Barbacetto Ramelli

Barbacetto vomita odio contro il cadavere di Ramelli

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Gianni Barbacetto se la prende con Ramelli, ovvero – giova ripeterlo anche centinaia di volte – un ragazzo di 19 anni ammazzato come un cane. Il “fascio”, come lo chiama lui nel titolo dell’articolo de Il Fatto Quotidiano.

Barbacetto e il “fascio” Ramelli

“Come si può inserire a scuola uno spazio per il ‘fascio’ Ramelli?”, titola l’articolo, appunto. Il primo capoverso del pezzo è già tutto un programma.

L’arresto in Francia dei sei italiani condannatiper reati di terrorismo e di Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi, hanno riaperto – soprattutto a sinistra – il dibattito sui cosiddetti “anni di piombo” e sulle responsabilità dei militanti “rossi”. A destra, invece, sono continuate le iniziative per ricordare i “loro morti”, i “camerati caduti”. Per ricordarli in piazza e nelle sedi istituzionali. A Milano, Franco Lucente, capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Lombardia, ha presentato un’interrogazione alla giunta in cui ha chiesto “aggiornamenti su progetti e iniziative nelle scuole lombarde per la ricorrenza della morte di Sergio Ramelli e dell ’avvocato Enrico Pedenovi”. Sergio era un ragazzo di 19 anni, militante del Fronte della gioventù, aggredito il 13 marzo 1975 a Milano da un gruppo di Avanguardia Operaia che intendeva dargli una lezione a colpi di spranga e invece lo uccide.

Insomma, Sergio Ramelli, solo perché “fascio” (o di opinioni fasce, di destra, definite un po’ la questione come meglio preferite) è paragonato da Gianni Barbacetto ai terroristi. Non so sulla base di cosa, probabilmente cercando di dare uno squallido tono analitico al suo pezzo ridicolo e , per il quale viene anche pagato profumatamente (a differenza del 95% dei giornalisti oggi in Italia).

Sergio Ramelli, che in vita sua la cosa più militante che ha fatto è stato scrivere un tema a scuola che gli ha procurato la morte, è come un terrorista, nero, rosso, giallo o quello che vi pare, che spara pistolettate, fa esplodere bombe e produce vittime. Esattamente la stessa cosa.

Il finale del periodo è forse ancora più agghiacciante, oltre che sintomatico dell’ignoranza (simulata o reale poco importa) di Barbacetto: in linea teorica si potrebbe anche pensare che Ramelli sia morto a seguito di una “aggressione finita male”. Sono cose che, in fondo, possono capitare. Ciò che è certo è che la sentenza parla di omicidio volontario. Come è certo che è piuttosto strano che gli aggressori, degli studenti di medicina, non sapessero quanto potesse resistere a a dei ripetuti colpi al cranio una qualsiasi vittima. Ammesso e non concesso che questo sia “dargli una lezione” (per cosa? Scrittura di temi fastidiosi?).

Il vergognoso tentativo di edulcorare lo sputo

“Intendiamoci: un ragazzo ucciso è un ragazzo ucciso, e ha la stessa dignità, sia di destra, o di sinistra, o di nessuna parte politica.” scrive Barbacetto. Poi prosegue:

Ma eroi si diventa per quello che si è compiuto da vivi, non per il fatto di essere morti. E non può essere considerato eroe chi in vita professava un’ideologia fascista che giustifica l’uccisione della libertà e dei diritti di ciascuno. Ha diritto, questo sì, alla giustizia che lui stesso non avrebbe concesso agli avversari, ma eroe, per favore, no. Attenti dunque a come si racconta la storia. E allora, caro assessore Sala, ci spieghi: come intende “introdurre nelle scuole uno spazio dedicato a Ramelli, a Pedenovi e agli anni di piombo”?

Presunto signor Barbacetto, cosa ha compiuto da vivo di terribile il signor Sergio Ramelli? Niente. Era iscritto al Fronte della Gioventù, ed evidentemente non poteva, anche se la legge glielo consentiva, ma immagino che per lei siano dettagli.

Non ha mai alzato un dito contro nessuno, ma questo non è sufficiente. Andava a scuola e tornava a casa come qualunque altro ragazzo. Aveva il difetto di contestare le Brigate Rosse e di avere simpatie esplicite per idee di destra.

Ma non si può fare, perché le idee di destra sono fasciste. Quindi non si può dedicare uno spazio a un innocente, che faceva una vita regolare, che non ha fatto male a nessuno (si, va ripetuto, come dei dannatissimi pappagalli, perché nella testa di certa gente sembrano concetti complicati). A un “fascio” non si dà alcun diritto al di fuori di quelli minimi, perché l’etichetta supera la condotta e per carità, non possono esistere brave persone tra di loro.

Se si può essere iscritti al Fronte della Gioventù e esprimere liberamente la propria idea, è una vittima e può essere onorata eccome, con buona pace delle sue coronarie. Se non si può, faccia qualcosa e si mobilti per mettere fuori legge tutto ciò che non la aggrada.

Mio babbo mi ha cresciuto all’onestà, al coraggio, allo studio e all’educazione. Non penso di essere un figlio degno come dovrei, ma comunque i suoi insegnamenti li ricordo.

Mio babbo ha lavorato per 40 anni e si è sempre comportato bene con tutti. Era un uomo dalla cultura sconfinata, adoratissimo dai suoi studenti e punto di riferimento dell’MSI nel Mezzogiorno. Mai alzato un dito contro nessuno, niente. Chissà come mai, visto che si definiva eccome fascista. All’epoca aveva 37 anni. Magari poteva finire anche lui sotto quei colpi.

E nessuno pensi di rivalutarlo, di studiarlo, considerato ciò che ha prodotto come pensiero e libri a sua firma. Nessuno pensi – che so – di intitolargli una sala di una biblioteca di qualche sezione locale erede dell’MSI (ovviamente di luoghi pubblici non se ne potrebbe parlare minimamente, anche se fosse stato famosissimo). Guai a voi, era un fascista e certe cose non si fanno. E peccato, in fondo, che non gli abbiano dato una lezione all’epoca.

(di Stelio Fergola)

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