William Irwin Thompson

Il pensiero di William Irwin Thompson: intervista a Luca Siniscalco

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È di qualche mese fa la pubblicazione per Iduna Editrici del saggio All’orlo della storia. Per una critica della tecnocrazia dell’intellettuale statunitense William Irwin Thompson, passato a miglior vita circa un anno fa. Abbiamo fatto alcune domande sull’autore in questione a Luca Siniscalco che ha curato l’introduzione del saggio.

• Perché è indispensabile a tuo avviso far conoscere in Italia il pensiero di William Irwin Thompson?

Le ragioni sono numerose, ma possono essere derubricate sotto un’unica osservazione incisiva: perché è un pensiero all’altezza della nuova era. Essendo cioè convinti – come io sono – che l’età di transizione che stiamo vivendo (l’interregnum ontologico che Nietzsche e i suoi epigoni hanno ben definito Zwischenreich) si approssima a uno snodo decisivo, servono dei punti di riferimento – dei segnavia, per dirla con Heidegger – tramite cui il passaggio oltre la linea del nichilismo possa rendersi percorribile. Thompson rientra, a mio avviso, nel novero dei pensatori che hanno preparato non soltanto una valida critica al modello politico-culturale contemporaneo, individuando con acume numerose fragilità che nel transito da moderno a postmoderno non hanno fatto che acuirsi, ma pure un armamentario rilevante per la costruzione di una efficace pars construens.

• A quali nuove prospettive possono condurre le riflessioni di questo “antimoderno americano”?

A orizzonti certamente “all’orlo della storia”, dove, per dirla con William Irwin Thompson, «il futuro ci soffia in viso selvaggiamente; talvolta rischiara l’aria, talaltra ci acceca».
Il riferimento, nella tua domanda, all’identità statunitense di Thompson, non è affatto peregrino. Ben sappiamo che gli USA sono il cuore nevralgico del paradigma culturale della modernità liberale mondialista (e, oggi, della postmodernità che ne è il destino). Alcuni potrebbero rimanere interdetti di fronte a una testimonianza culturale di tale provenienza. Miope e riduzionista sarebbe pensare, tuttavia, che anche gli States non abbiano ospitato – e non ospitino – pensatori di rango, la cui patria ideale non coincide, spiritualmente, con quella nativa. E Thompson non si sottrae dal parlarci, con lo stile pungente, pragmatico e teoreticamente non sistematico tipico di uno statunitense, del “male americano” (per citare la celebre espressione di Locchi e de Benoist), con una diagnosi acuta e ancora attuale.
E al contempo, come anticipavo, prefigura prospettive nuove. Queste si radicano in una visione del mondo basata su un umanesimo olistico e integrale, entro cui fondare un’antropologia radicata in senso orizzontale (comunitaria) e verticale (trascendente, aperta al divino e alle sue metamorfiche espressioni). Oltre i simulacri e le simulazioni postmoderne, Thompson scruta archetipi, connessioni macrocosmiche, espansioni multidimensionali della coscienza e della teoria cosmologica. Anche la scienza e la tecnica, lette attraverso lenti che riecheggiano il Realismo Fantastico di Pauwels e Bergier, possono assurgere a Nuova Mitologia.

• Con quale corrente filosofica europea è maggiormente “imparentato” l’autore?

Rispondere a questa domanda su un piano “filologico” è periglioso. In primo luogo Thompson non era, rigorosamente parlando, un filosofo. Potremmo dire, riferendoci alla sua professione di docente, che era un curioso argonauta nel mare delle Humanities. Era particolarmente attento, secondo un approccio interdisciplinare, alla “storia delle idee”, ossia alla studio genealogico della metamorfosi (all’interno della dialettica di continuità-discontinuità) dei nuclei (le “idee-unità”) dei paradigmi di pensiero e delle forme dell’immaginazione creatrice. Da questo punto di vista, la sua metodologia ricorda quella sviluppata da Arthur Lovejoy nel suo celebre La grande catena dell’essere, del 1936.

