"Quindici-Diciotto, tra storia e metastoria": il libro di Sandro Consolato

“Quindici-Diciotto, tra storia e metastoria”: il libro di Sandro Consolato

Da oltre trent’anni Sandro Consolato è un punto di riferimento culturale per quella che, in modo ormai un po’ desueto, può definirsi “destra tradizionalista”. Attento studioso delle dottrine di Julius Evola, è stato autore di vari scritti sul Barone, tra cui i saggi “Julius Evola e il buddhismo” (SeaR, Borzano 1995) ed “Evola e Dante. Ghibellinismo ed esoterismo” (Arya, Genova 1914).

È stato per vari anni l’animatore della rivista “La Cittadella“, nella quale si fusero la riscoperta della “Via Romana agli Dèi” (di cui Consolato è stato per lungo tempo protagonista all’interno del Movimento Tradizionalista Romano), la continuità della tradizione romano-italica nella storia e metastoria d’Italia e in particolare nell’Italia contemporanea (Risorgimento, Grande Guerra e Fascismo).

Studioso noto e illustre

Ha pubblicato vari articoli sulle riviste Arthos, Letteratura-Tradizione, Politica Romana e Il Primato Nazionale nonchè sui quotidiani Il Foglio e Il Secolo d’Italia. Notevole il suo contributo alla riscoperta dell’archeologo e patriota Giacomo Boni nel volume collettaneo “Esoterismo e Fascismo“, curato da Gianfranco De Turris (Mediterranee, Roma 1996).

A giovani lettori d’oggi – vicini tanto all’area politica della destra quanto alla cultura tradizionalista – la cosa può sembrare stupefacente, ma nella destra tradizionalista della fine degli anni ’80 e degli anni ’90 l’idea d’Italia in senso sacrale e politico, nonché il valore storico e metastorico dell’esperienza del Risorgimento e della Grande Guerra, erano spesso messi in discussione in nome di un approccio (pseudo)tradizionalista che vedeva nella Santa Alleanza, negli Imperi Centrali e persino nel Papa-Re i moderni alfieri della Tradizione. I patrioti risorgimentali e della Grande Guerra venivano relegati in un non meglio definito fronte della sovversione.

Poco studiato, evidentemente ma colpevolmente (visto che Ezra Pound, a suo tempo, aveva speso parole chiare e pesanti sull’argomento), era il ruolo che la Sovversione, con la S maiuscola – quella della grande finanza dei Rotschild e più tardi dei Warburg, degli Schiff e dei Kuhn und Loeb -, aveva svolto a supporto della Santa Alleanza e in particolare degli Asburgo (ma anche dei Borbone e del Papa-Re) nell’Ottocento, e degli Imperi Centrali (Germania ed Austria-Ungheria) prima e durante il primo conflitto bellico mondiale.

Queste tesi, peraltro, erano portate avanti da autori che pure nominalmente si richiamavano – con poca o nulla coerenza e quasi sempre sulla base di un evolismo mal digerito – al Fascismo storico, quello del Ventennio. Ancor più, a quello del biennio della Repubblica Sociale Italiana.

Un Fascismo, al contrario dei miti del Risorgimento – soprattutto la R.S.I., in un parallelismo forte con la Repubblica Romana di Mazzini – e della Grande Guerra, che alimentò la propria Rivoluzione, e dei quali si considerava, per citare il filosofo del Regime, Giovanni Gentile, l’inveramento.

Particolarmente stridente era il contrasto tra un Fascismo storico forgiato nel mito della Vittoria, ed un neo-fascismo che, troppo spesso immemore della tradizione patria, ricercava le proprie radici nei più disparati e male assortiti vinti della Storia, con esiti a dir poco demoralizzanti e comunque spesso incapacitanti.

La Grande Guerra e il valore della Vittoria

Vent’anni dopo, grazie soprattutto all’opera di riappropriazione dell’identità e della storia nazionale, portate avanti sul piano culturale da vari autori e ambienti politici e culturali, si può dire che il pensiero politico e culturale dell’area nazionale e identitaria sia, nella sua componente assolutamente maggioritaria, riconciliato con la storia nazionale, con il Risorgimento, con la Grande Guerra e soprattutto – fatto assolutamente significativo – con il principio e l’idea della Vittoria.

