Per i media progressisti, Carola Rackete è già una martire. No, ci dispiace, ma questo non deve e non può proprio accadere. Il gravissimo episodio della Sea Watch va letto sotto un’ottica più ampia e geopolitica. Carola Rackete è uno strumento, un mezzo. L’obiettivo delle Ong che fungono da «agents provocateurs», infatti, è quello di creare larghe coalizioni transnazionali in maniera tale da esercitare fortissime pressioni sui governi presi di mira e plasmarne le politiche (in questo caso migratorie).
Tale azioni sono condotte perché vi è la consapevolezza che all’interno dello stesso Stato – l’Italia – esiste una fetta importante di giornali, media e opinione pubblica che appoggia questo tipo di iniziative. In questo caso la provocazione è stata condotta contro il concetto stesso di Stato e dei suoi confini e non ha nulla a che fare con la decantata «umanità»: l’obiettivo è rendere la “Capitana” una martire, simbolo globale di un’ideologia che vuole la dissoluzione dei confini e gli stati spogliati dei loro strumenti di sovranità.
L’analisi di Joseph Nye sulle Ong
Come spiega Joseph Nye, jr: «Molte organizzazioni non governative dichiarano di agire come una ‘coscienza globale’ che rappresenta ampi interessi pubblici al di là della competenza dei singoli stati. Sviluppano direttamente nuove norme facendo pressione sui governi e sugli imprenditori per cambiare le politiche e indirettamente alterando la percezione pubblica di ciò che i governi e le aziende potrebbero fare. In ogni caso, la rivoluzione informatica ha notevolmente migliorato il soft power delle ONG. Poiché sono in grado di attrarre seguaci, i governi devono prendere in considerazione le ONG come alleati e avversari. Queste organizzazioni e reti non governative flessibili sono particolarmente efficaci nel penetrare gli stati senza curarsi dei loro confini. Poiché spesso coinvolgono cittadini ben inseriti nella politica interna di diversi paesi, tali reti sono in grado di focalizzare l’attenzione dei media e dei governi sulle loro battaglie. Creano un nuovo tipo di coalizioni politiche transnazionali». (da «Soft Power The Means To Success In World Politics PublicAffairs», 2005).
E ora tutti vorranno salvare la “Capitana” Carola Rackete
Contro il governo si scateneranno tutti, ma proprio tutti – stampa, Ong internazionali, “intellettuali”, giornali, attivisti, governi, filantropti – e premeranno per la “grazia” o per una pena simbolica per la “Capitana” Carola Rackete. Il governo “giallo-verde” deve tenere la barra dritta e rispondere “no, grazie”, possibilmente parlando il meno possibile. Per Carola Rackete ci deve essere una giusta e sacrosanta punizione, in carcere, dove deve stare. Il silenzio è il loro peggior nemico. Fine della storia.
Ps. Gli ipocriti hanno già cominciato la loro battaglia. Il primo ad intervenire è il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Mass: “Salvare vite umane è un dovere umanitario” dice al ministro dell’Interno italiano. “Soccorrere vite umane – ammonisce poi Mass – non può essere criminalizzato”. “Tocca alla giustizia italiana ora chiarire le accuse”, conclude. Grazie, cari amici tedeschi: ma lezioni di «umanità» da voi proprio no. Mai.
(di Roberto Vivaldelli)