La metodologia di Thompson è d’altronde estremamente varia e sincretica. Nella mia introduzione al saggio All’orlo della storia ho tentato di individuare le possibili connessioni che, in una ermeneutica interessata a indagare il sotto-testo della ricerca di Thompson, vada oltre la “lettera” e individui suggestioni feconde e “affinità elettive”. In questa prospettiva possiamo rilevare che, oltre alle fonti esplicitamente approfondite dall’autore, le quali vanno dalla letteratura di James Joyce alla metafisica orientale, dalla teologia di Teilhard de Chardin alla filosofia processuale di Alfred North Whitehead, la sua ricerca ha profonde affinità con numerose correnti europee: dalla Rivoluzione Conservatrice (in particolare sul tema della tecnica) al già evocato Realismo Fantastico di Pauwels e Bergier (sul ruolo dell’immaginazione creatrice), sino ad alcune intuizioni dell’antroposofia di Rudolf Steiner (sul piano spirituale) e dell’approccio morfodinamico alla storia delle religioni di Ioan Petru Culianu.

• C’è anche un forte elemento esoterico nel pensiero di William Irwin Thompson. Puoi parlarcene?

Certamente. Esso traspare un po’ marginalmente nel saggio All’orlo della storia, che è perlopiù dedicato alla disamina sociologica e storico-filosofica dell’America del suo tempo. Eppure, anche in questo saggio ci sono riferimenti significativi alla dimensione esoterica. Thompson, con lo scetticismo metodologico che lo contraddistingue, ironizza sui fenomeni “New Age” che contraddistinguono la sua epoca. Spengler li avrebbe certamente considerati forme di “seconda religiosità”. Thompson, è bene precisarlo, parla per esperienza, non per pregiudizi: incuriosito dalle temperie hippie degli anni ’60, si reca all’Istituto Esalen di Big Sur, centro californiano del movimento “New Age” – l’episodio è raccontato in All’orlo della storia –, sperando di trovare una comunità alternativa allo stile di vita meccanizzato e capitalista imperante nella sua Los Angeles. Qui, però, rimane deluso, riconoscendo in Big Sur una manifestazione culturale antipodica e complementare al mainstream liberale, incarnato invece dal Massachusetts Institute of Technology (il celebre M.I.T). «Ero andato all’Esalen – narra Thompson – sperando di trovare una istituzione carismatica libera dai rigidi schemi che avevano inceppato l’università, e invece avevo trovato soltanto un’altra istituzione umana, piena di magagne e di contraddizioni […]. Se volevo veramente vedere la storia in prospettiva ponendomi al di fuori della storia dovevo farne ancora di strada!». Questa strada condurrà Thompson ad approfondire lo Yoga, la metafisica orientale e il pensiero di Rudolf Steiner. Attraverso questi – e altri – strumenti ricercherà, al di fuori da qualsivoglia specifica tradizione, una sintesi di sapienza simbolico-metafisica arcaica e intuizioni futuribili. Per preparare il «trionfo di una nuova sensibilità religiosa in una cultura pitagorica, planetaria».

• Qual è l’alternativa alla distopia tecnocratica?

L’alternativa è una comunità che non rinunci alla storia – proclamandone la fine, à la Fukuyama –, ma torni a vedere nell’avventura temporale di una civiltà la rifrazione di quanto viene da quella dimensione enigmatica e sovrasensibile che si colloca al di là di essa. Non vi sono, e Thompson non le propone, ricette programmatiche per tale paradigma, quasi fosse conseguibile mediante un meccanismo tecnico-razionale. Proprio qui, in questa modalità di pensiero, è riposto il male della distopia modernista. Molti spunti, tuttavia, alcuni dei quali sono stati indicati in questo dialogo, vengono evocati dall’autore – a noi spetta il compito di meditarli e rielaborarli attivamente. Contro il pragmatismo nichilista delle tecnocrazie, verso orizzonti post-industriali.

Thompson ha d’altronde cercato di realizzare concretamente tale modello attraverso l’istituzione della Lindisfarne Association, un think thank che dal 1972 al 2012 si è occupato di coordinare la ricerca e lo scambio fra intellettuali interessati allo studio e alla promozione di una nuova cultura planetaria. Una “Eranos degli USA”. Un frammento utopico, calato nella storia. Un atto, quasi rituale, per propiziare la conflagrazione di una postmodernità che è nata cenere ed attende ancora di farsi fiamma.

(di Emilio Bangalterra)

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