la vittoria di Gergovia, ma Cesare approcciò la battaglia in maniera totalmente diversa.

Alesia Vercingetorige
L’immagine mostra le fortificazioni costruite da Cesare e dai suoi legionari intorno la città assediata e l’arrivo dei rinforzi Celti poi respinti.

Le fortificazioni romane e la battaglia di Alesia

Perché abbiamo detto all’inizio che la battaglia di Alesia è una delle più grandi vittorie di Roma? semplice, perché qui la superiorità tecnologica, ingegneristica e militare romana fu il perno della vittoria di Cesare. Coi numeri che abbiamo indicato sembrava quasi scontata il trionfo degli insorti, ma Cesare fece qualcosa di inaspettato: iniziò la costruzione di una palizzata tutt’intorno la città assediata.

Il messaggio era chiaro: “Vercingetorige, non ho fretta, ti prenderò a tutti i costi“. Come scrive egli stesso…

LXIX
La città di Alesia sorgeva sulla cima di un colle molto elevato, tanto che l’unico modo per espugnarla sembrava l’assedio. I piedi del colle, su due lati, erano bagnati da due fiumi.

Davanti alla città si stendeva una pianura lunga circa tre miglia; per il resto, tutt’intorno, la cingevano altri colli di uguale altezza, poco distanti l’uno dall’altro. Sotto le mura, la parte del colle che guardava a oriente brulicava tutta di truppe galliche; qui, in avanti, avevano scavato una fossa e costruito un muro a secco alto sei piedi.

Il perimetro della cinta di fortificazione iniziata dai Romani raggiungeva le dieci miglia. Si era stabilito l’accampamento in una zona vantaggiosa, erano state costruite ventitré ridotte: di giorno vi alloggiavano corpi di guardia per prevenire attacchi improvvisi, di notte erano tenute da sentinelle e saldi presidi. 

Vercingetorige, stretto dalla morsa di Cesare, lancia in piena notte tutti i suoi cavalieri nel punto in cui non era ancora ultimata la cinta romana. A ciascuno ordina di raggiungere la propria tribù per chiamarla alla guerra: Vercingetorige ha bisogno di loro. L’operazione è un successo e migliaia di Galli si lanciano al galoppo per tutta la regione.

LXXI

Alla partenza, raccomanda a tutti di raggiungere ciascuno la propria gente e di raccogliere per la guerra tutti gli uomini che, per età, potevano portare le armi. Ricorda i suoi meriti nei loro confronti, li scongiura di tener conto della sua vita, di non abbandonarlo al supplizio dei nemici, lui che tanti meriti aveva nella lotta per la libertà comune.

E se avessero svolto il compito con minor scrupolo, insieme a lui avrebbero perso la vita ottantamila uomini scelti. Fatti i conti, aveva grano a malapena per trenta giorni, ma se lo razionava, poteva resistere anche un po’ di più. Con tali compiti, prima di mezzanotte fa uscire, in silenzio, la cavalleria nel settore dove i nostri lavori non erano ancora arrivati.

Il trionfo di Cesare e delle armi romane

La notizia della fuga dei cavalieri e del probabile arrivo di ingenti rinforzi Galli non spavento il generale romano. Cesare era infatti consapevole delle potenzialità de suoi uomini; i numeri del nemico non l’avevano mai spaventato. Sapeva che i suoi legionari erano guerrieri esperti, veterani, pronti a morire in suo nome. Uomini capaci di grandi gesta, disciplinati, ordinati e soprattutto abilissimi nel costruire fortificazioni e opere di ingegneria. E così fece.

   LXXII
Cesare, appena ne fu informato dai fuggiaschi e dai prigionieri, approntò una linea di fortificazione come segue: scavò una fossa di venti piedi, con le pareti verticali, facendo sì che la larghezza del fondo corrispondesse alla distanza tra i bordi superiori; tutte le altre opere difensive le costruì più indietro, a quattrocento piedi dalla fossa: avendo dovuto abbracciare uno spazio così vasto e non essendo facile dislocare soldati lungo tutto il perimetro, voleva impedire che i nemici, all’improvviso o nel corso della notte, piombassero sulle nostre fortificazioni, oppure che durante il giorno potessero scagliare dardi sui nostri occupati nei lavori.

A tale distanza, dunque, scavò due fosse della stessa profondità, larghe quindici piedi. Delle due, la più interna, situata in zone pianeggianti e basse, venne riempita con acqua derivata da un fiume. Ancor più indietro innalzò un terrapieno e un vallo di dodici piedi, a cui aggiunse parapetto e merli, con grandi pali sporgenti dalle commessure tra i plutei e il terrapieno allo scopo di ritardare la scalata dei nemici. Lungo tutto il perimetro delle difese innalzò torrette distanti ottanta piedi l’una dall’altra. 

Cesare Alesia Vercingetorige
La doppia cinta fortificata fatta costruire da Cesare durante l’assedio di Alesia

La doppia cinta difensiva di Cesare, assediante ed assediato a sua volta, è entrata giustamente nella leggenda. La freddezza con cui aspettò i rinforzi del nemico, la grande capacità dei suoi legati, il grande sacrificio dei suoi uomini e l’acume strategico con cui affrontò la situazione fanno dell’assedio di Alesia uno dei momenti più gloriosi della storia militare romana.

La battaglia che seguirà sarà estremamente sanguinosa, e vedrà i due comandanti sfidarsi fino all’ultimo per agguantare la vittoria.

Nella seconda parte di questo articolo parleremo della conclusione dell’assedio di Alesia.

Continua qui: “L’assedio di Alesia parte II: Cesare resiste e conquista la vittoria”.

(di Fausto Andrea Marconi)

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