La spigolatrice e il suo legame con Pisacane. Il dibattito sterile sulla statua della spigolatrice di Sapri inaugurata il 26 settembre ha polarizzato l’opinione pubblica e politicanti vari, tra iconolatri a difesa dell’artista e della scultura di bronzo ed iconoclasti che hanno considerato come irrealistica la rappresentazione della spigolatrice, soffermandosi sul lato B della stessa. Sarebbe interessante domandare alle varie parti politiche intervenute in merito alla questione, quale conoscenza abbiano riguardo la spedizione di Sapri e la figura di Carlo Pisacane. Probabilmente provocherebbe già imbarazzo chiedere in linea di massima i passaggi storici fondamentali del periodo Risorgimentale, quindi meglio per gli indignati a comando continuare a soffermarsi sul dettaglio della statua finché la polemica non si sarà spenta.
L’altra censura della Spigolatrice, dimentichi di Pisacane
In passato si è già verificato un caso di censura il quale faceva riferimento alla nota poesia di Luigi Mercatini sulla spedizione di Sapri. Il festival di Sanremo del 1967 passò alla storia soprattutto a causa della morte del cantautore Luigi Tenco, suicidatosi secondo la versione ufficiale, sebbene dopo più di 50 anni la vicenda sia ancora avvolta nel mistero – per approfondire il caso Tenco si consiglia di ascoltare l’agghiacciante intervista di Bonolis all’ex commissario Arrigo Molinari, questore di Sanremo nel 67′ iscritto alla P2, successivamente morto anch’egli in circostanze misteriose nel 2005. Luigi Tenco in compagnia della cantante Dalida gareggiava a Sanremo col pezzo “Ciao amore ciao”. In realtà il cantante presentò altre versioni della stessa canzone; quella originale era nota con il titolo “Li vidi tornare”, la quale trasse forte spunto dalla poesia di Mercatini.
Prima della spigolatrice, il sogno socialista e federalista di Pisacane
L’epoca risorgimentale fu un profluvio di proposte e sperimentazioni politiche delle più disparate personalità della penisola, prima e dopo la nascita dello Stato italiano. Sarebbe impossibile riassumere in un articolo le diverse anime e correnti risorgimentali: alcune di queste hanno avuto una continuità ideologica, altre sono e continuano ad essere fraintese così come i loro rappresentanti fondamentali. Lo stesso concetto di federalismo, attenendoci solo al caso italiano, ha avuto interpretazioni completamente differenti. Dall’economista Antonio Genovesi nel 700′ fino a Gianfranco Miglio due secoli dopo, l’elenco dei pensatori federalisti italiani è sconfinato.
In piena epoca risorgimentale emersero intellettuali come Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari i quali si differenziavano dalle posizioni di mazziniani, liberali, neoguelfi ecc. Questi optavano per la soluzione federalista come progetto per evitare i pericoli di un futuro Stato accentratore.
Per i federalisti alla Cattaneo, la storia era letta in un continuum che andava dall’Italia dei comuni, passando per altri esempi di autogoverno cittadino fino alla costituzione futura di una sorta di Stati Uniti d’Europa; Ferrari invece auspicava una comunità internazionale socialista in cui le forze di lavoro avrebbero controllato i sistemi di produzione. Lo stesso Pisacane così come Ferrari si ispiravano al pensiero di Pierre-Joseph Proudhon, avversario di Marx, sconfitto storicamente nella “battaglia delle idee”. Fu tra i primi pensatori ad autodefinirsi anarchico, approdando in seguito ad una visione di federalismo che si potrebbe definire come integrale, o d’impostazione socialista, in cui il principio federativo è posto come metodo regolativo dei rapporti socio-economici.
Proudhon teorizzò una sorta di federazione agricolo-industriale, in cui i possessori dei mezzi di produzione sarebbero stati simultaneamente le diverse branche dell’industria, le fabbriche e i singoli lavoratori. Proudhon vedeva nell’Italia il territorio perfetto in cui applicare il federalismo: “L’Italia è federalista per temperamento e vocazione e le sue tradizioni, genio e tendenze sono antiunitarie. L’Italia è una lunga penisola divisa nella sua lunghezza da una lunga catena di montagne dalle quali si dipanano da entrambi i lati un gran numero di vallate separate da altrettanti crinali. Lo si direbbe lo scheletro di un immenso cetaceo, la conformazione più originale e più decisamente federalista che ci sia al mondo” (Contro l’Unità d’Italia). Come ricordato precedentemente, Pisacane era influenzato dal pensiero di Proudhon.
Il patriota napoletano sostenne che fosse fondamentale rappresentare e rendere partecipi al processo di unificazione le classi subalterne, in particolare nell’Italia meridionale in cui cominciò e si concluse amaramente la sua disperata spedizione. Ecco dunque che in Pisicane si potrebbe ritrovare un a sorta di esponente e antesignano del socialismo nazionale, oltrechè del sindalismo rivoluzionario del Novecento. Secondo Pisacane infatti, come ricordato da Claudio de Boni, la riorganizzazione economico-sociale doveva basarsi sulla nazionalizzazione delle terre e dei mezzi di produzione, affidando gli stessi ad associazioni di agricoli e industriali all’interno di un sistema municipalista.
Quale Federalismo nel XX secolo?
Nel XXI secolo il concetto di federalismo in Italia è stato in parte se non addirittura totalmente assorbito fino a diventare sinonimo di europeismo: sia su grande scala, geograficamente parlando, con la costituzione della tanto agognata quando ideologica creazione degli Stati Uniti d’Europa, richiamandosi così alle istanze e la visione politica del manifesto di Ventotene; sia in chiave macroregionale, in cui ulteriori concessione amministrative alle regioni porterebbero, come nel primo caso, ad un ulteriore frammentazione del potere e della sovranità degli Stati Nazione. Non è possibile pensare ad un assetto realmente federalista senza sovranità nazionale.
Le proposte in chiave social-federalista, riprendendo dunque la chiave interpretativa di Pisacane, potrebbero essere riattualizzate ai nostri giorni per esempio con l’abolizione delle regioni e conferendo maggior potere amministrativo alle province e ai comuni, enti più prossimo ai cittadini ed allo stesso tempo lasciando allo Stato centrale le funzioni fondamentali.
Se si vuol fare riferimento ad un federalismo di stampo nazionale bisognerebbe dunque ripartire dalle opere di Carlo Pisacane a cominciare dal suo testamento politico, di grande attualità per il contenuto espresso:
“Io sono convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell’industria, tutto ciò finalmente che sviluppa e facilita il commercio, è da una legge fatale destinato ad impoverire le masse fino a che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti, ma li accumulano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non essere altro che decadenza. Se tali pretesi miglioramenti si considerano come un progresso, questo sarà nel senso di aumentare la miseria del povero per spingerlo infallibilmente a una terribile rivoluzione, la quale cambiando l’ordine sociale metterà a profitto di tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni”.
(di Emilio Bangalterra)