Il dramma della ritualità smarrita

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La morte di Luca Attanasio ci testimonia quanto una società senza ritualità sia una società morta, e come una comunità che non crede in niente – perché questo siamo – poco coltivi il desiderio di conservazione o di crescita. Ci testimonia quanto l’Italia sia in coma farmacologico, attaccata a un respiratore di cui hanno il controllo energumeni che non vedono l’ora di darle il colpo di grazia.

Lo Stato italiano attuale – ma diremmo in generale quello repubblicano – fatica a trovare una sua dimensione in tal senso perfino per le celebrazioni della sedicente vittoria del 25 aprile, festa artificiale del tutto slegata da un contesto reale. La ritualità è disprezzata, ma quando fa comodo viene ripescata in modo ipocrita.

L’ipocrisia dellla “ritualità ritrovata” a sinistra

Alcuni anni fa l’allora presidente della Camera Laura Boldrini abbassava lo sguardo e – di fatto – insultava  la Folgore che marciava in occasione della festa della Repubblica del 2 giugno. Oggi recita onori quasi imprescindibili di Luca Attanasio, in memoria della sua tragica fine.

Attanasio ritualità

Penoso il tentativo di accoppiare il ricordo ai temi che la sinistra stessa cavalca per promuovere la sua politica antinazionale, a cominciare dall’internazionalismo di bassa lega. Ma in questo, anche il Corriere della Sera è sulla stessa linea.

Stesso destino per Roberto Fico, che sempre riguardo la medesima celebrazione la definiva come la “festa di tutti quelli che si trovano sul nostro territorio, è dedicata ai migranti, ai rom, ai sinti”. Italiani sottintesi, ma in pratica dimenticati. Ma se ne ricorda bene, il signor Fico, quando è obbligato a farlo. Poco importa che li ignori quotidianamente, senza alcuna pietà né rispetto. D’altronde è morta una figura troppo importante per potersi permettere – vigliaccamente – di esercitare il solito autorazzismo becero e impietoso.

Ritualità

La ritualità è fascismo, ma in certi casi conviene dimenticarsene

È così. Non esiste una ritualità positiva, tradizionale, popolare della “Nazione Italia”, locuzione vista quasi come un’unica parolaccia orribile da pronunciare, magari anche un po’ fascista.

Esiste solo propaganda – e tanta – per portare sul nostro territorio milioni di clandestini senza permesso, per far passare per positivo lo schiavismo che li riguarda e il conseguente impoverimento degli italiani senza lavoro, per stabilire leggi di assegnazione di alloggi popolari vergognosamente favorevoli agli immigrati e non ai padroni di casa, ovvero di nuovo gli italiani.

C’è propaganda per parlare malissimo del trionfo del 1918, per attaccare personaggi come Mussolini, Mattei, Craxi. Per guardare con sospetto qualsiasi promozione dell’italianità, addirittura qualsiasi atto d’amore verso essa. E per insultare, come dicevamo prima, corpi speciali fondamentali per le nostre vite, come la Folgore.

Però, quando vengono fuori tragedie come la strage di Capaci, come Nassyria, o come  l’assassinio di Luca Attanasio, i personaggi che tengono in azione il respiratore artificiale non hanno scelta: sono costretti a celebrare, a ricordare, ad onorare una identità che hanno sempre dimostrato di disprezzare.

Sono costretti, soffrendo, quasi a esporre un tricolore, dopo averlo inzozzato ogni giorno della loro vita.

Ma nel frattempo, la Nazione italiana muore. Perché non celebra mai la vita, ma solo la morte. Con tutto il rispetto – e ci mancherebbe altro – per chi è appena morto tragicamente portando – che lo volesse o meno – il tricolore nel mondo.

Noi siamo sicuri di onorarlo con sincerità.

(di Stelio Fergola)

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