Risorgimento italiano

Il Risorgimento: origini culturali e storia dell’unificazione italiana

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Il Risorgimento italiano, ovvero il processo di unificazione nazionale, è un percorso storico troppo ignorato nella cultura di massa contemporanea. Fatto di imprese, di cadute, di imperfezioni e di nobili gesti. La sua esperienza è però l’esperienza di vita degli italiani, dal 1860 alla Grande Guerra.

Con il termine Risorgimento ci si riferisce alla storiografia che ha portato all’unificazione d’Italia. Il termine appunto sta a significare una ripresa nazionale, una rinascita italiana, una nuova unificazione della penisola a seguito della brusca conclusione dell’Impero Romano d’Occidente nel 476.

Risorgimento: le origini culturali

Posto il fatto che sulle origini della nazione italiana, e del Risorgimento, si potrebbe dibattere a lungo (c’è chi trova continuità addirittura rispetto all’Impero romano o chi, come Gioacchino Volpe, definisce gli italiani “un popolo diverso”, sviluppatosi a seguito delle invasioni barbariche successive al crollo del 476 d.C.), nessun dubbio può essere posto sul fatto che, almeno dal punto di vista culturale, di “Italia” e di “italiani”, si parli almeno dai tempi di Dante, ovvero dal XIII secolo.

O meglio, l’unico ad esprimerlo – almeno in senso di approvazione – fu tale Benedetto Croce, prima del 1945, seguito da diversi altri susseguitisi negli ultimi 50 anni. Ma in ogni caso a una forma di lingua italiana è impossibile essere insensibili già diversi secoli prima della sublimazione dantesca, non certo in Toscana ma nei pressi dell’attuale Campania, con i cosiddetti “Placiti Cassinesi“, ovvero testimonianze giurate risalenti al periodo 960 – 963 d.C. scritte in un italiano ancora molto embrionale e lontanissimo dalla forma moderna.

Sul resto, la storia d’Italia parla da sé: divisioni politiche ed economiche indiscutibili, un Nord sottomesso allo straniero ma che riesce in qualche maniera a sviluppare tradizioni politiche proprie (dall’esperienza della Serenissima, passando per i Comuni e le Signorie) e un Sud che al contrario rimane quasi esclusivamente oggetto della colonizzazione spagnola (ma anche austriaca e francese). Fattori che porteranno al Risorgimento.

La plurisecolare storia pre-unitaria ci tramanda una lingua letteraria che nel XV secolo diviene indiscutibilmente idioma ufficiale di tutti gli Stati italiani, una religione cattolica che funge da collante di tutte le genti della penisola, pur nelle loro nette differenze, una resistenza alla Riforma Protestante che imperversò in Europa nel XVI secolo ma che sulle Alpi si arrestò, curiosamente, non contaminando la terra italica.

Per non parlare del Rinascimento, o della tradizione pittorica nazionale, che dal Raffaello condurrà il secolo successivo al milanese Caravaggio che “industrierà” indirettamente il napoletano Luca Giordano in un percorso che cavalcherà tutto il XVI secolo.

Per farla breve, tante ovvie differenze ma anche tanti percorsi culturali, artistici e letterari comuni alle basi del successivo Risorgimento.

Lo sviluppo del Risorgimento

La fase precedente al Risorgimento si chiude nel cuore del XVIII secolo. La rivista “Il Caffé”, diretta dall’illuminista Pietro Verri è uno dei passaggi fondamentali di nuova riflessione sulla necessità di parlare di patria italiana in senso unificante. Emblematico in tal senso l’articolo pubblicato sul secondo numero della rivista intitolato “Della patria degli italiani” (1765), scritto dall’istriano Gian Rinaldo Carli.

Gian Rinaldo Carli

La frase più rappresentativa di quell’articolo, pronunciata dall’ “Incognito” ben spiega il clima culturale che si iniziava a respirare negli ambienti intellettuali della penisola e che avrebbero portato al Risorgimento:

Sono Italiano, rispose l’incognito, e un Italiano in Italia non è mai forestiere; come non lo è in Francia un Francese, in Inghilterra un Inglese, un Olandese in Olanda e così discorrendo.”

L’articolo denunciava i difetti e la sottomissione degli italiani ai poteri stranieri, ma diverrà un punto di riferimento per il futuro movimento risorgimentale nel secolo successivo.

