L'uomo e la comunità: la visione del mondo della Tradizione

L’uomo e la comunità: la visione del mondo della Tradizione

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Per poter conoscere e possibilmente migliorare la società in cui viviamo siamo costretti a comprendere l’unità base di essa, ovvero l’uomo. Immersi fino al collo di ideologia modernista e progressista infatti, l’uomo si è scordato la sua natura, la sua funzione, la sua pura essenza e cosa ancor più grave, ha smesso di farsi domande a riguardo.

La concezione dell’uomo nell’epoca classica

Facilissimo cadere in fallo ed essere disorientati in tempi in cui l’ideologia dominante tenta di cancellare quotidianamente i punti di riferimento, propugnando l’eliminazione delle differenze, siano esse di genere, di etnia o di semplici attitudini naturali. L’essere umano infatti viene concepito come una sorta di tabula rasa, un individuo che può darsi autonomamente una forma, un sesso, o tutte le qualsivoglia caratteristiche fenotipiche, in nome del precetto individualista “Diventa ciò che vuoi”, se necessario anche in contrapposizione con la società; peccato che in realtà alla fine, è proprio la società a farti diventare ciò che vuole. Si viene cosi a creare un sistema in cui ognuno si sente libero e legittimato di fare assolutamente ciò che vuole in preda alle sue isterie ed ai suoi istinti primordiali in nome della tanto agognata libertà.

Fortunatamente però, la Grecia antica, ma non solo, conosceva perfettamente la vera natura dell’uomo, tanto da riassumersi nella celebre frase incisa sul frontone del tempio di Delfi: “Conosci te stesso”; una sorta di esortazione a scoprire la parte divina presente in ogni uomo ed il compito da portare a termine in questa vita.

Visione perfettamente antitetica a quella modernista e scientista che oltre a concepire l’uomo come un essere informe, lo concepisce anche come un semplice aggregato di carne ed ossa. Anche in questo caso il mondo antico offre un altro punto di vista, soprattutto grazie a Platone che vede l’uomo composto da Nous, Psychè e Soma. Il Nous è lo sprito puro, che è della natura del sommo bene, è considerato l’intelletto a dimensione metafisica, chiamato anche anima razionale. La Psychè è concepita come l’anima mediana ( o anima impulsiva ) che può direzionarsi o verso il Nous, quindi verso il sommo bene oppure verso l’anima somatica cedendo cosi ad istintualità e animalità, causando quindi nell’uomo conflitti, sofferenze e turbamenti. È importante sottolineare che anche secondo il Vedanta di Sankara ( nel mondo Indù ) ma non solo, esiste la medesima tripartizione; l’Atman corrisponde al Nous, il Jivatman alla Psychè e il Sthulasarira al Soma. Tutti gli elementi comunque sia per Platone che per Sankara devono tendere all’equilibrio grazie alle strade della Conoscenza, dell’Eros e dell’Azione. E’ opportuno precisare che in questi ultimi anni anche il mondo delle Neuroscienze, della Fisica Quantistica e qualche Psichiatra non ortodosso, sta arrivando a dimostrare queste dimensioni.

In sintesi, nell’antichità, si concepiva l’uomo come un ente dotato già dalla nascita di qualità, attitudini e caratteristiche particolari che devono essere messe al servizio della Giustizia e del Bene. Il compito quindi di ogni uomo, secondo la dottrina Tradizionale è quello di scoprirle e svilupparle per trovare la propria natura ed il proprio ruolo in questo mondo.

L’uomo nella comunità del mondo tradizionale

Una volta compresa la visione antica dell’uomo, è sicuramente più facile comprendere la conseguente organizzazione statale. Anche in questo caso Platone offre un’ottima descrizione dello stato ideale nella “Repubblica”. Secondo il filosofo Ateniese infatti, lo stato perfetto sarebbe preso a modello dalla concezione tripartita dell’uomo. Il Nous ( l’anima razionale ) sarebbe rappresentato dai governanti che devono stare al vertice della concezione gerarchica della società in quanto depositari del Sapere; i governanti secondo Platone sono i Filosofi perché appunto sono gli unici in grado di occuparsi del bene pubblico senza farsi trascinare in altre questioni individualiste e materialiste.

Gerarchicamente sottoposti ai governanti, dovrebbero stare i guerrieri, coloro che devono essere deputati alla difesa dello stato e in cui, per predisposizione animica, domina l’anima impulsiva.

Infine, alla base della visione piramidale dello stato, vi sarebbero i gli operai, coloro quindi che devono provvedere ai fabbisogni materiali dello stato e che rappresentano la massa. In coloro che fanno parte di quest’ultimo gradino dominerebbe secondo Platone l’anima appetitiva ( il Soma ).

Questo quindi sarebbe l’ordinamento dello stato secondo giustizia, uno stato dove regna la gerarchia, nell’accezione più alta del termine ( ordine sacro ) da non confondere con il gerarchismo, semplice degenerazione.

Oltre alla visione platonica ovviamente, Julius Evola nel suo “Rivolta contro il mondo moderno” descrive con attenzione, come si possano osservare concretamente nel mondo Tradizionale, altre situazioni molto simili. Ad esempio nell’Iran con la divisione in athreva, rathaestha, vastriya-fshuyant, huti; nel mondo Indù con la divisione in caste ( brahman, kshatriya, vaishya, shudra ) fino ad arrivare al medioevo europeo con clero, nobiltà, borghesia, servi.

Ad un primo sguardo, con la nostra mentalità moderna intrisa di pregiudizi e di parole d’ordine come egualitarismo, lotta di classe, diritti ecc… questa divisione parrebbe folle e non giusta. In realtà questa organizzazione è quella che maggiormente si adatta alle qualità naturali di ogni uomo che quindi può adempiere al suo dovere con maggior semplicità. Avere un’organizzazione statale di questo tipo, significa comporre un’unità organica dove ognuno, adempiendo al proprio dovere, rende omaggio a sé stesso e agli altri; già perché gli altri sono importanti, in quanto l’uomo come già disse Aristotele è un animale politico ed è quindi verso l’altro che si deve protendere.

Società o comunità

Se per certi versi il nazionalismo può anche portare con sé delle critiche giuste ed inevitabili sarebbe opportuno riscoprire almeno l’importanza del termine comunità. Già Ferdinand Tonnies a fine 1800 comprese la differenza tra società e comunità.

Con il termine società, il sociologo tedesco descrive un gruppo ove si basa tutto su vincoli contrattualistici e di puro interesse personale, caratterizzato da un mero rapporto di scambio tra i membri. La comunità invece, è secondo Tonnies, un insieme di persone che condividono un senso di appartenenza, basato su stessi usi e costumi, aiuto reciproco e reciproca comprensione.

In tempi in cui un virus sta mettendo in ginocchio stati interi, è doveroso riscoprire il valore del termine comunità e riscoprire il ruolo importante che ogni cittadino ha nei confronti del prossimo cercando il più possibile di sviluppare le proprie attitudini e metterle a disposizione per la comunità, evitando sterili polemiche e lasciando da parte inutili temi oggetto di divisione.

(di Marco Terranova)

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