La musica e i suoi nemici

La musica e i suoi nemici: intervista ad Antonello Cresti

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Abbiamo intervistato l’autore Antonello Cresti, con cui già in passato abbiamo avuto modo di interfacciarci, in occasione dell’uscita de La musica e i suoi nemici, da domani nelle librerie.

La musica e suoi nemici

• Oltre un anno fa ci hai raccontato della “Scomparsa della musica”. Possiamo considerare “La musica e i suoi nemici” come il seguito dell’ultimo libro?

Mi sentirei di affermare che La musica e i suoi nemici rappresenta uno sviluppo, un approfondimento, un andare alle estreme conseguenze rispetto alle tematiche contenute in nuce nel precedente libro, pur condividendone certamente la cornice concettuale. Penso inoltre di aver compiuto uno sforzo maggiore in termini di divulgazione del messaggio ed in termini di esplicitazione di una “pars construens” che qui affiora pressochè in ogni singolo capitolo. Addirittura, pescando dai miei precedenti libri ho creato dei percorsi di ascolto, come fossero “vie di fuga”… Da questo punto di vista La musica e i suoi nemici può dunque essere considerato una summa di tutto ciò che ho pubblicato sino a questo momento, per aprire ovviamente squarci su riflessioni e prospettive ancora future. Per come lo vedo io questo nuovo libro più che un saggio deve essere inteso come un manuale per andare in battaglia!

• In cosa differiscono maggiormente come tematiche?

La forma del precedente libro – l’intervista, peraltro a più voci – consentiva di toccare una molteplicità di temi, senza però dare attenzione approfondita a ciascuno di essi. Ad esempio in La musica e i suoi nemici, il capitolo più corposo, dedicato alla crisi della categoria di “gioventù” prende spunto da una singola frase del precedente libro… Oppure ci sono temi più legati alla attualità come il rapporto tra musica e globalizzazione intesa anche in senso turistico, o ancora una lettura della emergenza sanitaria prendendo a paradigma come il mondo musicale si è mosso all’interno di essa. Ma non di sola sociologia della musica si parla, poichè, come dicevo, ho dedicato alcuni capitoli anche a stili musicali che – secondo me – possono esserci di sostegno nel nostro risveglio. Direi che anche i contributi esterni che ho inserito nel libro, mi riferisco ai testi di personaggi come Francesco Baccini, Andrea Colombini, Michele Monina e Michele Tabucchi adempiono a questo secondo scopo rappresentando ciascuno di loro un preciso settore musicale.

• Quali sono quei canali nei quali l’industria discografica contemporanea sviluppa una standardizzazione del suono tout court?

Come spiego nel libro gli stratagemmi messi in atto sono molteplici, e spesso attivati parallelamente. Senza dubbio si persegue uno svuotamento ed una banalizzazione progressive, esattamente come si fa col linguaggio in generale. Togliere complessità significa infatti depauperare le possibilità di pensiero critico. Su queste fondamenta per così dire “scarnificate” si innesta solitamente un messaggio di propaganda più o meno esplicita ai disvalori del Capitale Assoluto; spesso si usa una forma di apparente “trasgressione” per asseverare in realtà ciò che il Sistema desidera che il ricevente pensi. Tutto ciò è accompagnato da una revisione strutturale dei meccanismi produttivi e compositivi della canzone, che prevedono precisione geometrica dello sviluppo temporale del brano, disumanizzazione e meccanizzazione degli aspetti ritmici, standardizzazione ai limiti del brutale sui timbri vocali, ulteriormente robotizzati da strumenti come l’Autotune. La forma di propaganda subliminale che ne esce agisce sul nostro subconscio in maniera più duratura di qualsiasi slogan politico da Twitter… Occorre restare desti di fronte a qualsiasi prodotto – anche apparentemente “alternativo” – che viene immesso nel Mercato. Occorre segnalare che anche l’Underground si presta in maniera più o meno consapevole a svolgere lo stesso compito. Una operazione che non esito a definire suicida.

• Quali consigli ti senti di dare all’ascoltatore “apota”, che non si beve la musica e gli artisti che il mercato gli propina?

La regola aurea è sempre quella di coltivare una curiosità ed un ascolto attivo, prerogative oramai atrofizzate dalla onnipresenza dello strumento digitale. L’effetto paradossale della cosiddetta “Era dell’accesso”, come amo dire… Occorre fare il percorso esattamente contrario rispetto a subire ciò che passa il Convento, ed andare alla ricerca consapevolmente di stimoli nuovi, sfruttando virtuosamente le varie piattaforme di ascolto e condivisione oggi disponibili. Inoltre sarebbe necessario uscire da quella mentalità tipica di fronte alla opera musicale, secondo cui questa ultima non merita alcuna forma di sforzo o concentrazione per essere colta nella sua interezza e complessità. La possibilità di intrattenere da parte di un brano musicale è una possibilità degna, che certo non mi permetto di disconoscere, ma la verità è che alla musica si potrebbe e dovrebbe chiedere molto di più… dalla introspezione, all’eccitamento, passando per tutte le zone emozionali intermedie. Ecco, questo è possibile solo se la finiamo di farci trapassare dai suoni e iniziamo nuovamente a recepirli attivamente, dunque prestando attenzione e dando centralità a ciò che ascoltiamo. Se non lo facciamo è evidente che la pessima tappezzeria sonora che ci propinano avrà vita facile, e con essa anche la morte simbolica di tutti i musicisti che si ostinano a svolgere un discorso creativo o di ricerca.

(di Emilio Bangalterra)

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