Un giorno daremo ragione anche a chi dà addosso a Dante

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È scoppiata la polemica per le affermazioni pubblicate sul Frankfurter Rundschau, per i festeggiamenti del 700esimo anniversario della morte di Dante Alighieri. Come riporta l’Huffington Post, sul giornale tedesco “si legge: “L’amoralità di Shakespeare, la sua descrizione di ciò che è, ci sembra anni luce più moderno dello sforzo di Dante di avere un’opinione su tutto, di trascinare tutto davanti al giudizio della sua morale. Tutta questa gigantesca opera è lì solo per permettere al poeta di anticipare il Giudizio Universale, di fare il lavoro di Dio” e di dividere il buono dal cattivo”.

Shakespeare meglio di Dante

Shakespeare meglio di Dante, quindi, in soldoni, perché sostanzialmente “più moderno” (ovvero, nella mentalità dilagante, “più bello”, ma vabbè, lasciamo perdere questo dettaglio delirante).

In un pronunciamento che nessuno aveva mai osato prima. Fa un po’ sorridere, considerando ben altre polemiche che hanno coinvolto in passato Shakesperare: proteste da parte inglese contro chi, negli ultimi 100 anni, ha addirittura ipotizzato che il poeta anglosassone fosse in realtà italiano, e che la sua nascita oltremanica non fosse dimostrata.

Questioni che risalgono alla prima metà del XX secolo, quando il giornalista Santi Paladino per primo ipotizzò qualcosa – mai dimostrata, è bene essere chiari – che nel caso non farebbe fatica a condurre gli inglesi colti al suicidio collettivo, considerato il valore nettamente inferiore della loro storia letteraria: che Shakespeare fosse nientemeno che tale Michelangelo Florio, figlio del medico Giovanni, siciliano e vissuto nel Nord Est.

Tale Florio studiò infatti a Mantova, Venezia, Padova.  Per Paladino, Florio era Shakespeare. Senza entrare nel dettaglio della tesi, consultabile tranquillamente facendo una veloce ricerca (le umili origini di Shakespeare, figlio di un macellaio guantaio, per di più analfabeta, rendono quanto meno bizzarramente spiegabile la cultura immensa del poeta, mentre Florio aveva avuto una formazione piuttosto ricca, senza contare la curiosa conoscenza approfondita dell’Italia e delle città summenzionate), gli inglesi – ovviamente – si incazzarono. Privarli del prode William, d’altronde, significa togliergli, se non tutto, qualcosa di basilare nella loro storia.

La tesi è stata ripresa agli inizi di questo secolo, quando fu proprio il professor Martino Iuvara, letterato ormai in pensione, a esporre i dubbi “culturali” sulle origini di Shakespeare, e ancora più recentemente ci ha provato Antonio Socci nel suo Traditi, sottomessi, invasi. L’estinzione di un popolo […]  (2018).

Ma torniamo a  Shakespeare che è meglio di Dante. E andiamo al cuore del problema: ovvero che, prima o poi, potrebbe diventare davvero così. E quel che è peggio: prima di tutto per gli italiani.

L’anti-italianismo è un cancro, distruggerà anche l’incontestabile

Tempo al tempo. Chiaramente è solo un’opinione personale, ma la cultura nichilista anti-italiana, che già ha inculcato nelle masse la convinzione che gli italiani esistano solo dal 1860, che in fin dei conti letteratura, arte, Rinascimento e tantissimi altri fenomeni unificanti di portata enorme (unici al mondo) non siano mai esistiti, prima o poi arriverà anche a ridimensionare un totem come Dante Alighieri, probabilmente il faro principale della storia letteraria europea e occidentale.

Perché l’anti-italianismo mangia tutto. Le cose più elevate come quelle meno importanti. L’anti-italianismo, del resto, ha distrutto perfino il calcio.

Si è iniziato a scricchiolare con quella genialata del “Leonardo Da Vinci europeo” di circa un anno e mezzo fa, qui – per ora – non sembrano esserci titubanze. Il valore è talmente immenso che un Dario Franceschini non può rifiutarsi di collaborare, rispettando – d’altronde – il suo ruolo istituzionale.

Ma nella coscienza di buona parte delle masse, in soli cinquant’anni – lo ricordiamo giusto per fare un esempio a caso – l’italiano è diventata una lingua quasi di pari dignità di un dialetto napoletano qualsiasi.

Personalmente mi aspetto di tutto. A patto, s’intenda, di non reagire. Per ora, vedo solo inerzia contro una sparata troppo grossa per essere anche soltanto valutata accettabile.

Ma se la Nazione non si continua a fare, come ci insegna Giovanni Gentile, prima o poi muore in ogni ambito: anche questo, ovvero il più incontestabile degli incontestabili.

(di Stelio Fergola)

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