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“L’Esorcista” a teatro: spiriti sul palco nell’epoca della negazione

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L’Esorcista” approda a teatro, e con esso non soltanto la storia che porta con sé, ma anche i valori che in essa si possono leggere.

 

La storia de “L’Esorcista”

Ne “L’Esorcista” – successo prima al cinema ed ora a teatro -, due tragedie famigliari si intrecciano. Chris MacNeill, attrice divorziata, trasloca per le riprese di un film: la figlia Regan, 12 anni appena compiuti, intanto dà segni di squilibrio sempre più inquietanti. I test clinici non danno nessun risultato, tanto che due psichiatri consigliano di ricorrere a un esorcismo.

Damien Karras, gesuita e psichiatra, confratello d’ un amico di Chris, non si perdona per non aver garantito alla madre una vecchiaia agiata ed una morte dignitosa. Perde la fede, ma accetta la sfida col male che attanaglia Regan. Nel frattempo, una chiesa nel quartiere è orrendamente profanata, ed una voce cavernosa sfida insistentemente un vecchio gesuita: «Merrin, vieni da me…».

 

Il percorso cinematografico de “L’Esorcista”

Dal romanzo (1971) di William Peter Blatty, poi sceneggiatore e produttore del film (1973) diretto da William Friedkin, si tratta forse dell’horror più celebre della storia del cinema. Epopea cinematografica continuata con due episodi dalle premesse affascinanti e dall’esito fallimentare.

Nel 1977 “L’Esorcista II – L’Eretico“, col quale John Boorman (bontà sua) confonderà ulteriormente l’identificazione di padre Merrin col gesuita eretico Teilhard de Chardin e si attirerà gli insulti (ancora dopo decenni) di Friedkin; nel 1990 “L’Esorcista III“, scritto e diretto dallo stesso Blatty, alternanza di scene meravigliose e imbarazzanti.

Nel 2004 è uscito anche un prequel, “L’Esorcista – La Genesi“, versione adatta alle esigenze del pubblico mainstream di un precedente, raffinatissimo progetto curato da Paul Schrader – licenziato dalla Morgan Creek e sostituito col più commerciale Renny Harlin. Il film capostipite, che surclassò immediatamente il successo del romanzo (rimasto un “istant-seller“) resta – con tutti i suoi problemi – uno degli episodi più importanti nella storia dello spettacolo e del costume.

 

Le peculiarità dello spettacolo teatrale

“L’Esorcista” è giunto infine a teatro, precisamente a Milano: una versione ispirata al dramma di John Pielmeier, già sui palcoscenici di Los Angeles (nel 2012, con Brooke Shields nel ruolo di Chris, e Richard Chamberlain in quello di padre Merrin), di Birmingham e Londra (2016 e 2017, con Jenny Seagrove e Peter Bowles).

Pur tributando (diversamente da quanto promesso) molta attenzione alle “diavolerie” (nei limiti del possibile, stando su di un palco teatrale, e non sul set di un film hollywoodiano), l’ispirazione di fondo è prossima al romanzo di Blatty, più che al film di Friedkin. Nonostante siano eliminati i ruoli del tenente Kinderman e dei domestici svizzeri, che nel romanzo avevano un peso maggiore rispetto al film.

Per esempio, il Merrin teatrale, nella brevità della sua apparizione, è più simile a quello del libro: cordiale, filosofo e poeta (nel film è invece brusco e chiuso), e come in esso dichiara espressamente l’ispirazione a padre Pierre Teilhard de Chardin, gesuita eretico.

Si professa paleontologo e filosofo, e crede tanto nell’evoluzione («i nostri corpi hanno smesso di formarsi, ma i nostri poteri filosofici crescono») quanto nella possessione, ove vede un doloroso motivo per credere («se crediamo nei demoni, crediamo negli angeli; e se crediamo negli angeli…»). Assai più che nel film, è evidente la missione del vecchio e saggio avventuriero e del suo giovane e dolente confratello: samurai di Cristo, che non hanno la minima esitazione nel sacrificarsi.

 

Dennings e la caduta del mondo liberale

La chiave di lettura è sempre offerta da Burke Dennings, il regista irlandese alcolizzato: nel film, il diavolo era il ’68, che Burke stesso stava raffigurando sul set nel quale Chris era coinvolta (si veda la scena fuori da un’università, nel quale lo stesso Blatty ha un piccolo cameo).

