San Sepolcro corporativismo

San Sepolcro e quel corporativismo che non ebbe mai la dignità della sperimentazione “postumo”

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In Piazza San Sepolcro, a Milano, il 23 marzo 1919 veniva fondato il movimento dei Fasci italiani di combattimento. Una riunione di circa trecento persone che avrebbe dato luogo a molto altro, nel corso degli anni seguenti: in termini filosofici, politici, economici e sociali.

San Sepolcro, Fascismo, Corporativismo

Con il manifesto di San Sepolcro, pubblicato sul Popolo d’Italia il 6 giugno 1919, il movimento assumeva una forma ancora più esplicita. Ma negli anni, il fascismo sarebbe stato un movimento in costruzione che avrebbe assunto la sua forma più concreta intorno al 1930, quando le idee di riscatto sociale, collaborazione di classe, patriottismo, formazione del “nuovo italiano” e del corporativismo raggiunsero ormai una definizione compiuta.

Il corporativismo, di fatto, non venne mai realizzato. Non per una mancanza di intenti (quanto meno provata), visto che – come tutti i passaggi del regime – esso era pianificato in una fase di costruzione strutturale la quale doveva essere avviata proprio negli anni Quaranta del secolo scorso (lo stesso decennio occupato per metà, come è noto, dal secondo conflitto mondiale).

Quell’esperimento che non ebbe la dignità della prova storica

Da San Sepolcro fino all’ingresso dell’Italia nella guerra nel giugno 1940, gli unici passaggi realizzati – del tutto formali e non sostanziali – erano stati l’inaugurazione del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (1930), i cui membri sarebbero finiti di diritto all’interno della cosiddetta Camera dei fasci e delle Corporazioni (1939). Si tratta, però di istituti per lo più embrionali di una struttura molto più ampia che non vide mai la luce. La cui idea si concretava nella effettiva rappresentanza cogente dei mestieri, delle competenze, delle categorie lavorative della società.

Il corporativismo era un progetto che esprimeva molto il concetto fascista di “concordia di classe”. Un principio che i marxisti considerarono un tradimento al pari delle svolte socialdemocratiche, ma che rappresentava una delle basi dell’ideologia. Perché se la “lotta” era considerata superata, la collaborazione (nel superiore interesse della Nazione) diventava uno dei principi guida. Come tutti gli interventi umani sul reale, neanche quel concetto fu perfetto. Ma come tutte le azioni dell’essere umano, anch’essa avrebbe potuto riscontrare un equilibrio. Semplicemente, non potremo mai saperlo.

Qualche scheletro puramente “filosofico” dell’idea corporativa sopravvive – ancora oggi – nella concertazione tra sindacati, confindustria e governo. Ma a parte qualche accenno, parliamo di un sistema politico e sociale che aveva l’ambizione di riscrivere le modalità del patto non scritto (e sempre necessario in qualsiasi società) tra governanti e governati. Una proposta che non ha mai avuto alcun esperimento pratico. A differenza del socialismo di approccio comunista.

(di Stelio Fergola)

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