Massimo Giannini e la storia strappalacrime sul Covid: ambiguità

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Massimo Giannini è un “giornalista”. Il virgolettato non è ironico, fa il giornalista davvero. Svolge la professione nel senso tecnico del termine: scrive, riporta dati, storie, oppure racconta in tv, da ospite in qualche trasmissione.

Ovviamente, tutto questo non significa raccontare la verità. E chi dice che il discrimine del giornalismo sia la verità, scusatemi, per me ha capito poco di questo lavoro. Senz’altro un giornalista può anche dire la verità, se è in buona fede e mosso da alti scopi, ma non ne é vincolato così tanto come raccontano i protocolli ontologici dell’ODG.

Massimo Giannini e il curioso reportage sul covid dall’ospedale

Ebbene, Massimo Giannini malato di covid è un giornalista, ma racconta la verità che fa più comodo e la interpreta nei modi più consoni. È l’editoriale che il direttore de La Stampa ha pubblicato oggi sul suo giornale, ripreso anche da altre testate, tra cui Open (l’editore e direttorissimo Enrico Mentana si è sbottonato definendolo “straordinario”).

“Scusate se riparlo di me” è l’esordio. Tranquillo Massimo, siamo qui per ascoltarti. Seguono frasi altisonanti su quanto è infido il covid, sul fatto che in 5 giorni le terapie intensive sono più che triplicate. E siccome l’emotività è una grande risorsa, via con le bare di Bergamo, come se fossero l’unico male che ci attende. “Non recrimino, non piango”, parola di Massimo Giannini malato di covid.

Verrebbe da dire che c’è poco da recriminare, nel momento in cui si sentenzia che:

Vorrei solo ricordare a tutti che anche la retorica del «non possiamo chiudere tutto» cozza contro il principio di realtà, se la realtà dice che i contagi esplodono. Se vogliamo contenere il virus, dobbiamo cedere quote di libertà. Non c’è altra soluzione. Chiudi i locali notturni? Fai il coprifuoco? Aumenti lo smartworking?

Chiudendo con “Ci sarà un conto da pagare, è evidente”.

Massimo Giannini e la storia strappalacrime sul Covid: ambiguità

Se la retorica del “non possiamo chiudere tutto” cozza con la realtà, quella dello “stiamo attenti, cerchiamo di non chiudere però limitiamo la vita, il lavoro e la sicurezza economica delle persone” evidentemente non conosce confini. Non importa se si perdono il lavoro, la sicurezza, magari la casa e la possibilità di mangiare. Finire in miseria – e rischiare eccome la morte in conseguenza di certe cose – non conta.

“Ci sarà un conto da pagare”. Evidentemente non per te, caro Massimo Giannini malato di covid. Il tuo stipendio non verrà mai toccato, se non in tempi talmente lunghi da essere irrealistici, quando chissà quanta popolazione sarà finita in miseria e questa tragedia, ferme restando le conseguenze che porterà, sarà alle spalle. Non sei tu a dover aprire il tuo negozio, il tuo bar, il tuo ristorante, il tuo locale notturno e a vivere di quello. A te basta il solito bonifico mensile.

Poi certo, c’è sempre il paraculissimo passaggio successivo: “Oggi non vogliamo e non dobbiamo arrivare a quel punto.” Ma se due righe più sopra hai appena detto che è retorico, non arrivare a quel punto? Deciditi, caro Massimo.

Massimo Giannini e la storia strappalacrime sul Covid: ambiguità

E deciditi anche su cosa vuoi fare da grande, perché quando scrivi “chi subisce perdite ulteriori dovrà essere risarcito”, poi non spieghi come. Con quali soldi? Quelli dei prestiti di “provenienza europeista” che devono essere versati insieme alle tasse, anche se non si incassa nulla? Con le “misure anticovid” che vietano il licenziamento fino a dicembre con i magici soldi che non possiamo emettere perché ci troviamo nella gabbia bruxelliana che vi piace tanto? Col MES? Col Recovery Fund? Come, di grazia?

“La pandemia sta accorciando ancora una volta il respiro della nostra democrazia”. Massimo, ci spieghi che problema hai? Stessa colonna, come per la storia del “retorico non possiamo chiudere”, hai scritto “dobbiamo cedere quote di libertà”.

Magari il covid attacca la memoria, ma in quel caso non dovrebbe essere il caso di mettersi al lavoro, no?

Caro Giannini, è un racconto ambiguo

Per carità, siamo tutti sicuri, caro Massimo Giannini malato di covid, che tu stia lottando per la vita o per abbattere la furiosa malattia scaturita dal terribile virus, ma come dire, la tua magnifica esperienza di vita ci lascia un pochino basiti. Siccome ci danno dei negazionisti quando non neghiamo nulla, poi, siamo costretti a scrivere un centinaio di volte che i virus esistono, i batteri esistono e ovviamente esiste anche il covid. Come esistono i casi gravi di covid, come per qualsiasi malattia al mondo.

Quello che è in forte dubbio è l’autenticità di questo racconto tanto sentito e, soprattutto, tanto empatico.

Massimo Giannini, positivo al Covid, si presenta ospite della Gruber  il 5 ottobre. Noi riportiamo le nostre impressioni il giorno successivo. Giannini parla di sintomi, di tosse, accusata nei primi momenti della malattia. È seduto davanti allo schermo e non mostra alcun segno di fatica, neanche simulato. Sarà particolarmente resistente e si sarà impegnato, per carità. In ogni caso, sembra fresco e tranquillo, o comunque in buonissimo stato di forma.

Nell’articolo strappastorie dall’ospedale, il Giannini esordisce con amara ironia scrivendo: ” ‘festeggio’ quattordici giorni a letto”. Dal 6 – il giorno successivo alla diretta con la Gruber – ad oggi fanno 13 giorni. Il quattordicesimo potrebbe essere il 5 ottobre, quando evidentemente Giannini si sarà alzato apposta per comunicare ai telespettatori la sua complessa situazione ospedaliera. Ma andiamo avanti e facciamo finta che sia tutto liscio e senza la minima ambiguità.

In tutto ciò, il malatissimo Massimo Giannini racconta di essere “in superlavoro” e di scrivere, scrivere, scrivere. Ma al tempo stesso di respirare l’ossigeno dai tubi, negli “ultimi cinque giorni in terapia intensiva”.

Ovviamente, cosa scrive? Quadri catastrofici, o per lo meno, inquietanti in senso peggiorativo. Occorre tranquillizzare le persone e per carità, nessuno vuole un secondo lockdown. Eppoi la strappastorie “cosa mi ha insegnato il covid”, non può mai mancare. Tutto questo stando sempre i già sopracitati 14 giorni a letto. E’ tutto molto coerente, e la sensazione che uno sceneggiatore di serie B forse farebbe meglio è abbastanza marcata.

In ogni caso, è una bella notizia: evidentemente Mentana, Giannini e altri ci leggono. Non dico me, a noi in generale dell’universo della cosiddetta “controinformazione” o “controcultura”.

Quel collegamento durante Otto e mezzo, in effetti, era parecchio ridicolo. Un uomo fresco come una rosa denunciava dei rischi del covid come se stesse vivendo un inferno il quale, almeno visivamente, era assente. Poteva anche indispettire chi, magari, col covid abbia passato ore brutte, sia deceduto oppure si  sia trovato in difficoltà. Ma vabbè, questo non conta, l’importante è sensibilizzare.

Forse bisognava spingere un pochino di più sull’acceleratore dell’empatia. Sì, proprio l’empatia, quella che nominavamo prima.

(di Stelio Fergola)

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