La perdita dell’innocenza dell’Occidente liberale, la grande regressione sessantottina: il Capitale che contesta se stesso. Ossia, i movimenti contestatori istigati e manovrati da quello stesso potere contro cui strillavano in piazza: hippie, indiani metropolitani, nazi-maoisti in animalesca rivolta contro le eminenze grigie che muovevano le loro fila; la rivoluzione sessuale, l’esplosione della droga e la demolizione del cristianesimo istituzionale decise e guidate da compassati arbitri in giacca e cravatta.

 

Ermeneutica de “L’Esorcista” a teatro

Nello spettacolo teatrale, il diavolo è la perdita dell’infanzia (non per nulla comincia col compleanno di Regan, sanzione della sua crescita) e con essa dell’innocenza. E Burke, inconsapevolmente, sul palco anticipa quel che sarà compiuto dal diavolo: «L’infanzia è finita… Non crescere mai! Fra qualche anno imparerà le parolacce, sbatterà la porta e ci manderà tutti a quel paese».

Lui stesso anticipa questa crescita: regala un anello a Regan, prova ad indovinare quanti mariti avrà, forse allunga troppo le mani. Burke e il diavolo sono per Regan ciò che in “Il giro di vite” di Henry James, l’opera massima sull’innocenza violata, è Peter Quint per Miles: il corruttore, il parassita annidato, la sporcizia nascosta sotto il tappeto, la serpe che distrugge l’Eden.

«Stella stellina, la notte si avvicina… Ognuno ha la sua mamma, e tutti fan la nanna», come diceva Lovecraft: l’età adulta è l’inferno, ed all’infanzia vorrebbe tornare padre Karras. Inorridito dal suo stesso atteggiamento verso la madre malata («Non volevo vederla in casa di cura… Era legata, puzzava… Ne avevo schifo»), rimpiange l’era dorata, quando lui e la sua mamma erano feliciRipenso a quando ero ragazzino, e a che madre fantastica era…»).

Come lo erano Regan e Chris, prima che il loro piccolo paradiso di scherzi, orsacchiotti e filastrocche fosse travolto da insinuazioni («Chi è Jimmy?»), detti e non-detti, sospetti, delitti. Il diavolo è vile proprio perché approfitta dell’innocenza di Regan (sfrutta il suo desiderio di rivedere il papà) per togliergliela. E se i due preti sono eroici nell’affrontare a viso aperto il Maligno, la bambina che accetta le insidie di “capitan Howdy” pur di riabbracciare il padre non è da meno.

 

Pregi e difetti de “L’Esorcista” a teatro

Lo spettacolo a teatro de “L’Esorcista” è bello. Esibisce i suoi difetti: qualche tratto di recitazione amatoriale; Regan che salta sul letto e grida «Mamma, aiuto!» a lungo andare tedia; dati gli inevitabili limiti della resa tecnica, la scena del rituale diventa non spettacolare, ma fracassona – si poteva semplificarla, guadagnando in eleganza.

Tuttavia, ha dei pregi anche più notevoli: la scenografia è bellissima, i costumi sono adatti, il ritmo è giusto, ed il dramma è intensissimo, pur con qualche accenno di humour (cupissimo). Il veterano Gianni Garko, dopo un tostissimo ingresso in scena con cappellaccio e impermeabile nero, è un Merrin adorabile: tenero coi suoi ospiti, micidiale con l’Avversario, recita soprattutto con le mani: benedice, abbraccia, accarezza.

Alberto Ferrari confeziona un lavoro spettacolare e sobrio, nonostante qualche concessione alle esigenze dei cultori horror (vocioni, lucine, effettacci, “jump scare“). Salutando il pubblico, sulle immancabili note oldfieldiane di “Tubular Bells“, alla fine della prima del 18 ottobre, ha detto: «Spero che lo spettacolo vi abbia fatto un po’ paura…».

Il cast de “L’Esorcista” a teatro

Questo “L’Esorcista” milanese (l’irlandese Burke che esclama “Ehi bimba” è un cumenda espatriato!) è inquietante, ma è soprattutto un bel dramma: una storia di redenzione, di miserie umane che ritrovano la luce dopo essersi perse nel baratro. Nell’era del cattolicesimo secolarizzato, in pieno trionfo del disastro post-conciliare, durante il pontificato d’un gesuita dalle chiare tendenze protestanti, ascoltare sul palco un (pur immaginario) padre gesuita che parla di fede, spiriti, demoni e angeli, lascia intravedere un barlume di speranza. «La notte si avvicina, la fiamma traballa».

“L’Esorcista” – Commedia di John Pielmeier, tratta dal romanzo di William Peter Blatty – Milano, Teatro Nuovo (Piazza San Babila, n°3) – dal 18 ottobre al 10 novembre 2019.

(Tommaso de Brabant)

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