Covid proprietà

Ai tempi del Covid la proprietà non è più un diritto?

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Com’è noto, la crisi del covid sta provocando conseguenze disastrose su ogni fronte, in primis quello economico, sociale e, a quanto pare, anche dello stesso diritto di proprietà.

Le rigide restrizioni sull’esercizio delle attività commerciali stanno gettando sul lastrico centinaia di migliaia di italiani, costretti a subire da più di un anno misure liberticide un tempo inimmaginabili, spesso accompagnate dal commentino sprezzante di turno.

Come quello recente di Nicola Zingaretti, che è riuscito a definire “lavoretti” le attività di bar e palestre. Il danno, la beffa… e, sotto sotto, l’ideologia. Sì, perché se si guarda al quadro generale, il Covid potrebbe rivelarsi il pretesto perfetto per inculcare nella testa degli italiani l’idea sessantottina secondo cui la proprietà privata sarebbe un furto.

Covid: un virus “comunista”?

È chiaro che qui si intende lanciare solamente una provocazione. Ma tant’è che da quando il virus è in circolazione, il diritto alla proprietà privata è stato più e più volte minacciato.

Dapprima le seconde case nel mirino, un vezzo a cui i proprietari (magari dopo una vita di sacrifici per potersi comprare una casa per le vacanze) stanno rinunciando ormai da mesi. Poi il blocco degli sfratti. “È necessario e urgente ripristinare la proprietà privata e restituire i loro diritti a 4 milioni di piccoli proprietari immobiliari, che non incassano affitti da tempo e ci pagano pure le tasse”. Così si è recentemente espresso Salvini sulla questione. Ma nel Decreto Sostegni bis di prossima approvazione non pare sia previsto uno sblocco generale degli sfratti; a quanto pare, il governo opterà per uno sblocco solo parziale, e soltanto relativamente ad attività fortemente in crisi. Tuttavia, considerata la situazione economica in cui versa il paese, è pressoché inevitabile che il decreto si tradurrà concretamente in un’ulteriore pressione sui proprietari di immobili.

Ma è normale, si dirà, c’è in atto un’emergenza sanitaria. Ma forse non è solo questo. Forse è il modo di pensare di un’intera nazione che sta lentamente mutando, e la pandemia non sta che esasperando una graduale ma inesorabile usurpazione di quel diritto che il filosofo John Locke riteneva inalienabile, il diritto alla proprietà come naturale estensione del diritto che ogni essere umano ha sulla propria persona.

Autocertificazione su autocertificazione, si sta insinuando nella mentalità comune l’idea che non si abbia più il diritto di godere dei propri beni senza dover esibire giustificazioni e che la soppressione di tale diritto non abbia più nemmeno carattere straordinario ed emergenziale, ma stia man mano diventando la nuova regola a cui occorrerà, prima o poi, adeguarsi. È quasi impossibile da negare: l’emergenza sanitaria non è ideologicamente neutra, ma comporta una anche una riforma del pensiero.

Covid e proprietà: le parole di Bergoglio e il libro di Speranza

Hanno destato parecchie perplessità, a tale proposito, le parole che Bergoglio ha pronunciato in occasione dell’omelia della Seconda Domenica di Pasqua. “Così hanno fatto i discepoli: misericordiati, sono diventati misericordiosi. Lo vediamo nella prima Lettura. Gli Atti degli Apostoli raccontano che «nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune»”. Per il Pontefice, quindi, condividere la proprietà non sarebbe affatto comunismo ma “cristianesimo allo stato puro”.

Ma un’ulteriore spinta ideologica in questa direzione arriva anche dalla politica. Stante a quanto riferito da alcuni coraggiosi lettori, il ministro Speranza, nel suo libro “Perché guariremo” (a quanto pare ritirato dal commercio in Italia), avrebbe ammesso più o meno direttamente che il Covid si sarebbe rivelato una ghiotta occasione per imporre una nuova cultura di sinistra.

La creazione di un nuovo proletariato

Ma a dirla tutta, qui non si intravede l’ombra né di comunismo né di cristianesimo. La nuova ideologia di sinistra non mira ad emancipare le classi popolari, ma a ricrearle. Il bergoglianesimo non auspica il sostegno dei più deboli da parte di coloro che si trovano in una condizione sociale privilegiata (perché la Chiesa, col suo immenso patrimonio immobiliare, non dà il buon esempio?), ma invita ad un mero arrangiarsi fra deboli. Non si tende nemmeno ad una reale redistribuzione della ricchezza, ma piuttosto ad una esasperazione delle disuguaglianze sociali portata avanti tramite la distruzione sistematica del ceto medio. È questa la reale arma in mano ai potenti (quelli sì, davvero ricchi) per esercitare il pieno controllo sulle future masse proletarie.

Se proprio si volesse pensar male, si potrebbe dire che il Covid sembra l’alibi perfetto per un genocidio di classe.

(di Flavia Corso)

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