Ora la Corte Europea se la prende pure con l'ergastolo

Ora la Corte Europea se la prende pure con l’ergastolo

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La motivazione è sempre la stessa. “Trattamenti umani e degradanti” non consentiti dall’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani. Così la Corte di Strasburgo la spara alta, anzi, altissima: l’ergastolo non va bene. “È inammissibile deprivare una persona delle sue libertà, senza tendere alla sua riabilitazione» e senza offrirgli una speranza”, cita la sentenza, riguardante il caso Marcello Viola, arrestato negli anni Novanta per associazione mafiosa.

Come al solito, quando si parla di questa materia, tutto si gioca sulle definizioni arbitrarie, e la Corte – come i giudici – si dimostra ideologizzata nel proporne di ogni tipo. Ovviamente a senso unico e del tutto slegate da un concetto che lo Stato neoliberale stermina con insistenza e senza pietà da decenni: quello di “dovere”.O di responsabilità, fate un po’ voi. Non cambia moltissimo, se non sfumature.

Ed ecco che non si vede altro modo di parlare di “riabilitazione” e di “speranza” se non in nel senso di annullarla, quella benedetta o maledettissima responsabilità, e quindi di cancellare – presto o tardi, ma comunque prima dei ternini – ogni conseguenza. Quindi via l’ergastolo, sì alla pena limitata, per qualsiasi reato, anche il più grave, perché l’obiettivo è ritornare in società. Per forza. Senza, non si vive, non si è degni, non si è uomini.

Un approccio che fa il paio con quell’altra arguta visione che pretendeva di scarcerare i condannati all’ergastolo per motivi di salute, e che invece di concentrarsi efficacemente nel curare il detenuto in gabbia, pensava bene di alzare le barricate per farlo uscire. Geniale.

A tutti questi geni del diritto, dell’umanità e della sedicente solidarietà mi permetto di dire una cosa molto semplice. Non c’è nulla di inumano e degradante nell’essere segregato in una cella per responsabilità proprie. Non c’è nulla di inumano e degradante nell’essere curato con ogni attenzione possibile sul luogo della propria reclusione.

Ebbene, no, cara Corte. Stare in una cella significa essere privato della libertà personale al fine di non costituire minaccia per la società onesta. Niente di più né di meno. Non significa non avere il diritto di essere curato, nutrito o di dormire sotto un tetto. No no. Vi sembrerà strano, e il vostro cervello tanto pieno di cultura e di letture sicuramente non potrà comprenderlo, ma le cose stanno così.

Carissima “Corte”, essere riabilitati non significa necessariamente tornare liberi in società, ma anche recuperare una propria dimensione umana, morale ed etica che con la libertà non c’entra nulla, proprio tra le mura del carcere. Sì, lì. Senza riacquistare ciò che hanno perso. E senza strepitare come bambini viziati. Pentirsi? Si può fare anche in carcere. Migliorare come esseri umani? Possibilissimo anche in gabbia. Convertirsi e comprendere il proprio errore? Una reclusione non lo impedisce.

L’inumanità eventuale non nasce infatti da nessuna di queste azioni punitive verso qualcuno che ha commesso un delitto molto grave contro la società. Semmai può generarsi dall’eventuale maltrattamento che il condannato potrebbe subire in cella. Chi non capisce questo banalissimo concetto lascia trasparire qualche dubbio sulla preparazione che tanto ostenta e ci rinfaccia ogni santissimo giorno.

Nel mondo normale chi commette un danno grave se ne assume la responsabilità. In quello neoliberale no, può sempre ignorarla, perché tanto l’importante è non perdere mai nessuna libertà individuale, tanto le più estreme da cittadini comuni, quanto quelle basilari se si ha la fedina penale sporca.

Poi certo, la giurisprudenza occidentale – asservita completamente al liberalismo più sfrenato, vero dominatore della società odierna da decenni, come ben ha sintetizzato Aleksandr Dugin nella sua continua opera filosofica divulgativa – ha deciso che può diventare “degradante e inumano” qualsiasi cosa. Anche passare il resto della vita (per responsabilità gravi, oggettive e inoppugnabili) rinchiuso. Anche se si è assassini, delinquenti.

Tutto giusto, e soprattutto molto umano. Il prossimo passo sarà ritenere “degradante” arrestare un mafioso? Diamoci un tempo, tra dieci o quindici anni aspettiamocelo tranquillamente.

(di Stelio Fergola)

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