L’Italia pre-risorgimentale, comunque, si avviava al capolinea. Lo faceva con la perdita della millenaria indipendenza della Repubblica di Venezia (1797), ma anche con un rinnovato spirito rivoluzionario che animò la penisola negli anni napoleonici, dalla Repubblica partenopea (1799) fino alla fine dell’Impero francese nel 1815, con la sconfitta di Bonaparte. Lo avrebbe fatto con i primi scritti ideologici, tra cui si segnala Colpo d’occhio sull’Italia di Francesco Lomonaco, contenuto nel Rapporto sul cittadino Carnot, edito nel 1800.

Lo avrebbe fatto con la minoranza di istruiti e non analfabeti diffusi in tutta la nazione, divisi sulle idee politiche (vi figuravano monarchici, repubblicani, politologi vicini al casato di Savoia o addirittura al papato) ma non certo sull’obiettivo finale: uno Stato nazionale unitario sul modello di quanto già avvenuto in Inghilterra, Francia e Spagna.

Risorgimento italiano: una situazione europea instabile

Dopo il Congresso di Vienna del 1815, l’era rivoluzionaria francese e napoleonica si avviava al termine. Il tentativo della Restaurazione (ovvero del  ritorno al potere dei monarchi regnanti prima del 1789, in Francia come negli altri Paesi invasi dalle truppe napoleoniche) agiva però su un terreno ormai irreversibile e fertile di una società completamente differente rispetto a quella esistente in Europa prima del XVIII secolo: quella borghese e di ispirazione liberale.

Che non avrebbe tardato a manifestare i propri mal di pancia, anzitutto con i moti del 1820-1821, poi con quelli più celebri del 1848. I primi sorti in Spagna e poi diffusi nel resto d’Europa, i secondi con esplosioni più “uniformi”.

Le Cinque giornate di Milano e la Prima Guerra di Indipendenza

In ogni caso,  i tentativi di rivolta contro i regimi assolutistici della Restaurazione furono occasioni di sviluppo per il movimento del Risorgimento, che esplose in battaglie particolarmente simboliche soprattutto nel 1848, con le famose Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) nel corso delle quali una parte tutto sommato consistente di una popolazione urbana alfabetizzata di allora, diverse migliaia di persone, si oppose al dominio austriaco della città, scontrandosi direttamente con l’esercito straniero e venendo repressa duramente (le stime ad oggi parlano di un numero di morti tra i 450 e gli oltre 600).

La rivolta fu preludio alla Prima Guerra d’Indipendenza italiana, scattata all’indomani e guidata dal Re Carlo Alberto di Savoia, che però terminò con la sconfitta della coalizione italiana (alla quale partecipò inizialmente anche parte dell’esercito del Regno delle Due Sicilie) suggellata dall’Armistizio di Vignale nel 1849.

I principali protagonisti del Risorgimento

In quegli anni diverse personalità del Risorgimento si erano ormai palesate, da Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovine Italia e della Giovine Europa, al condottiero Giuseppe Garibaldi, entrambi di ispirazione repubblicana. Poi Carlo Cattaneo o Niccolò Tommaseo, repubblicani federalisti. O cattolici come Vincenzo Gioberti che auspicavano una confederazione sotto la guida del Papa (processo che fu quasi tentato da Pio IX con la proposta di unione doganale nel 1849).

A livello puramente politico, un nome diviene importante alla fine degli anni Cinquanta del XIX: quello di Camillo Benso Conte di Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna dal 1852 al 1859, che con una politica estera di grande efficacia, partita dall’intelligente spedizione di un contingente nella Guerra di Crimea del 1855, riuscì ad avvicinare la Francia di Napoleone III, con la quale in pochi anni raggiunse la famosa intesa costituita dagli accordi di Plombieres del luglio 1858.

Cavour Risorgimento
Camillo Benso conte di Cavour – Stratega e mente del Risorgimento

Con essi, il Piemonte si impegnava a consegnare alla Francia la Nizza e la Savoia, in cambio di uno sforzo congiunto per liberare il Regno lombardo-veneto dal dominio austriaco. L’obiettivo finale, quello della creazione di quattro stati italiani principali: un Regno dell’alta Italia a guida piemontese, uno Stato dell’Italia centrale, Roma e territori limitrofi ancora sotto il Papato, e l’invariato Regno delle Due Sicilie.

I quattro Stati avrebbero formato una confederazione di cui il Papa avrebbe avuto la presidenza onoraria.

