Ci state uccidendo: invettiva contro nessuno. Perché siete niente

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Ci state uccidendo. Il destinatario dell’accusa è nessuno. Perché voi siete nessuno, o almeno, siete genericamente qualcuno, sì, ma nessuno si ricorderà e avrà pena di voi. Siete serial killer senza nome. E noi ed il tempo, statene certi, vi dimenticheremo ma non vi perdoneremo. Mai. Perché? Perché siete i carnefici più terribili di sempre.

Ci state uccidendo dentro

Ci state uccidendo. Assassini senza pietà e compassione, uccisori la cui coscienza presenzia maliziosamente ai funerali delle vittime, ai quali trovate il coraggio di compiacervi. Siete abili, nulla da eccepire, ci massacrate con armi invisibili, senza movente. Siete autori di delitti perfetti. Beceri consigli, spregevoli educazioni ed inutili prediche ci hanno di fatto trasformato in un’impotente società “psichiatrizzata”, ammorbata dalle vostre patetiche paternali, dalle vostre disgustose retoriche in difesa di valori e principi scaduti. Non ci potremo mai premettere, statene certi, di ribellarci. Noi no. Noi, non ci risveglieremo all’improvviso dalla nostra assopita schiavitù, troppo addomesticati e timorosi di tediare la vostra remissività.

Privilegeremo il più comune autolesionismo psicofisico medicato da antidepressivi ed ansiolitici, oramai nostro pane quotidiano; faremo del male a noi stessi per non farne a voi. “Duecento anni fa era lecito confidare nel futuro senza essere completamente stupidi. Ma oggi chi può dar credito alle attuali profezie, dato che siamo noi lo splendido avvenire di ieri?” Nicolás Gómez Dávila. Avete estromesso la parola rivoluzione dal vostro dizionario confezionatoci, avete raccontato sommariamente e maldestramente la storia con l’obiettivo di tenerci mansueti e creare docili soldati in attesa di eseguire i vostri fottuti ordini. Avete indotto a pensare che l’innovazione ed il progresso ci avrebbero portato ad una vita agiata e serena. Ed invece il risultato è una società avariata, di vittime arrese e pacifiche, drogate di vili illusione, di competizione, di arrivismo, di materialismo, di putrida informazione, di falsa ipocrisia.

Una comunità dissociata d’individui addormentati, spersonalizzati, apatici, connessi a tutto e sconnessi da sé stessi. Tra noi e voi si è instaurato un contro-stimolo alla comunicazione, la causa imputata alla differenza generazionale che rende arido il terreno di discussione, sordità che rende vane le nostre grida silenti, a voi. Ciò vi provoca voluttà. Sì, vi provoca estremo godimento il nostro essere randagi, il nostro non desiderare nulla, il nostro essere nulla. Siamo una società di Bernando Soares -personaggio raccontato da Pessoa- terrorizzati dal leggere quelle verità de Il libro dell’Inquietudine nero su bianco nelle quali i più fortunati di oggi si ritrovano senz’alcuna nota da aggiungere. Impauriremmo a sentirci, sarebbe terrificante leggerci. <> Fernando Pessoa con le parole di B. Soares.

Ci state uccidendo. Vi aspettate un grottesco e cordiale ringraziamento per ciò che ci avete concesso: un oggetto in mano che ci ha aperto il mondo ed orizzonti inesplorati, una falsa libertà, miriadi di possibilità, il non-bisogno di pensare perché assuefatti dall’errante tecnica, la fortuna del lavoro precarizzato sottopagato, il facile sesso occasionale, l’affabile divertimento. Abbiamo tutto è vero, voi no. <> Quale mondo però vorrei chiedervi. Quale infimo e marcio presente viviamo fortunosamente? Vorrei raccontarvi il fardello, il peso del viver quotidiano che portano persone come me. Vorrei raccontarvi quale desiderio abbiamo, quale ambizione, ma vi farei inquietare, angosciare.. per quei 15 minuti. A quale scopo poi? Ricevere risposte spicce e menefreghiste come: <<è solo un periodo, coraggio! Andrà meglio!>>, <>. Siete spregevoli, mielosamente ridicoli.

Un lavoro professionale: complimenti

Vi va dato il merito senz’alcun dubbio di aver svolto un egregio lavoro, senza sbavature, se non occasionali e di poco conto. Nemmeno l’indagatore dell’incubo -perché del nostro incubo fate parte- verrebbe a capo del caso. Nemmeno il più forsennato giudice potrebbe condannarvi ed infliggervi le giuste pene. Probabilmente nemmeno il citato Dylan Dog prenderebbe le vostre parti, perché troppo stoico. Si porrebbe al nostro fianco ed alla domanda “<> risponderebbe <>” e come biasimarlo. Noi dal canto nostro siamo oramai irrecuperabili, incantati da schermi che illuminano d’interesse la nostra buia quotidianità, da spazzatura virtuale con cui veniamo imboccati senza aver realmente fame di nulla, da false speranze che continuate a propinarci.

Ci state uccidendo. Siamo alla deriva, avviliti, soccombiamo nella nostra colpa ed insignificanza. Vaghiamo cercando noi stessi senza mai incontrarci. Evaporizziamo giorno dopo giorno, sgretolando la nostra solidità di sicurezze e sogni. Tranquilli, simili invettive non turberanno il vostro imperturbabile sonno. Vi chiediamo solo una cosa: non cercateci nel momento del bisogno, perché non accorreremo in vostro soccorso. Saremo ancora alla ricerca di noi stessi, insoddisfatti, infelici e deboli “perché la debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagni della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà.” Lo Stalker (dal film Stalker – Andrej Tarkovskij) Un “giovane”.

(di Alessio Caselli)

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