Nel trascorso anno conclusivo delle commemorazioni del centenario del 1915-18, l’area nazionale e identitaria ha prodotto non poche celebrazioni e rievocazioni della Grande Guerra e della Vittoria: con un’opera generale di grande respiro di Adriano Scianca sulla nostra storia e identità nazionale, intitolata “La Nazione fatidica” (Altaforte, Roma 2018); con opere puntualmente dedicate al 1915-18, come i libri di Stelio Fergola (“Riprendersi la Vittoria. Perché gli Italiani non devono dimenticare la Grande Guerra“, Passaggio al bosco, Roma 2018) e di Pierluigi Romeo di Colloredo (“Vittorio Veneto 1918. L’ultima vittoria della Grande Guerra” e “Luigi Cadorna. Una biografia militare“, entrambi pubblicati da Italia storica, Genova 2018); con varie conferenze e commemorazioni locali.

Questo recupero della memoria nazionale ed anche familiare dei nostri avi che combatterono sul Carso, sul Piave e sul Grappa, fino al trionfale ingresso a Trento, Trieste e Zara; questo rinsaldarsi di un vincolo sacro di terra e di sangue tra Italiani vivi e morti: sembrano destinati a suggellarsi e a compiersi con alcune grandi manifestazioni nazionali ed iniziative mediatiche.

Ma se tutto questo è stato possibile, buona parte del merito va a Sandro Consolato, come dimostra la recente uscita del suo volume “Quindici-Diciotto. Tra storia e metastoria“, pubblicato proprio per il Centenario della Grande Guerra e della Vittoria dalle edizioni romane Flower-Ed di Michela Alessandroni.

"Quindici-Diciotto, tra storia e metastoria": il libro di Sandro Consolato

Consolato, sempre con Flower-Ed, aveva già pubblicato un’altra importante opera del suo percorso di riscoperta della storia nazionale e delle sue radici arcane: “Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, Romanità e memoria di Roma” (Roma 2012), che riprendeva lo studio “Il Risorgimento come sviluppo della storia sacra di Roma“, pubblicato dallo stesso autore su Politica Romana (in tre puntate, sui numeri 4/1997, 5/1998-1999 e 6/2000-2004), rivista comparsa nel 1994 su iniziativa di Piero Fenili e Marco Baistrocchi, che non a caso si proponeva di nazionalizzare nuovamente l’area culturale esoterico-tradizionalista italiana.

Allo stesso modo, “Quindici-Diciotto. Tra storia e metastoria” raccoglie in unico volume i precedenti studi di Sandro Consolato, comparsi su varie riviste e legati tra di loro dal comune tema della Grande Guerra, della difesa della sua memoria storica e della sua funzione metastorica quale riattualizzazione della tradizione romano-italica nel tempo presente.

Sono inclusi titoli come “1915-1918: una grande guerra romana” (Politica Romana, n. 3/1996); “Il ’15-’18 degli esoteristi” (Tempi, 19 ottobre 2017); “La ‘nefandezza del 1915-1918’ nel nefando racconto di Gilberto Oneto” (Politica Romana, n. 10/2018); “Per una storia italiana della Vittoria” (Civitas Romae, n. unico, 21 aprile 2012).

Una nuova raccolta di studi

Completano il volume due interessanti appendici: “Mystica terrae e mystica sanguinis nel D’Annunzio soldato“, silloge di brani tratti dall’antologia dannunziana “Il libro ascetico della Giovane Italia” del 1923 (poi pubblicati su La Cittadella n. 17 del gennaio-marzo 2005); e “Nella Grande Guerra agì la forza di Roma“, intervista rilasciata da Sandro Consolato ad Adriano Scianca e pubblicata su Il Primato Nazionale, versione online, il 4 novembre 2015.

Il libro è significativamente dedicato ad un giovane caduto siciliano della Grande Guerra, Francesco Selvaggi, sulla cui lapide nel Cimitero Monumentale di Messina vi è scritto: «Eroicamente caduto a Monte Giove il 12 giugno 1916 nella difesa del sacro suolo d’Italia».

E quella sepoltura, ricorda Sandro Consolato, si trova «alle spalle della tomba di chi mi fu Maestro vivente di Romanità»: parole che alludono ad una illustre figura di patriota e uomo pio, ancor viva nella memoria e nel cuore di chi è devoto alle più antiche tradizioni patrie e ai Numi di questa Terra Saturnia.

(di Carlo Altoviti)

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