La seconda guerra d’indipendenza italiana e la conquista della Lombardia

È il secondo preludio, e seconda è anche un’altra guerra di indipendenza, iniziata il 27 aprile e terminata il 12 luglio 1859 con la vittoria franco-piemontese e l’ingresso di Vittorio Emanuele II a Milano. La Lombardia viene annessa al Regno di Sardegna, e in pochissimo tempo anche i ducati dell’Italia Centrale insieme al Granducato di Toscana si accorpano al Regno sabaudo. E’ l’inizio del Risorgimento e del processo di unificazione nazionale.

In appena un anno, Cavour si ritrovò a governare un territorio che comprendeva quasi tutto il centro Nord della penisola. E in due, con il proseguo del Risorgimento, si sarebbe trovato a governare ben altro.

Risorgimento: la spedizione dei mille

Nel maggio del 1860, Giuseppe Garibaldi parte da Quarto, in Liguria, per giungere in Sicilia con l’ausilio di mille volontari. Obiettivo: far crollare lo Stato borbonico e proseguire il Risorgimento.

Giuseppe Garibaldi Risorgimento
Garibaldi, condottiero e protagonista del Risorgimento

Con l’importante assenso dell’Inghilterra, i mille riescono ad ottenere prima l’appoggio delle popolazioni siciliane e in seguito sorprendentemente a conquistare il territorio meridionale giungendo a Napoli già il 6 settembre. Garibaldi, intenzionatissimo a proseguire fino a Roma, fu però fermato a Teano il 26 ottobre 1860, dove incontrò Vittorio Emanuele II in persona.

La richiesta del sovrano sabaudo era semplice: quella di non proseguire oltre, onde suscitare la reazione della Francia, alleata del potere papale, e pregiudicare le conquiste raggiunte. Con il celebre saluto garibaldino che diede al sovrano l’appellativo di “Re d’Italia“, si concluse l’esperienza risorgimentale più corposa, che nel giro di qualche mese porterà alla proclamazione del Regno d’Italia e alla riunione del primo parlamento nazionale il 17 marzo 1861.

Il nuovo Regno non comprendeva il Veneto, il Lazio e altre terre culturalmente italiane come Trento, Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Con la Terza guerra d’indipendenza del 1866 anche le terre venete diventano parte del nuovo Stato nazionale, mentre per il Lazio si dovrà attendere il settembre 1870 con la cosiddetta “Presa di Roma”.

L’Italia era fatta, ma perché anche gran parte delle terre “irredente” venisse accolta al suo interno, bisognerà attendere ancora 48 anni per completare effettivamente il Risorgimento.

La Grande Guerra: il completamente del Risorgimento

Per quanto il Risorgimento abbia condotto all’unità politica tra il 1860 e il 1870, è opinione comune – diremmo abbastanza fondata – che il completamento del suo processo sia avvenuto durante la Grande Guerra, che vide l’Italia impegnata tra il 1915 e il 1918.

Terre irredente grande guerra
Il completamento del Risorgimento e la riconquista delle terre irredente

Questo per due ragioni fondamentali. Anzitutto, la Vittoria dell’esercito italiano a Vittorio Veneto il 4 novembre 1918 sull’esercito austro-ungarico sanciva per l’Italia l’acquisto di altre terre linguisticamente ed etnicamente italiane, come la provincia di Trento, Trieste, l’Istria.

Poi la partecipazione di oltre 5 milioni di italiani di ogni provenienza ad una guerra verso un obiettivo comune fu un collante senza precedenti che portò alle masse ciò che prima era appartenuto ancora ad un gruppo minoritario.

Al netto delle drammaturgie della storia che mirano a sminuire il Risorgimento, analisi storiche come quelle di Alessandro Barbero, Ernesto Galli della Loggia ed Emilio Gentile hanno dimostrato ampiamente come la storia degli “italiani costretti a combattere” non possa reggere anzitutto da un punto di vista tecnico-militare. E come l’esercito italiano nella Grande Guerra avesse combattuto al massimo delle proprie potenzialità.

Quella guerra sacrificò più di 600mila italiani. I tanto ricordati disertori condannati, furono meno di mille. Il rimpianto maggiore, non aver ottenuto la Dalmazia come previsto dal Patto di Londra con le altre potenze dell’Intesa. Ma aver comunque portato a un numero enorme di italiani un concetto che prima apparteneva a una minoranza istruita e alfabetizzata resta un simbolo assoluto della Prima guerra mondiale italiana.

E di quel Risorgimento che troppo spesso viene tralasciato dalla cultura mainstream.

(di Stelio Fergola)

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