Nessuno vuole il Recovery Fund. Per lo meno, non vuole la parte essenziale del Recovery Fund, ovvero i prestiti da restituire, concentrandosi sulla quota a fondo perduto che lo renderebbe qualcosa di completamente diverso da ciò che, ad oggi, è il fondo per la crisi europeo.
Recovery Fund: la Spagna rifiuta, Portogallo e Francia scettiche
La Spagna rifiuta 70 miliardi di prestiti che sarebbero – che strano – da restituire. Mutismo nella stampa mainstream, quella dell’ossessivo “sono soldi, perché non prenderli?” un po’ generalizzato verso qualsiasi sostegno strabordante di interessi venga anche solo indirettamente da Bruxelles, MES prima, Recovery Fund ora. “La Commissione europea consente di richiedere i prestiti fino a luglio 2023. Cosa ci si guadagna richiedendoli adesso? Lo faremo, se ne avremo bisogno, per il periodo 2024-2026”.
Enrico Mentana, sulla sua pagina, non apre bocca, o meglio non schiaccia dito. Pubblica eccome, però, la notizia secondo la quale non solo la Spagna, ma anche Portogallo e Francia sarebbero molto vicine a rifiutare questo sensazionale aiuto europeo, quello che in estate aveva fatto sobbalzare tutta la stampa di regime al seguito come il nuovo corso, l’Europa che finalmente fa l’Europa, più varie ed eventuali fesserie che il direttorissimo non rinuncia a raccontare ancora, quando da buon “giovane” commenta così la notizia, sprigionando anglofonia che fa molto trendy.
Next Generation UE, eh già. Un’Europa diversissima, nella testa dei giornalisti mainstream. Non si capisce in cosa, visto che il tema portante non era mai cambiato, né con il MES né – tanto meno – con il Recovery Fund, entrambi strumenti che dimostrano inequivocabilmente, e perfino in un momento di crisi gravissima come quello che stiamo attraversando, quanto l’UE sia geneticamente incline all’insostenibilità politico-economica.
Non può esistere uno Stato che non fa debito, non può esistere uno Stato che non emette moneta, non può esistere la sola idea di affrontare una crisi del genere erogando soldi in prestito perché per le sacre e fallimentari leggi di Maastricht non si può fare diversamente.
Però Mentana la chiama Next Generation. Vabbè, assecondiamo.
Per l’appunto, anche Portogallo e Francia sono sul chi va là. E la risposta è ovvia da mesi se non da anni:
Rinunciare a una settantina di miliardi di prestiti da parte di Madrid non è un segno di pazzia. La ragione principale è che i loans (e questo vale sia per il Mes sia per il Recovery Fund) concorrono all’incremento del debito pubblico, diversamente dai sussidi (grants) del RF. Debito che è già aumentato a dismisura nell’ultimo anno a causa delle misure adottate dai governi nazionali per far fronte all’epidemia e ai lockdown. Per questo l’attenzione degli Stati è tutta rivolta alle sovvenzioni che verranno ripagate solo a partire dal 2028 con nuovi contributi al bilancio Ue e/o nuove tasse comunitarie. Con un impatto quindi limitato e diluito nel tempo (fino al 2058) sui saldi di finanza pubblica.
Come si fa a volere solo i soldi a fondo perduto di uno strumento che è stato concepito appositamente per elargire prestiti, e anche di un certo peso?
E l’Italia?
L’Italia che di fresco ha detto “no al MES“, seppur dopo infiniti tentativi da parte della sua classe dirigente di accoglierlo (probabilmente spiazzata dal rifiuto netto, anche in quel caso, dei cosiddetti “partner” europei), si è buttata a capofitto – manco a dirlo – proprio sul Recovery Fund. “L’Ue ha voltato pagina”, dice Giuseppe Conte, sottolineando proprio il fondo in questione e quella “coralità di intenti” che sarebbe stata favorita proprio dall’Italia in prima linea.
Eppure, sembra che nonostante gli intenti dell’esecutivo italiano siano concentrati sull’idea di accogliere anche quest’ultima soluzione – come del resto molte anime interne al gabinetto Conte spingevano per il MES – il problema di fondo sarà difficilmente affrontabile. Ovvero che non si può affrontare una crisi che mette in ginocchio l’economia con altre pretese, le stesse tasse, e la richiesta addirittura di restituire denaro che dovrebbe essere concesso senza alcuna (e veramente alcuna) condizione. Il Fatto, riportando El Pais, non a caso cita che:
“Anche Portogallo e Italia stanno valutando la situazione” e pure la Francia potrebbe “considerare di rinunciare a una porzione dei fondi che le spettano sotto forma di prestiti”. Il piano europeo di cui l’Italia è sulla carta il principale beneficiario, commenta il quotidiano, potrebbe “essere vittima del suo stesso successo“.
Quale successo, anche qui, non si sa bene. Ma la stampa europeista è così: se la canta e se la suona da sola, come sempre.
(di Stelio Fergola)